The Guardian: una breve storia

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    C’è un aneddoto che Alan Rusbridger, per vent’anni direttore del Guardian, ama raccontare per spiegare il funzionamento dello Scott Trust, unico proprietario, con un board di una dozzina di membri, del Guardian Media Group: “Un momento che simboleggia alla perfezione il modo in cui il Trust funziona risale al 1956, durante la Crisi di Suez. All’epoca il direttore era Alistair Hetherington, che non ebbe assolutamente nessuna esitazione nel dichiarare che l’occupazione del canale di Suez da parte della Gran Bretagna fosse un atto folle. Le vendite del quotidiano crollarono, gli inserzionisti fuggirono e insomma era il classico momento in cui un’impresa commerciale che possiede un giornale potrebbe avere qualche parola da dire al direttore e alla sua linea editoriale. La famiglia Scott invece gli consigliò di andare avanti e dire quello che aveva da dire. Oggi, ovviamente, tutti concordano con quella che fu la nostra interpretazione fin dal principio”.

    Alan Rusbridger ha lasciato la direzione del Guardian alla fine di maggio e, a partire dal 2016, diventerà il nuovo presidente dello Scott Trust a capo del Guardian Media Group. E così passerà a lui – assieme agli altri trustees – il compito di “assicurare la sopravvivenza del Guardian per l’eternità e di proteggere la sua indipendenza a tutti i costi, in ogni situazione e contro ogni avversità”, come inscritto nei valori fondanti dello Trust. Il cui scopo è anche quello di promuovere e supportare il giornalismo indipendente e liberal.

    Messa così, sembra un quasi un sacro giuramento nei confronti di uno dei più importanti quotidiani al mondo (nonché del terzo sito d’informazione in lingua inglese più diffuso in tutto il globo). Un giuramento nei confronti della libertà d’informazione e del quotidiano che negli ultimi anni ha scoperto le intercettazioni telefoniche illegali compiute dal News of the World di Rupert Murdoch, ha giocato un ruolo essenziale nella diffusione e interpretazione di WikiLeaks, ha scoperto quello che in Italia è diventato noto come lo scandalo Datagate.

    Tutto questo anche grazie a quello che è il solo obiettivo del Trust: “Proteggere l’indipendenza del Guardian a tutti i costi”. Certo, il Guardian Media Group è un’impresa che dev’essere in grado di stare sul mercato con le sue forze – non è una no-profit in cui vengono investiti soldi a fondo perduto – ma tutti i guadagni che il gruppo riesce a generare vengono versati nel Trust, e da lì, reinvestiti per garantirne la sopravvivenza del quotidiano “per l’eternità”-

    Compito molto difficile, soprattutto in un’epoca in cui i quotidiani non generano certo guadagni, anzi, e in cui le perdite del Guardian ammontano – secondo i calcoli dell’Economist – a circa 40 milioni di dollari l’anno. Ma se l’obiettivo è quello di preservare il giornale, si fa tutto ciò che è necessario. Compreso vendere le quote di maggioranza di Auto Trader (uno dei siti di compravendita di auto più importanti al mondo) nel 2014 per circa un miliardo di euro. A questa iniezione di liquidità si aggiungono i circa 400 milioni di euro che lo Scott Trust aveva già in cascina. Totale, quasi un miliardo e mezzo di euro che, se non può garantire la sopravvivenza per l’eternità, di sicuro potrà far dormire sonni tranquilli a chi lavora per il Guardian e anche ai suoi lettori. Sempre nella speranza che, prima o poi, i quotidiani riescano a trovare una via per generare profitti senza rinunciare alla qualità.

    Gli introiti dello Scott Trust, che è il solo proprietario del Guardian Media Group che, tra le altre cose, pubblica il Guardian e l’Observer, non sono soggetti a dividendi, non vengono spartiti, non vanno ad accumulare le ricchezze di un proprietario. Vengono esclusivamente reinvestiti. Ovviamente, nessuno può comprare la GMG dal Trust. I regolamenti, da questo punto di vista, sono ferrei. E pensare che tutto nasce al solo scopo di non pagare le tasse di successione.

     

    Il Guardian nasce nel 1821 per volontà della famiglia Taylor. Nel 1872 C.P. Scott, a soli 25 anni, ne diventa il direttore (ruolo che manterrà per qualcosa come 57 anni). Nei primi del Novecento, compra il quotidiano dalla precendente proprietà e si afferma come una delle più importanti figure del giornalismo britannico. Negli stessi anni, il Guardian diventa una voce nota a livello internazionale, soprattutto per via della sua forte opposizione alla guerra in Sudafrica.

    I valori in cui C.P. Scott credeva – l’importanza del giornalismo, del suo ruolo morale, della sua indipendenza – li mise nero su bianco in un editoriale, scritto nel 1921 in occasione del centenario del Guardian, che ancora oggi rappresenta la linea guida che ogni direttore deve seguire: “Onestà, pulizia (che oggi si interpreta come ‘integrità”, ndr), coraggio, lealtà e senso del dovere nei confronti dei lettori e della comunità”.

    Cotanto direttore muore nel 1932 e la proprietà passa ai due figli John e Ted. Già allora il fisco si fa avanti, chiedendo il pagamento della tassa di successione. Fortunatamente per loro, C.P. aveva già spartito la proprietà con i figli e non ne deteneva nemmeno la maggioranza, ragion per cui il fisco dovette far venire meno le sue pretese.

    Non si tratta tanto di un escamotage per non pagare le tasse, ma di un modo per garantire la sopravvivenza del giornale: il Guardian vale molto, certo, ma i proprietari reinvestono tutto ciò che guadagnano e tengono per loro solo quello che si dice essere stato uno “stipendio modesto”. Dover pagare delle tasse sul valore del Guardian avrebbe certamente messo fine all’avventura. La faccenda, però, si complica ulteriormente pochi mesi dopo, quando il fratello maggiore Ted muore in un incidente nautico.

     

    Da quel momento, John è il solo proprietario del Guardian. Questa volta il Fisco non può essere evitato. Da qui l’invenzione dello Scott Trust, nel 1936: in un atto che ha pochi precedenti, John Scott rinuncia a tutti i benefici economici dell’azienda da lui guidata e cede le azioni della compagnia a un gruppo di trustees. Lo Scott Trust diventa il solo proprietario del Guardian e il fisco non può più pretendere nulla.

    Ma se c’è una cosa di cui i membri del Trust sono più che certi è che il tutto non fu fatto per mere questioni fiscali: “In questo modo John Scott non pagò le tasse di successione, ma io penso che stesse cercando di conquistare qualcosa di molto più importante, la salvezza dell’eredità culturale del Guardian”, spiega il bisnipote Jonathan Scott, membro del Trust.

    Nel 1948 la composizione dello Scott Trust cambia, in modo da non essere più una faccenda di famiglia ma collettiva e nel 2008 diventa una limited company. Ma lo scopo è sempre lo stesso: proseguire la stampa del Guardian “nello stesso spirito che si è tenuto finora”. E certo, nelle acque agitatissime del giornalismo di oggi, è qualcosa che infonde sicurezza.

     

     

    Foto di dylan nolte su Unsplash

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