Molto Presto – la 2 giorni di conferenze sulle prospettive d’azione dei nuovi centri culturali – è stata estremamente densa e abbiamo avuto bisogno di qualche settimana per riprenderci e tirare le fila.
L’abbiamo organizzata in poche settimane perché sentivamo il bisogno di una messa a terra pubblica e condivisa di una serie di percorsi che cheFare ha intrapreso sul rapporto tra azione culturale, trasformazione sociale e luoghi. Dopo quasi otto anni passati a fare ricerca, costruire dibattito tra attivisti culturali dal basso e policy makers, costruire alleanze territoriali o cercare modi di finanziarle, ci siamo ritrovati a parlare dei NCC in modo continuativo.
Un po’ perché sentivamo il bisogno di riprendere il filo di Spazio, Lavoro, Cultura, la ricerca fatta nel 2017 con Fondazione Feltrinelli, un po’ perché il programma di residenze BAGLIORE nei NCC ci sta coinvolgendo veramente tanto.
Molto Presto è stato il nostro modo di ragionare sulla questione dei nuovi centri culturali a scala urbana, costruendo una serie di panel di rappresentanti di quei mondi alternati a keynote speech e presentazioni di libri più frontali. Durante i due giorni sono emerse alcune suggestioni e indicazioni che crediamo possano essere utili per molti: per i nuovi centri culturali, per chi li frequenta, per chi li studia, per chi si occupa di politiche.
Innanzitutto, un dato è chiarissimo: c’è voglia di fare rete. Ed è una cosa che vale per Milano ma non solo. Si sente fortissimo il bisogno di contarsi, guardarsi in faccia, riconoscersi e provare a trovare delle soluzioni comuni. C’è insomma voglia di capire se e in che termini si sta costruendo una nuova identità, individuale e collettiva, e come alcune istanze come l’emergenza climatica e la ri-socializzazione della sfera economica possono inserirsi in strategie di lungo periodo.
E la questione non è “solo” di identità; si tratta anche di cose molto concrete e pragmatiche che però possono fare la differenza. Si è discusso, ad esempio, dell’ipotesi di costruire piattaforme per l’acquisto collettivo di beni o servizi. Se è sensato pensare di mettersi assieme per comparare beni di consumo a prezzi calmierati, può esserlo ancora di più cercare assieme riferimenti nei tanti ambiti nei quali i NCC sfidano le forme del presente, da quello giuridico a quello economico, passando per quelli legati all’ingegneria e all’architettura.
D’altro canto, i NCC costituiscono ormai una sorgente riconosciuta di costruzione di nuove competenze professionali: sono spazi dove generazioni di operatori culturali, tecnici, progettisti, curatori, fundraiser, ricercatori vanno oltre – tra pratica e teoria – quello che è stato loro insegnato nei percorsi formativi tradizionali. E non è quindi il caso, per chi si occupa di ricerca e politiche su come cambiano i mercati del lavoro, di iniziare a considerarli anche da questo punto di vista?
Non bisogna inoltre dimenticare che i nuovi centri culturali sono anche luoghi di produzione culturale intesa in senso stretto che realizzano mostre, residenze per artisti, produzioni musicali, teatrali, video e cinematografiche. Sono insomma divenuti alcuni dei luoghi per eccellenza di quella cultura contemporanea che in Italia ha molti meno spazi e finanziamenti a disposizione rispetto ad altri paesi europei. Si sente il bisogno di studiare strumenti e strategie che diano voce e risorse in modo più sistematico a queste attività di modo che la parte “cultura” della locuzione “centro culturale” non sia più intesa come una categoria residuale.
In questo senso è emersa sia dai practitioners che da dai policy makers la necessità di capire come i NCC possano integrare la loro attività con le istituzioni culturali più tradizionali. Che reti territoriali possono sviluppare, ad esempio, con biblioteche, musei, scuole ed università? Ha senso pianificare sinergie di lungo periodo? Quali? E in che forma? Esistono delle soluzioni che possono valere per territori diversi o ognuno realtà è un caso a sé stante?
Vale la pena fare un’ultima considerazione su una dimensione che è emersa con forza e che sembra andare parzialmente controcorrente rispetto alle tendenze più recenti dello sviluppo urbano. Alcuni nuovi centri culturali sono nati a fianco – se non all’interno – di processi top-down di rigenerazione urbana. Sono stati quindi in qualche modo tra i protagonisti di fenomeni di ri-valorizzazione degli assetti immobiliari che in molti casi hanno portato al rapidissimo insediamento di nuove popolazioni urbane e nuovi soggetti imprenditoriali in quartieri popolari, ottenendo a medio termine l’effetto di espellere in varie forme gli abitanti originali.
Eppure, allo stesso tempo, sono pienamente consapevoli che la gentrification (perché di questo stiamo parlando) erode alla base di capitali sociali e culturali che sono la ragione stessa del loro operare.
Non è un problema che i nuovi centri culturali possono affrontare da soli, ma è interessante sapere che se ne preoccupino non solo quelli che provengono dai mondi della militanza politica. Forse, chi sta cercando interlocutori per nuove strategie di sostenibilità sociale potrebbe trovare in alcuni divoro alleati inaspettati.
Potremmo scrivere ancora molto sui tanti stimoli che sono emersi ma preferiamo rimandare agli articoli di approfondimento teorico e pratico che usciranno nei prossimi tempi su cheFare.
Nel frattempo, stiamo continuando il lavoro con i nuovi centri culturali su tanti fronti.
Le residenze di BAGLIORE – il progetto per scrivere una biografia culturale dell’Italia raccontata a partire dai NCC – sono in pieno svolgimento e alla fine della primavera uscirà il libro con Il Saggiatore. Ci hanno chiesto di pensare a replicare il progetto in contesti specifici, e stiamo provando a capire come farlo.
In tanti ci avete chiesto di portare Molto Presto in altre città, e stiamo ragionando anche su quello.
Soprattutto, stiamo lavorando su un grande progetto per raccontare l’Italia degli anni ’20 attraverso i suoi nuovi centri culturali.
Restate sintonizzati.
E grazie ancora una volta a tutti quelli che sono stati con noi, dal vivo ed on line.