La crisi abitativa in Svezia. Verso la fine del diritto alla casa?

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    È di questi giorni la pubblicazione del report UE con le prognosi economiche per il nuovo anno che ha previsto che la Svezia sarà l’unico Stato europeo con una crescita economica negativa (-0,8) nel 2023. Il motivo principale? Il volume e le caratteristiche del debito privato legato ai mutui per la casa. Secondo le analisi macroeconomiche svedesi infatti, la prognosi negativa fornita dall’UE è dovuta all’elevata percentuale di mutui con tassi di interesse variabile, per i quali il brusco aumento del tasso d’interesse ufficiale da parte della Riksbank (banca centrale) sta avendo un effetto rapido e diretto sull’economia delle famiglie e, di conseguenza, sull’economia tout-cour.

    È utile in questo senso una breve digressione nella storia recente per capire come la Svezia sia passata da quello che era considerato da molti un modello di welfare da imitare, ad un paese con livelli di indebitamento tra i più alti in Europa, e in cui il diritto alla casa sembra sempre più legato ad alcune delle dinamiche di finanziarizzazione spiegate nelle puntate precedenti di questo percorso editoriale.

    Il “diritto alla casa” è entrato formalmente nella costituzione svedese nel 1975. Non è un diritto giuridico individuale, ma si configura come un diritto sociale di natura programmatica, ossia un obbligo per le politiche e la pubblica amministrazione ad impegnarsi attivamente affinché ogni cittadino e residente abbia accesso a standard abitativi adeguati. Nei trent’anni precedenti, il diritto alla casa era stato attuato tramite la regolamentazione del mercato degli affitti, risultante delle politiche socialdemocratiche della Folkhem negli anni Quaranta, e dall’implementazione di un Welfare State che metteva i lavoratori e loro bisogni, tra cui, appunto, la casa, ma anche l’istruzione e i servizi di cura, al centro.

    Eppure, ad oggi, trovare un alloggio in una città svedese è una sfida non da poco, soprattutto con un budget limitato. Il 72% dei Comuni svedesi ha infatti registrato una carenza abitativa nel 2022 , segnalando una domanda di casa sia di proprietà che in affitto significativamente superiore all’offerta. Questo è un trend che dura da almeno 20 anni e che ha raggiunto nel 2017 un picco di 255 su 290 comuni con carenza abitativa. Le concause di questa situazione sono complesse da analizzare, in un sistema che è stato definito una decina d’anni fa dal geografo Brett Christophers “un ibrido mostruoso” : i problemi contemporanei nel sistama abitativo svedese, secondo Christophers, erano causati da una convergenza di, da un lato, l’ereditá di un sistema fortemente centralizzato e regolato, e dall’altro, traiettorie neoliberali di deregolamentazione al pari, se non piú spinte, di altri contesti più apertamente neoliberali.

    I pilastri che hanno retto il sistema abitativo sulle fondamenta ideologiche della “casa per tutti”, infatti, hanno subito duri colpi a partire dagli anni Novanta, e sono oggi più vacillanti che mai. Secondo il sociologo Bo Bengtsson, i principi fondamentali attorno ai quali il sistema-casa svedese è organizzato sono i seguenti. Il primo principio è quello dell’universalità: le politiche abitative si rivolgono alla popolazione nel suo insieme, e non a gruppi con vulnerabilitá socioeconomiche specifiche, come nei paesi in cui esiste housing sociale. La seconda caratteristica fondamentale è il ruolo delle societá di alloggi municipali: la politica universalista è implementata principalemente a livello comunale, tramite società di alloggi municipali che forniscono e gestiscono il patrimonio immobiliare degli affitti pubblici (nel 2021 il 27% della popolazione viveva in affitto, di cui circa la metà in proprietà comunali, e il resto in private). Inoltre, il mercato degli affetti è integrato, ad intendere che sia i canoni d’affitto privati sia quelli pubblici (comunali) sono regolamentati, a differenza di sistemi che Kemeny ha definito dualistici, in cui i canoni degli affitti privati sono dettati dal mercato e quelli pubblici regolamentati ad hoc. Collegato a questo abbiamo il principio della concertazione collettiva degli affitti: la centralità dell’associazione nazionale degli inquilini (Hyresgästföreningen), una sorta di sindacato degli inquilini, è una particolarità tutta svedese, tramite la quale la quasi totalità degli affitti è concordata collettivamente tramite negoziazioni tra l’associazione inquilini e i proprietari immobiliari. Infine, il principio di neutralità tra affitto e proprietà è un altro dei pilastri portanti, secondo cui le politiche dovrebbero far sí che abitare in casa di proprietà o in affitto abbia lo stesso valore in termini di status sociale ed oneri economici, senza favorirne una tipologia rispetto all’altra.

