Traiettorie urbane: un’esplorazione dello spazio cittadino a Palermo

Scarica come pdf

Scarica l'articolo in PDF.

Per scaricare l’articolo in PDF bisogna essere iscritti alla newsletter di cheFare, completando il campo qui sotto l’iscrizione è automatica.

Inserisci i dati richiesti anche se sei già iscritto e usa un indirizzo email corretto e funzionante: ti manderemo una mail con il link per scaricare il PDF.


    Se inserisci il tuo indirizzo mail riceverai la nostra newsletter.

    image_pdfimage_print

    Le città sono oggetti strani. In qualsiasi contesto, dal più atroce dei regimi alla più sfrenata democrazia si costruiscono attraverso la tensione di due forze: la volontà di governo delle istituzioni e la volontà di espressione del popolo. A volte queste volontà coincidono, a volte sono vicine ed altre sono distantissime. In questo senso le città sono anche l’arena del grado di libertà di un popolo e, al contempo, della sua capacità di agire in maniera comunitaria e non personalistica. Lo scopo del potere istituzionale, in ambito urbanistico dovrebbe essere quello di mitigare le volontà dei singoli e la loro somma per perseguire un bene collettivo sistemico. Non sempre questo è avvenuto.

    Quando si racconta l’evoluzione delle Città nella Storia (Mumford, 1961) non si può non tenere conto di questa tensione. Palermo è una città che nacque come colonia fenicia, le cui dimensioni si consolidarono in periodo arabo. La sua prima genesi parlava di un dialogo tra il suo mare ed il suo porto e l’interno. La città si sviluppava, fin dalla sua fondazione, lungo una strada che portava verso l’interno: il Cassaro. Questa organizzazione urbana rimase immutata dalla fondazione della città fino al 1577, ovvero per circa 2300 anni, circa 50 generazioni di persone hanno vissuto quella città, che nel frattempo era diventata parte del viceregno spagnolo, come un luogo che connetteva il porto con i centri agricoli ed i feudi dell’entroterra. Sono poche le operazioni che riescono a far cambiare l’inerzia di una città. L’inerzia di Palermo nel 1577 era di circa 2300 anni di abitudini e consuetudini. Ma nel 1577 la città ruotò di 90°, grazie alla costruzione di un asse, parente del Cassaro, che era Via Maqueda. Questo nuovo asse ridefiniva e rimarcava la funzione della città e moltiplicava i rapporti della città con i centri limitrofi più che con il suo mare. Per molti aspetti costituì nuove opportunità non solo di rappresentazione dei nobili, che sulla strada fondarono i loro palazzi, ma anche per le borgate che si andarono consolidando nelle immediate vicinanze della città.

    Certamente la croce di strade, che segna Palermo come il gesto di un esorcista, ha dei valori simbolico religiosi forti e connaturati all’identità del viceregno spagnolo – baluardo del cattolicesimo contro la riforma protestante. Ma l’imposizione della croce di strade definì anche un destino algebrico per la città (Leone, 2004). Ciò che è interessante a Palermo è la rilevanza che il nuovo asse urbano rivestì sullo sviluppo della città e dei suoi rapporti con l’entroterra. Dalla rotazione imposta dalla croce di strade Palermo si contornò di Borgate e ridefinì il suo ruolo di centro amministrativo. Dopo il disegno di via Maqueda la città rientrò in una linea di sviluppo comune a molte città che fu prevalentemente, se non solo, additiva.

    Palermo si è sviluppata, a partire dal 1600 in un dialogo tra la città e le borgate. Il centro della città era un magnete verso il quale le borgate si rivolgevano: in un certo senso tutte le strade portavano a Palermo. Peraltro Palermo ha accentuato il suo centro proprio con l’invenzione cinquecentesca del Teatro del Sole: l’incrocio della croce di strade. Il reticolo di vie che collegava le borgate con il centro è stato messo in discussione più volte nel corso della storia. Generalmente i termini di questo discorso sono sempre stati additivi. È molto difficile che una città si costruisca per sottrazioni o anche per sostituzioni: cresce sempre, anche se a volte abbandona parti di sé stessa.

    A Palermo il dialogo tra città e borgate è durato immutato fino ai primi dell’800: le borgate erano propaggini della città, che dialogavano con Palermo più che tra di loro.

    La prima messa in crisi del dialogo tra città e borgate avviene nell’800. Prima l’addizione Regalmici e poi la scacchiera di via Libertà e del piano Giarrusso definirono nuovi confini per la città ma il rapporto con le borgate resta per lo più immutato, anche se il centro tende a spostarsi dalla cartesiana croce di Via Maqueda e del Cassaro verso Nord su Piazza Castelnuovo, passando dai 4 canti di campagna. Le borgate continuano ad essere dei paesi attorno alla città, che si leggono solo in rapporto con essa.

