La necessità di elaborare nuovi paradigmi con cui guardare la ruralità e il ruolo che le pratiche d’ascolto fondate sul suono possono avere come dispositivo di conoscenza dei mutamenti territoriali sono il focus del secondo appuntamento di Comunità Contemporanee: con Leandro Pisano, ricercatore indipendente che si occupa delle intersezioni tra arte, suono e tecnoculture, dottore di ricerca in studi culturali e postcoloniali, professore di italiano, greco e latino, fondatore nel 2003 del Festival Interferenze in Irpinia e nel 2014 di Liminaria nel Fortore. Tra riflessioni d’ordine epistemologico sul suono e notazioni sui luoghi che Liminaria esplora, innanzi tutto il Fortore – area rurale compresa tra Benevento, Campobasso e Foggia, assunta a modello di tutte le ruralità messe a latere dalla modernità -, un punto rimane focale nelle parole di Leandro Pisano: la necessità che i territori interni e rurali trovino in sé stessi le risorse e le visioni per autodeterminarsi. È l’assunto del Manifesto del Futurismo Rurale, che Pisano ha scritto nel 2018 con Beatrice Ferrara, che rivendica la ruralità nel suo farsi condizione politica.
Pioselli: quali passaggi ti hanno portato da Interferenze a Liminaria, laboratorio di ricerca e residenza per sound artists che indaga lo spazio rurale attraverso il suono?
Pisano: Interferenze nasce a San Martino Valla Caudina, borgo rurale tra Irpinia e Sannio che è il luogo in cui la mia famiglia vive da diverse generazioni. È qui che nel 2003 abbiamo fondato l’associazione culturale Interzona e il festival Interferenze, come approdo ulteriore rispetto a una serie di eventi di musica indie ed elettronica legati alla sperimentazione digitale di etichette come Mille Plateaux, Raster-Noton, Schematic, Morr Music, Touch. Organizzavamo eventi live, performance e installazioni di software art. Era una forma di intrattenimento colto e sono stati anni molto belli di sperimentazione.
Rispetto agli altri festival di arti digitali, Interferenze era l’unico evento organizzato in un’area rurale e questa sua caratteristica fondante ci ha portato a riflettere sul fatto che potesse diventare un laboratorio di sperimentazione e di ricerca sul territorio rurale. L’edizione 2005 del festival è diventata per esempio una sorta di “sagra” del digitale nel centro storico di San Martino Valle Caudina, trasformato in una zona ibrida di incontro e mescolanza tra abitanti del posto, pubblico e artisti. Quell’anno, con la curatela di Alessandro Ludovico nella sezione software art, abbiamo lavorato con artisti come Limiteazero, Alessandro Capozzo, Robert Praxmarer, Alexei Shulgin, Paolo Pedercini. Il percorso di Interferenze è proseguito fino al 2010, quando in occasione dell’ultima vera edizione del festival a Bisaccia, in Alta Irpinia, è giunto a compimento un processo di ripensamento su quanto realizzato fino a quel momento. Come forma di ricerca, il festival poneva dei limiti strutturali: il focus principale sulla dimensione d’intrattenimento, ma anche la crisi economica che rendeva assai complessa la possibilità di reperire fondi per sostenerlo. Liminaria ha rappresentato una risposta possibile a queste istanze, perché ci ha costretti a ragionare su un livello di scala più piccolo e sostenibile, costruendo una sorta di percorso circolare che coinvolgeva artisti, gruppo di lavoro e comunità locali. Abbiamo cercato di favorire processi orizzontali di co-creazione di azioni culturali con gruppi di giovani locali, puntando su progetti di open hardware con le scuole, in una dimensione di collaborazione con comunità di villaggi differenti. Problematizzando però questa situazione: cosa significa lavorare nella ruralità?
Pioselli: con l’emergenza sanitaria è riemerso il discorso pubblico sulla necessità di decongestionare le aree metropolitane. La narrazione dominante guarda ai piccoli borghi come luogo di fuga dalla città e non per quello che sono realmente, come buen retiro per abbienti dotati del capitale socioeconomico per essere collegati al mondo ovunque risiedano. La realtà dei luoghi “minori” è diversa, però.
Pisano: la mia impressione è che si tratti di una narrazione sviluppatasi come una reazione emotiva legata all’esplosione della pandemia, generata da una cultura metropolitana stanca, spesso annoiata e interessata a estendere la propria comfort zone a quei luoghi rurali immaginati da un lato come spazi dell’arretratezza, dell’abbandono, dell’oblio, degli stereotipi folclorici, dall’altro come possibili orizzonti di fuga e miraggi di esotismo e green ecology. Luoghi verso cui puntare, in questo momento storico e magari da inglobare ulteriormente nei proteiformi processi di colonizzazione ed espansione urbana.
