Il temporale sul grande fiume sacro è uno spettacolo perseverante da un tempo che non è più possibile misurare. Il frastuono dei tuoni, scariche inarrestabili, e la violenza dei riverberi di luce, intermittenti e accecanti sulla megalopoli fluviale, hanno costretto Anna e i suoi fedelissimi compagni a creare una comunità di uomini di entroterra, dove è ancora possibile fermarsi e osservare le stelle che riverberano di luce propria.
Sono pochi reietti, si contano come spine sullo stelo di una pianta ancora giovane di rose rampicanti, sono stanziali ma sanno ferire con gentilezza, e la lontananza dal grande fiume impetuoso che tracima ogni manufatto in disuso tra le sue rapide consente loro di fondare l’esistenza su nuove convezioni, o forse sarebbe meglio dire nuove convinzioni.
A Città dell’Uomo Millennium – così questi uomini hanno chiamato la loro comunità – il benessere collettivo inteso come humus del benessere individuale non è una retorica per vendere candidati ai consumatori, ma è un caposaldo reale della vita condivisa. È una finalità da perseguire con metodo.
Quando arrivai a Città dell’Uomo Millennium inviato dal magazine, pronto a versare la mia goccia d’acqua profana nel fiume sacro in tumulto, non avevo troppe speranze. I notabili della Megalopoli che dominano l’inarrestabile traffico di merci sul fiume sacro e che avevano sentito parlare di questo luogo alieno, della vita in voga a tali latitudini e dei suoi pochi membri, li descrivevano come una setta di squilibrati facinorosi, un manipolo di invidiosi che aveva scelto l’esilio anziché affinare la propria abilità a restare a galla tra le correnti paludose.
Eppure hanno torto. Anna, da rappresentante della comunità, mi ha mostrato il DNA del luogo.
Città dell’uomo Millennium non è facile da trovare, è necessaria la guida di qualcuno in grado di arrivarci, ma una volta raggiunta è davvero un bel posto per vivere, un’utopia ancora possibile. Il clima è temperato, ai momenti di tempesta segue sempre una fase meteorologica uguale e contraria di quiete, all’alta pressione segue la bassa e viceversa.
Città dell’uomo Millennium è nata – dicono gli studiosi autoctoni – come reazione a un malessere collettivo: è il risultato della crisi degli antichi capisaldi occidentali, a partire dal cristianesimo, e sorge su tali rovine, ma quel vuoto non è stato sostituito da una nuova teologia a due poli che elegge Tecnologia e Mercato a nuove divinità indiscutibili, come avviene invece nella Megalopoli fluviale.
A Città dell’uomo Millennium tecnologia e mercato sono strumenti, mezzi a servizio del funzionamento del benessere collettivo. Sono stati creati, a garanzia dell’equilibrio, dei comitati regolatori che ne mitigano gli effetti collaterali, la naturale propensione a fagocitare l’armonia dell’architettura sociale, che grazie a tali anticorpi non somiglia a un immenso centro commerciale nel quale chiunque si limita soltanto a ricercare il maggior profitto.
Poiché l’equilibrio della comunità è considerato il vero bene da proteggere nel lungo periodo, le antiche regole della democrazia moderna – una tra tutte la suddivisione dei poteri e il reciproco controllo tra chi si occupa delle vicende pubbliche, tra chi è chiamato a dirimere le dispute e tra chi è chiamato a riportare ogni novità agli altri membri – sono perseguite, non soltanto narrate come principi astratti. E così è scongiurato l’altrimenti ineluttabile imbarbarimento che trionfa nella Megalopoli, dove le impalcature democratiche sono ormai nella migliore delle ipotesi trompe-l’œil di copertura, spettri che celano forme di neo feudalesimo clanico, e nella peggiore fonti materiali di approvvigionamento di ricchezza pubblica da parte di parassiti privati.
Del resto, a Città dell’Uomo Millennium, il fine di tutti è condiviso, e dunque l’ancestrale capacità narrativa dell’uomo è utilizzata per descrivere e analizzare la realtà – con differenze di prospettive, certo, a volte con divergenze d’interessi – e non per creare un panopticon di realtà alternative da scegliere in base ai propri scopi, desideri o bisogni identitari.
Per gli individui che abitano a Città dell’Uomo Millennium, non vi è dunque alcuna necessità di mimetizzarsi, di auto-destituirsi in merce, operando una scissione tra essenza di sé e immagine di sé come si fa con i prodotti in vendita. La conquista dell’identità è un processo culturale libero, non un’esigenza di posizionamento di marketing. La libertà individuale è intrinsecamente collegata alla responsabilità di ciascuno, non è liberalismo pavloviano entro cui ogni desiderio personale deve ideologicamente essere soddisfatto secondo un meccanismo di bisogno seguito dall’acquisito.
Non esistendo la propaganda, nonostante la grande diffusione di telefoni cellulari, a Città dell’uomo Millennium non è mai proliferato un ceto di star dell’informazione, né tantomeno ci sono gli influencer, che nella Megalopoli fluviale sono protagonisti – per la prima volta nella storia – di un attivismo politico volto a confermare e proteggere lo status quo. Dominando la navigazione fluviale infatti, gli influencer della Megalopoli sono ologrammi pervicaci, che raccontano il mondo attraverso infografiche e vittimismi, celando l’entità dei rapporti di forza di produzione reali e rafforzando l’idea generazionale di un mondo in cui esistono solo individui con identico vissuto e possibilità, e un’unica entità autorizzata a testarne il valore, cioè il Dio Mercato, attraverso la forma contrattuale che li unisce.
A Città dell’Uomo Millennium la politica è il terreno di confronto degli uomini migliori, di quelli che più di altri hanno a cuore l’equilibrio sociale: non è, come succede in prossimità del fiume, un far west di conquista dei valvassini più spregiudicati, vogliosi di un posto al sole ben retribuito che faccia ben figurare ai piani alti del grande centro commerciale.
Forse a Città dell’Uomo Millennium possono vivere così perché sono in pochi e si conoscono tutti, cosicché il gruppo riesce a escludere dalle attività comuni chi mette a rischio il bene comune. Ma con me son stati aperti, pronti ad accogliermi, nonostante la mia funzione nella Megalopoli fluviale sia ingrossare la potenza delle correnti. Ma Anna su quest’ultimo punto mi ha spiegato la loro filosofia di fondo: “Non è mai troppo tardi per scegliere l’uomo come fine – mi ha detto – la cosa più difficile è imparare a controllare la propria vanità”.
Sarò in grado di farlo?
Immagine di copertina di Clay LeConey da Unsplash