    A questa mutazione si aggiunge una nuova addizione ben più rapace di quella ottocentesca. Negli anni ’60 del ‘900 tutta la città, ma soprattutto le borgate, viene sottoposta ad un vero e proprio tsunami edilizio: un’operazione di una violenza inaudita, che tramortisce il tessuto delle borgate e crea una città disfunzionale. Si assiste ad un’apocalisse urbana, a quello che viene chiamato “il Sacco di Palermo”, parente di ciò che avviene in tante altre città ma non mitigata da questioni orografiche come per esempio a Napoli, il cui sviluppo urbano si ordina comunque, in qualche modo, grazie al rapporto tra colline e costa.

    Palermo è figlia di questa ecatombe, che ha generato uno spazio pieno di storture, diseducativo e che resta come monito a discredito dell’agire pubblico. Ogni volta che un cittadino si imbatte in un luogo senza senso e disfunzionale ha la dimostrazione fisica che non può fare affidamento sull’agire pubblico né tanto meno sul senso di comunità. Lo spazio urbano di Palermo è un luogo diseducativo che, 24 ore su 24, dice ai cittadini: “tu oggi ti arrangerai, non ci sarà nessuna garanzia pubblica dello Stato o del Comune a proteggerti e non aspettarti alcun aiuto della comunità.”

    Palermo è anche molto altro è sto volutamente esagerando ma è indubbiamente anche questo.

    In questo quadro il progetto Traiettorie Urbane finanziato da Fondazione EOS e da Con i Bambini si pone in una prospettiva antistorica rispetto al rapporto centro periferia, che ha guidato gran parte dello sviluppo di Palermo. I due assi entro i quali si sviluppa il progetto definiscono due traiettorie urbane, che rileggono il rapporto tra Palermo e le sue borgate in due modi un po’ differenti. Il primo asse inanella i quartieri Noce, Zisa e Danisinni provando a disegnare un rapporto antistorico. I tre quartieri, essendo in origine 3 borgate, avevano un rapporto con la città più che tra di loro, pur coprendo una distanza che è nell’ordine delle poche centinaia di metri. Il secondo asse, invece collega la Kalsa con Sant’Erasmo e Romagnolo in un rapporto consequenziale che sta più all’interno dei flussi consueti tra città e borgate ma che si trova a fare i conti con dei elementi critici al livello della morfologia urbana e del rapporto tra città e mare.

    L’asse Zisa, Noce e Danisinni collega tre quartieri che non hanno mai sentito il bisogno di un reale rapporto, perché ognuno di essi ha relazioni autonome con la città. Traiettorie Urbane coglie l’occasione della rilettura del tessuto in senso non Palermo centrico, proprio perché capisce che la lettura consueta della città offre un palinsesto di senso che non può non essere diseducativo, perché offre la rappresentazione continua di atti di violenza. È come se in continuazione ci si esponesse alla scena di un crimine nel quale a vincere è sempre il bullo.

    L’analisi morfologica dei tessuti urbani e la “sezione di paesaggio” condotta lungo questa traiettoria sono la rappresentazione della disomogeneità che si incontra nel tessuto urbano di Palermo.

    Queste riflessioni hanno guidato una serie di esplorazioni dello spazio urbano condotte dalle ragazze e dai ragazzi delle scuole del quartiere. Le passeggiate hanno avuto sempre un doppio registro, da un lato hanno svelato ai partecipanti le schizofrenie dello spazio urbano e dall’altro sono state definite in tappe scelte dalle ragazze e dai ragazzi sulla base delle emozioni trasmesse dai luoghi. In questo modo sono stati individuati luoghi della felicità, della tristezza del disgusto, etc. La scelta di condurre questa esperienza attraverso passeggiate e non soltanto attraverso un’identificazione puntuale in mappa ha consentito di valutare insieme ai ragazzi anche i percorsi che hanno scelto, amplificando la valenza educativa dei laboratori di mappatura.

    Per molti aspetti le passeggiate e le azioni di mappatura sono un manifesto di Traiettorie Urbane, perché raccontano della strategia individuata dal progetto rispetto al coinvolgimento dei ragazzi beneficiari. I partecipanti non sono mai degli elementi passivi all’interno del progetto, hanno sempre un ruolo attivo. Nelle passeggiate i partecipanti guidano un percorso che gli organizzatori non conoscono. La responsabilità dei luoghi visitati e di come arrivarci è in capo ai ragazzi che partecipano. Contemporaneamente però viene allenato il loro sguardo critico sulla città in grado di ridefinire la traiettoria, oggi assai labile, che congiunge i tre quartieri della Noce, della Zisa e di Danisinni. Il progetto proporrà molte azioni nel suo svolgersi che avranno, però, sempre il comune denominatore di proporre un protagonismo reale dei ragazzi, di rileggere criticamente lo spazio urbano e di proporre azioni fisiche in grado di rendere fruibile e comprensibile questa rilettura.

    Chiaramente Traiettorie Urbane si confronta con un’inerzia di secoli, che ha definito rapporti, ruoli e relazioni all’interno della città e tra i 3 quartieri in questione ma accetta la sfida di ridefinire la città attuale che è una manifestazione diseducativa e violenta per proporre un palinsesto razionale ed immaginifico di questa porzione della città di Palermo.

    Foto di Andrew Amistad su Unsplash

    Note