Cultura & Democrazia: gli impatti della partecipazione

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    101 è il codice che nelle università americane identifica i corsi che trasmettono le conoscenze di base di ogni materia. Oggi, mentre cambiano la società, le arti, la mediasfera, l’ecosistema, dobbiamo rifondare su nuove basi anche la nostra idea di cultura. O meglio di culture, visto che la cultura da sempre si nutre di pluralità e differenze.

    A partire dalle riflessioni sviluppate in Cultura. Un patrimonio per la democrazia (Vita & Pensiero, 2023), cercherò di segnalare in questa rubrica esperienze, ricerche e processi innovativi, per esplorare e discutere con l’aiuto dei lettori di cheFare i nodi problematici di questa svolta culturale.

    Cultura 101. Ogni quindici giorni un intervento di Oliviero Ponte di Pino per cheFare

    Sul rapporto virtuoso tra cultura e democrazia hanno riflettuto tra gli altri Aristotele e Kant, Tolstoij e Adorno, Bourriaud e Rancière. Per Martha Nussbaum, la partecipazione artistica e il sapere umanistico generano spazi vitali per un dibattito empatico e razionale, ci aiutano a costruire democrazie che permettano di superare la paura e il sospetto, e a creare un mondo nel quale valga la pensa di vivere (vedi Non per profitto. Perché le democrazie hanno bisogno della cultura umanistica, Bologna, Il Mulino 2011).

    Ma sono filosofi. Mancava la prova scientifica del nesso tra la partecipazione culturale da un lato e la democrazia e partecipazione civica dall’altro. È arrivata grazie a Culture and Democracy: the evidence  [https://ec.europa.eu/migrant-integration/library-document/culture-and-democracy-evidence_en], una ricerca commissionata dall’Unione Europea e pubblicata nel giugno 2023. Come spiega il sottotitolo, “la partecipazione dei cittadini nelle attività culturali favorisce l’impegno, la democrazia e la coesione sociale”. Il gruppo di ricerca, formato da Selina Komers, Marta Moretto, Sergio Goffredo, Pera Cumur, Jenny Molyneux e Tim Fox, coordinato da William Hammonds, ha esaminato 298 studi da 53 paesi sulla materia e ne ha approfondito 74, analizzandoli con lo schema predisposto dal gruppo di lavoro, e intrecciando i risultati con gli indicatori dell’IFCD  (International Fund for Cultural Diversity dell’UNESCO) e i dati Eurostat.

    Sappiamo che partecipazione culturale ha effetti intrinseci: apprezziamo la cultura perché ci dà piacere, ci permette di condividere esperienze, ci ispira e ci aiuta a crescere, e ci mette a contatto con la bellezza.

    Stiamo imparando che ha anche effetti strumentali, sia sociali – anche sul piano del welfare – sia economici: basti pensare alle forme di arte-terapia e di riabilitazione e risocializzazione, o ai processi di riqualificazione territoriale/urbanistica. In questi casi, la cultura viene utilizzata per obiettivi che le sono esterni.

    Infine, ha effetti funzionali: nel loro insieme, le attività culturali sono un motore dello sviluppo della società perché favoriscono la partecipazione e la coesione sociale, e dunque lo sviluppo di comunità, contribuiscono alla formazione delle identità personali e collettive, ma possono anche modificare le scale di valori e le preferenze, sia personali sia di gruppi più o meno ampi di cittadini. Possono favorire lo sviluppo di un’intelligenza collettiva che può portare a un’azione politica e dunque al cambiamento.

    La ricerca ha rilevato che alcuni di questi effetti sono misurabili. Per esempio, è più probabile che i cittadini che frequentano i teatri e le gallerie d’arte facciano volontariato o attività politica. Per i più anziani questa tendenza si manifesta per esempio con una maggiore partecipazione elettorale, per i più giovani con varie forme di militanza politica.

    Ovviamente i risultati di uno studio come questo vanno presi con cautela. Una prima obiezione riguarda il fatto che termini come “democrazia”, “cultura”, “partecipazione” tendono a essere vaghi e sfuggenti, tanto che ne esistono decine di definizione: tuttavia possiamo essere abbastanza fiduciosi che, in linea generale, quando li usiamo sappiamo di cosa stiamo parlando.

    La seconda obiezione riguarda il nesso casuale: perché la partecipazione culturale fa bene alla democrazia? Le ricerche analizzate non approfondiscono questo aspetto, e tuttavia verrebbe da rispondere che la  partecipazione culturale fa parte della partecipazione democratica: senza la prima, non può esistere la seconda. Alla radice della democrazia ateniese c’è la nascita del teatro, con le discussioni e il voto sul migliore dei tre cicli tragici presentati ogni anno: esercizio di critica e al tempo stesso educazione alla democrazia dello zoòn politikòn, il cittadino attivo nello spazio pubblico della città.

    Sulla basi dei dati presentati da questo rapporto, l’obiettivo di qualunque politica culturale dev’essere l’ampliamento della partecipazione culturale che, come sappiamo, è piuttosto bassa, con larghe fasce della popolazione che ne restano escluse, per vari motivi: mancanza di interesse (soprattutto nei confronti della cultura “alta”), distanza dai presidi culturali (con forti squilibri tra grandi città e piccoli borghi e aree interne, tra Nord e Sud, tra centro e periferie urbane), mancanza di tempo, edifici che intimidiscono e non invitano a entrare…
    Infatti sono numerose le indicazioni e raccomandazioni ai decisori politici che discendono da questa impostazione: esistono già diverse esperienze che vanno in questa direzione, ma non sono state messe a sistema. Nella fase di crisi della democrazia che stiamo vivendo, il cambiamento di prospettiva che mette la cultura al centro dovrebbe essere un antidoto alle derive autoritarie e populiste (sempre che non sia troppo tardi). E oggi non è certo la rete che ci sta portando in questa direzione, malgrado le sue promesse di democrazia.

     

    Immagine di copertina da Unsplash di Cash Macanaya

    Note