“Interferenze era l’unico evento organizzato in un’area rurale e questa sua caratteristica fondante ci ha portato a riflettere sul fatto che potesse diventare un laboratorio di sperimentazione e di ricerca sul territorio rurale.”
Pioselli: la Strategia nazionale per le aree interne problematizza questa immagine dualistica del territorio, al pari di quella verticale Nord-Sud, prova a fare delle aree di “margine” – più dei due terzi del territorio nazionale – una questione centrale per il paese, riconcettualizzando l’idea stessa di marginalità. Il Fortore si percepisce marginale?
Pisano: negli ultimi tempi, sembra che si stia registrando un’attenzione specifica nuova riguardo alle cosiddette aree interne. Bisogna capire però quanto tutto ciò possa avere conseguenze sulle pratiche reali. La mia prospettiva è sempre di grande ottimismo sul ruolo delle comunità rurali nei processi di cambiamento. In esse, esiste un potenziale di capovolgimento rispetto al peso delle narrazioni sulla marginalità che le schiaccia e impedisce di farne emergere le ricchezze nascoste. Credo che la sfida che attende le aree rurali nei prossimi anni sia quella di acquisire consapevolezza del fatto che in esse, al loro interno, nella ricombinazione di processi, risorse ed elementi che esistono già nel territorio, risiede la possibilità di cambiare i paradigmi e affermare la ruralità come componente attiva determinante nei processi economici, politici, culturali su scala globale.
Venendo alla questione locale del territorio fortorino, esiste al suo interno una consapevolezza della marginalizzazione espressa su più livelli. C’è anzitutto il problema delle infrastrutture. La strada statale 212 dovrebbe collegare il capoluogo di provincia, Benevento, con l’ultimo paese del Fortore prima della provincia di Foggia, San Bartolomeo in Galdo. Attualmente, la strada raggiunge solo San Marco dei Cavoti, che è il primo ingresso al comprensorio fortorino. I comuni che stanno oltre questa prima barriera, pongono da tempo ormai la questione politica di una strada non ancora arrivata. Le vie di comunicazione per raggiungerli sono dissestate e la circolazione interna è poco agevole anche per la complessa orografia del territorio. Un’altra questione riguarda l’ospedale di San Bartolomeo in Galdo, mai terminato. Si tratta dei due aspetti forse più sentiti ed evidenti dell’isolamento, legati a questa auto-narrazione.
Pioselli: avendo attraversato il Fortore, confermo la distanza da capoluoghi, infrastrutture e flussi turistici. È forse uno dei luoghi più “interni” d’Italia. Ti chiedo se osservi segnali di cambiamento e quale impatto pensi possa avere Liminaria.
Pisano: Quella dell’impatto di progetti come Liminaria è una questione assai complessa, perché anzitutto legata alla definizione, o meglio alla ridefinizione, di indicatori di misurazione che non possono essere applicati in accordo a descrittori o tabelle costruite su una scala meramente quantitativa. Se ci viene chiesto di raggiungere un pubblico assai ampio, di attivare processi di incoming turistico, di avere un impatto radicale sull’economia dei luoghi, credo che le questioni siano poste a monte in maniera errata. Il nostro “pubblico” coincide con le comunità locali e questo tipo di lavoro crea risonanze, attraverso le idee che lascia nelle persone, nella possibilità di riguardare con altri occhi (o riascoltare con “altre” orecchie) i propri luoghi, nell’attenzione estrema a ciò che è invisibile, anche rispetto alle “comunità” non-umane comprese in questi territori. Esistono poi ricadute visibili, penso anzitutto alla definizione di un humus culturale comunitario da cui nascono in tempi successivi e secondo dinamiche imprevedibili altri progetti, come è avvenuto nel caso di RU.PE. – Futuri dal comune, dedicato al design di comunità a Baselice, in Fortore.
Se ci viene chiesto di raggiungere un pubblico assai ampio, di attivare processi di incoming turistico, di avere un impatto radicale sull’economia dei luoghi, credo che le questioni siano poste a monte in maniera errata.
Pioselli: a proposito di misura ecologica, il Fortore agricolo ospita il campo eolico più esteso d’Italia. Ha un impatto violento sul territorio. Quali criticità del territorio Liminaria ha contribuito a illuminare?
Pisano: Liminaria utilizza i processi d’ascolto legati alle arti sonore in senso “acustemologico”, cioè come strumenti critici per conoscere e analizzare i processi materiali legati al capitalismo contemporaneo. In un territorio ventoso come il Fortore, il cui paesaggio è stato radicalmente trasformato negli ultimi trent’anni a causa dell’installazione massiva di impianti eolici, abbiamo focalizzato l’attenzione su questo elemento conflittuale di negoziazione territoriale, che non ha portato – a nostro modo di vedere – a una redistribuzione equa delle risorse per le comunità locali.