    Le politiche abitative, nel contesto di riforme economiche e tagli al welfare più ampi implementati dagli anni Novanta, hanno fatto sí che i pilastri del sistema universalistico votato a fornire una casa adeguata per tutti si incrinassero, rendendo il sistema sempre meno universalistico e sempre più selettivo. Uno spartiacque in questa direzione è stata una legge introdotta nel 2011 (Allbolagen) che ha stabilito che le società abitative comunali si sarebbero da quel momento dovute gestire come vere e proprie aziende, e non secondo una logica no profit, come erano state conceptite fino ad allora. Con l’introduzione di questa legge, le società municipali si sono trovate di fronte ad un conflitto d’interessi tutto svedese: dovendo seguire sia il principio storico di universalità, sia i dettami del mercato, le società municipali hanno, sulla carta, mantenuto la responsabilità di fornire alloggi per tutti, però di fatto applicato criteri d’accesso molto piu restrittivi, innalzando tra le altre cose i requisiti di reddito minimi per poter accedere agli alloggi. Recenti ricerche dimostrano che questa legge ha fatto sí che le fasce più povere della popolazione si trovino ad oggi sempre più escluse e marginalizzate non solo nel mercato privato, ma anche in quello degli alloggi pubblici.

    Un’altra tendenza che ha eroso progressivamente il sistema degli affitti è stata la (s)vendita del patrimonio abitativo pubblico soprattutto nei centri delle grandi cittá (Stoccolma in primis, sotto le amministrazioni di centro destra dei primi anni Novanta). Se da un lato la possibilità di acquistare il proprio appartamento a prezzi favorevoli ha generato profitti di milioni di Corone per coloro che hanno potuto permettersi l’investimento iniziale, dall’altro le aziende municipali hanno perso appartamenti nei centri urbani e si sono ritrovate con un patrimonio concentrato nelle periferie già segregate e meno attrattive, quelle, in sostanza, dove gli inquilini non hanno avuto la possibilità economica o l’interesse di acquistare. Il divario socioeconomico, nonché etnico (ricordiamo che le città svedesi sono tra le più segregate in Europa), tra centri e periferie, si è acuito significativamente tramite queste politiche del right-to-buy (diritto all’acquisto).

    Ma le polarizzazioni non riguardano solo la dimensione geografica. Il principio di neutralità, quello per cui in linea di principio abitare in affitto o in proprietà dovrebbe avere lo stesso valore, pare ormai uno sbiadito ricordo. Tassazioni favorevoli alla proprietà, sgravi fiscali di diverso tipo su casa, patrimoni e servizi di manutenzione, combinati con tassi di interesse sui mutui che fino ai primi mesi del 2022 avevano toccata i minimi storici, hanno fatto sí che dagli anni 2000 acquistare un appartamento fosse economicamente più vantaggioso che affittare. Considerando che le liste d’attesa per contratti d’affitto di prima mano in alcuni quartieri delle grandi città possono essere anche sull’ordine di decenni, sempre più persone hanno visto nell’acquisto il modo più facile e vantaggioso per evitare attese logoranti, contratti in periferie impoverite, subaffitti (più o meno legali), o altre situazioni abitative subottimali. A causa della domanda crescente, e soprattutto dei tassi d’interesse in discesa che tra il 2015 e il 2019 sono stati addirittura negativi, i prezzi delle case di proprietà sono aumentati quasi incessantemente negli ultimi vent’anni. I livelli di debito privato costituito dai mutui per la casa sono di pari passo cresciuti esponenzialmente, superando di gran lunga la crescita salariale. Gli Svedesi sono oggi tra i più indebitati in Europa e la generazione di giovani adulti che si affacciano sul mercato abitativo in questi anni hanno livelli di indebitamento molto più alti delle generazioni precedenti.

    Le diseguaglianze generazionali a loro volta vanno a rinforzare le disuguaglianze di classe e di origine – chi non ha una famiglia alle spalle con le possibilità economiche e il capitale sociale per supportare l’accesso ad un mutuo, avrà più difficoltà ad entrare nel mercato, reiterando ed ampliando disuguaglianze strutturali.

    L’impasse che Christophers aveva diagnosticato una decina d’anni fa, ovvero che il Sistema abitativo Svedese fosse bloccato tra l’incudine di oasi di forte regolamentazione, e il martello di liberalizzazioni spinte, sembra persistere. Possiamo notare però che le tendenze neoliberali si stanno rafforzando, che i residui di regolamentazione sono sempre più sotto assedio, e che la questione della casa è tra i temi più caldi e divisivi nella politica del Paese, una politica, ricordiamo, sempre più influenzata da idee neoliberiste e dall’estrema Destra. Nel 2021, infatti, la caduta del governo è stata causata da differenze inconciliabili all’interno della – allora- maggioranza proprio sulla deregolamentazione degli affitti. Il partito di Sinistra (Vänsterpartiet) è stato l’unico all’interno della coalizione di maggioranza di centro sinistra ad opporsi ad una riforma che avrebbe allentato ed indebolito le negoziazioni collettive dei canoni d’affitto.

    L’erosione progressiva e costante del sistema di welfare, le tendenze dell’housing pubblico a conformarsi alle regole dell’economia di mercato, la finanziarizzazione delle societá municipali per la casa, e gli aumenti dei tassi d’interesse che stanno mettendo in crisi i titolari di mutui alti e stipendi medio-bassi, sono solo alcuni dei sintomi di quelle trasformazioni profonde che stanno cambiando i connotati ad un intero Paese. Nemmeno le vulnerabilità evidenti causate da indebitamenti sproporzionati paiono scalfire il credo nella casa di proprietá, in una società che si sta allontanando sempre di più da quel principio di universalità e di inclusione sociale su cui era fondato il diritto alla casa.

     

    Immagine di copertina da Unsplash ph. Mike Kienle

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