Quando il cambiamento è di tipo sistemico, la priorità non è più schierarsi dalla parte dei buoni contro i cattivi, ma mettere in discussione le speculari premesse implicite che le parti avverse danno per scontate. Il primo passo, oggi, come giustamente hanno sostenuto Bertuglia e Vaio (Complessità e modelli, 2011; Il fenomeno urbano e la complessità, 2019, Bollati Boringhieri, Torino) è avere chiara la differenza fra il funzionamento di un sistema semplice e quello di uno complesso, e rendersi conto che tutti i principali problemi del nostro tempo, come ha affermato il sociologo Ulrich Beck, sono connessi al fatto che i nostri corpi sono immersi nel XXI secolo, mentre le nostre menti e le nostre istituzioni sono rimaste al XIX.
Quello che qui mi propongo è di riprendere i temi della parte quarta del volume di Bertuglia e Vaio del 2019, intitolata “Politica della città, partecipazione e autorganizzazione assistita”, per provare a redigere un riepilogo facilmente comprensibile e memorizzabile sul come e perché le principali caratteristiche dei sistemi di governance ancor oggi dominanti sono divenute del tutto disfunzionali a una civile convivenza e quali sono invece le caratteristiche che possiamo riconoscere nelle situazioni che già oggi dimostrano di funzionare in modo più efficace, equo e durevole.