Pioselli: nel Manifesto del futurismo rurale ribadite che la ruralità non è uno spazio geografico ma politico. Sulla scorta della “ruralità critica” teorizzata da Iain Chambers, il rurale è lo spazio rimosso della modernità, inchiodato ai suoi margini, da rivendicare invece come agente e produttore.
Pisano: La nostra idea è che la ruralità si configuri come una posizione politica che si costruisce come controparte rispetto quelle visioni che tendono a vedere in queste aree i luoghi del folklore o del mancato sviluppo, e che disegnano una sorta di dialettica di spazi costruita per differenza e sottrazione rispetto alle culture metropolitane. In questa tensione discorsiva, la ruralità non può essere intesa come uno spazio geografico ma, appunto, come una posizione politica. L’altro elemento su cui si costruisce la prospettiva del Manifesto del Futurismo Rurale è la necessità di immaginare dei futuri possibili laddove la modernità ha visto il vuoto, la marginalizzazione, l’abbandono.
Per questo, sono critico nei confronti della visione delle aree interne e rurali legata alla morte e all’abbandono, ancora presente nel dibattito contemporaneo e veicolata anche da chi negli ultimi ha posto l’attenzione sulla questione “paesologica”. La nostra prospettiva insiste sulla necessità di ripensare la ruralità come componente attiva dei processi globali, anzitutto dal punto di vista economico: dalla produzione del cibo allo smaltimento dei rifiuti, fino alla produzione energetica. In questa prospettiva, le aree rurali emergono come spazi dinamici, in cui fluiscono corpi, idee, culture, in tensione verso il superamento di qualsiasi visione conservativa e nostalgica e verso la decostruzione della museificazione del rurale e delle narrazioni riduttive, semplificatorie, stereotipizzanti del suo patrimonio di tradizioni e culture.
Pioselli: in questo senso il rimando è all’afro-futurismo per cui le tecno-culture diventano il linguaggio di costruzione di contro-narrazioni?
Pisano: Da un lato, il richiamo al Futurismo è provocatorio rispetto a un’idea di rottura, quasi avanguardistica, in riferimento a certe visioni della ruralità. Dall’altro, esso si aggancia ai futurismi postcoloniali, in cui la matrice tecnologica capovolge una serie di narrazioni dominanti. Tutto questo è fondamentale nella nostra prospettiva: la tecnologia come elemento di messa in discussione, di problematizzazione, mai usata in maniera feticista o messianica, ma sempre critica.
Pioselli: vi sono aspetti che il Fortore e l’Irpinia condividono con ruralità altre in Sud America, in Asia, che hai indagato nei tuoi studi, in Australia e Nuova Zelanda dove hai portato nel 2019 il Manifesto del Futurismo Rurale?
Pisano: Credo che siano le dinamiche di marginalizzazione e i processi di appropriazione ed espropriazione ad accomunare tutti questi luoghi. Facendo esperienza della ruralità a diverse latitudini, mi sono reso conto dell’impossibilità di poterla definire in senso geografico. Un pluriverso di ruralità si materializza in contesti differenti, dall’entità del latifondo in Brasile alla remoteness in Australia, dalla realtà post-urbana delle grandi metropoli in Giappone e in Corea del Sud all’eredità coloniale in Nuova Zelanda. L’ecologia dei luoghi rurali è un’ecologia di coesistenze, sospesa tra tecnologico e organico, pieno e vuoto, naturale e artificiale.
Il ripetersi del suono che fende l’aria costantemente diventa un fenomeno acustico talvolta insostenibile anche a livello psicologico. Che tipo di impatto hanno dal punto di vista biologico questi suoni costanti, ma pure gli infrasuoni che gli impianti producono, sulle specie che abitano questi spazi?
Pioselli: per quali ragioni consideri che il suono, secondo l’approccio acustemologico di cui tratti nel libro Nuove geografie del suono (Meltemi, 2017), sia particolarmente idoneo per sondare la dimensione rurale?
Pisano: L’approccio acustemologico potrebbe apparire un dispositivo critico più potente nello spazio urbano, dove i processi del capitalismo si materializzano più velocemente. Tuttavia, esso è assai efficace anche nelle aree rurali. La trasformazione del Fortore a causa dell’impianto massivo dei parchi eolici può essere avvertita in modo più violento acusticamente che visivamente. Attraversando a piedi il territorio, si avverte con forza la saturazione dello spazio acustico. Il ripetersi del suono che fende l’aria costantemente diventa un fenomeno acustico talvolta insostenibile anche a livello psicologico. Che tipo di impatto hanno dal punto di vista biologico questi suoni costanti, ma pure gli infrasuoni che gli impianti producono, sulle specie che abitano questi spazi? Attraverso l’ascolto, avvertiamo la portata rovinosa delle trasformazioni territoriali, che incidono sulla qualità della vita e sulla sostenibilità biologica all’interno degli ecosistemi. In questa prospettiva, in cui il suono si libera da ogni causalismo e da ogni sua oggettificazione esterna al soggetto, esso stesso diventa pensiero, modo di pensare e concepire il mondo attraverso l’immersione che si ha in esso tramite l’udito.
Pioselli: quali possibilità ha l’ascolto di mettere in crisi la rappresentazione cartografica?
Pisano: la metafisica occidentale è visualistica. Heidegger è stato il primo ad aver riconosciuto la matrice visualistica la centralità dell’occhio nella nostra visione del mondo, quello che lui chiama il “mondo quadro”. L’ascolto suggerisce una prospettiva altra. Cito una proposizione di Salomè Voegelin: non siamo sicuri di ciò che ascoltiamo e in questa instabilità si fonda la riconfigurazione del sé e del rapporto con l’altro e con il mondo.
Partendo da questo atto di incertezza, si ridefinisce il nostro senso di stare nel mondo e si mette in crisi la razionalità, la fissità, la verticalità dello sguardo. Dal punto di vista fenomenologico, il suono presenta caratteristiche in sé che lo rendono un potentissimo vettore di immaginazione. L’ascolto produce molteplici livelli temporali e richiami alla memoria, costruisce mondi sonori che corrispondono alle infinite soggettività prodotte dall’atto stesso di sentire. La moltiplicazione offerta dai livelli di ascolto è il carico che il suono porta con sé, producendo materialità pur in una dimensione percettiva fugace.
Pioselli: l’esplorazione del territorio si fonda su un processo di deep listening, di ascolto profondo e immersivo nel senso dato da Pauline Oliveros, tuo riferimento. Come entra in gioco la pratica del field recording, utilizzata dagli artisti che invitate in residenza?
Pisano: il field recording, la registrazione d’ambiente, è una pratica problematica per il fatto che chi la adopera può orientare il suono attraverso il posizionamento del corpo e l’intrusione dei dispositivi tecnologici nello spazio. È chiaro che questo carico può tradursi in una forma di autoritarismo, se vogliamo di colonialismo, anche in senso tecnologico. Lavorare con artisti che praticano il field recording è anche una scelta estetica, nella consapevolezza delle criticità che questa pratica comporta dal punto di vista metodologico ed epistemologico. La sfida per noi è stata ed è quella di lavorare su questi aspetti problematici per ridefinire il contesto stesso non solo dei processi di registrazione sul campo, ma anche di produzione del lavoro artistico attraverso il suono, legato ad una forte valenza attivistica e politica.
Pioselli: attraverso pratiche d’ascolto condivise, Liminaria sperimenta forme di relazione tra gli artisti e le comunità. Con quali persone e comunità dialogate? Come avviene concretamente l’incontro?
Pisano: le proprietà associative del suono innescano processi d’immaginazione legati alla memoria, che consentono di entrare in relazione in maniera intima e generando comunità temporanee costruite sui processi di ascolto. Se dovessi citare due lavori indicativi in tal senso, menzionerei quello di Alejandro Cornejo Montibeller per Liminaria 2015, quando l’artista ha vissuto per diversi giorni con una famiglia di agricoltori a Baselice, in un progetto che rivisitava l’idea di tempo della ruralità tra le Ande peruviane e l’Appennino meridionale. Durante la presentazione finale del lavoro, ho visto parte della comunità locale emozionarsi profondamente di fronte ai suoni proposti da Alejandro, nella sua restituzione finale al pubblico.
Altro esempio potrebbe essere Passaggi di tempo, azione sonora di Fernando Godoy, Miguel Isaza e David Vélez per Liminaria 2016, realizzata all’interno dello spazio delimitato dal centro storico di Montefalcone di Valfortore. Con la partecipazione dell’ultimo “campanaro” Rocco “Nicola” Marucci e della comunità locale, i tre artisti hanno messo in atto un concerto per campane dalla sommità della chiesa di San Filippo Neri ed una contemporanea processione sonora per campanelli e utensili vari, animali ed abitanti, che si muoveva per le vie del villaggio. Anche qui, il suono si è rivelato elemento di aggregazione e di partecipazione collettiva della comunità locale, segnando simbolicamente e fisicamente una sorta di riappropriazione degli spazi sonori del borgo.
Per saperne di più:
Immagine di copertina: Liminaria 2014 (France Jobin e Tessa Elieff) – photo Leandro Pisano