Tutelare il diritto all’abitare: alcune proposte per garantire l’offerta di alloggi

Scarica come pdf

Scarica l'articolo in PDF.

Per scaricare l’articolo in PDF bisogna essere iscritti alla newsletter di cheFare, completando il campo qui sotto l’iscrizione è automatica.

Inserisci i dati richiesti anche se sei già iscritto e usa un indirizzo email corretto e funzionante: ti manderemo una mail con il link per scaricare il PDF.


    Se inserisci il tuo indirizzo mail riceverai la nostra newsletter.

    image_pdfimage_print

    Negli ultimi anni è stata osservata una tendenza alla ripresa dei prezzi degli affitti in molte delle principali città italiane ed europee, in particolare nei centri storici. Il sempre più marcato sfruttamento turistico di questi ha convinto molti proprietari a convertire i propri appartamenti dai tradizionali affitti a lungo termine al mercato delle locazioni turistiche, soprattutto attraverso piattaforme online come Airbnb.

    Questo processo ha comportato una forte riduzione della disponibilità abitativa per i residenti e un conseguente innalzamento dei canoni. Molti soggetti, tra cui residenti e studenti, sono stati esclusi per questioni economiche da questa scorta residenziale. Questo processo, che nell’ultimo decennio ha subito una considerevole accelerazione, non è mai stato affrontato in maniera efficace né dagli enti locali, né dal governo italiano. Esso va a privare il tessuto urbano “storico” di una parte significativa dei suoi abitanti stabili, sostituendoli con turisti e pendolari, ripercuotendosi anche su quelle attività economiche rivolte ai cittadini stanziali. Da qui nasce la progressiva e autoalimentante monocoltura turistica, in molti contesti in rapida espansione (per restare nel contesto nazionale: Napoli, Bologna, Palermo), in altri ormai sedimentata (Venezia, Firenze).

    Gli ultimi anni hanno portato ad una profonda consapevolezza sulle criticità del fenomeno, che per la prima volta ha cominciato ad essere messo in discussione a livello di governo del territorio, segnando l’inizio di una stagione di tentativi di regolamentazione del settore delle locazioni turistiche.

    La pandemia ha messo sotto gli occhi di tutti quanto una monocoltura turistica sia esposta al rischio di imprevedibili fluttuazioni nella domanda.

    La pandemia di Coronavirus, avendo costretto la maggior parte delle persone all’interno delle proprie abitazioni, ha rimesso in discussione il modello di città che si andava delineando prima della sua diffusione. Settore sempre più decisivo nonché principale forma di sussistenza per un numero crescente di persone, quello turistico è stato particolarmente colpito dal distanziamento sociale e dalle quarantene.

    Nonostante negli ultimi anni il comparto non abbia conosciuto arresti nella sua crescita, nemmeno durante i periodi di crisi economica globale, il 2020 ne ha evidenziato l’estrema vulnerabilità: causando il crollo dell’intera filiera globale, la pandemia ha messo sotto gli occhi di tutti quanto una monocoltura turistica sia esposta al rischio di imprevedibili fluttuazioni nella domanda.

    A soffrire maggiormente sono proprio le città turistiche, nella misura in cui la quasi totalità delle attività dipendono dall’economia del visitatore. L’esito è che al crollo dell’economia turistica nei centri città è rimasto il vuoto, evidenziato anche dal numero crescente di saracinesche chiuse (almeno fino all’avvio di nuove attività), che presumibilmente perdurerà anche durante i prossimi mesi. Se le attività economiche riapriranno gradualmente, la ripresa della domanda turistica a livelli paragonabili a quelli pre-Coronavirus non sembra vicina.

    Questo periodo di “congelamento” di intere porzioni di città sta offrendo però anche il tempo necessario per ripensare l’intera filiera economica; in particolare, la situazione venutasi a creare impone la responsabilità di progettare un nuovo approccio alla residenzialità nei centri urbani post-Covid.

    L’emergenza può quindi diventare un’occasione per cercare di affrontare le criticità già in precedenza rilevate ed esacerbate definitivamente con essa. Tra queste, la fragilità del modello della monocoltura turistica è ora manifesta: trovare un’alternativa sostenibile e socialmente inclusiva è per questo quanto mai necessario. Proprio per questo, in seguito alla pandemia, molti governi urbani stanno sfruttando la situazione creatasi per inasprire le esistenti limitazioni o sperimentare nuove modalità per favorire gli affitti a lungo termine, mentre nuove prospettive di regolamentazione del fenomeno emergono come possibili.

    Si può fare!

    Il momento è particolarmente propizio per intervenire, non solo per l’attuale stallo dei flussi turistici. Lo scorso 22 settembre 2020 la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha infatti emesso un’importante sentenza che ha finalmente chiarito quali siano gli spazi di manovra degli Stati per regolare la materia delle locazioni turistiche (si può leggere qui).

    In estrema sintesi, ciò che emerge dalla pronuncia è che il diritto europeo non impedisce affatto di disciplinare il settore delle locazioni, contrariamente a quanto hanno spesso sostenuto i detrattori di qualsiasi intervento normativo.

    L’art. 41 della Costituzione italiana dispone che l’iniziativa privata “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale”.

    Non solo – ci dice la Corte di Giustizia – il legislatore nazionale può prevedere autorizzazioni preventive per i proprietari che vogliano dare in locazione breve il loro appartamento in “Comuni in cui la tensione sui canoni di locazione è particolarmente elevata”; ma può addirittura subordinare il rilascio dell’autorizzazione a misure compensative “sotto forma di trasformazione accessoria e concomitante di locali aventi un altro uso in abitazioni”. Il tutto “alla luce di obiettivi di varietà sociale e in funzione delle caratteristiche dei mercati locali delle abitazioni e della necessità di non aggravare la scarsità di alloggi”.

    È una decisione che appare in linea con quanto prevede pure la nostra Costituzione: basti ricordare che l’art. 41 Cost. dispone che l’iniziativa privata “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale”, mentre l’art. 42 Cost. riconosce sì la proprietà privata, ma prevede che la legge ne determini “i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale”. Proprio su tali basi, d’altronde, si sono in passato ritenute non contrastanti con il dettato costituzionale previsioni limitative dell’autonomia privata del proprietario-locatore (si pensi al blocco dei canoni di locazione per gli immobili urbani ad uso di abitazione) parte del più ampio regime vincolistico. I presupposti per una seria disciplina del fenomeno ci sarebbero tutti, sia sul piano costituzionale che su quello del diritto europeo.

    Lo sterile dibattito italiano

    Mentre molti Stati europei hanno adottato normative dirette a tutelare il diritto all’abitare contro la diffusione incontrollata delle locazioni turistiche, in Italia si è fatto ben poco, limitandosi a misure minime su questioni di natura fiscale. L’intervento principale, riguardante la disciplina delle cd. “locazioni brevi” del 2017, è rimasto in larga parte inattuato per il contenzioso tra Airbnb e Agenzia delle Entrate e aveva come scopo soprattutto quello di far emergere l’evasione nel settore attraverso l’introduzione della cedolare secca al 21% per i redditi da locazione breve.

    Non hanno avuto maggiore fortuna le misure regionali per semplificare i controlli, con la previsione di obblighi di registrazione e codici identificativi da indicare negli annunci online: basta fare una rapida ricerca sulle principali piattaforme per scoprire come siano pochissimi gli hosts che rispettano tali previsioni.

    In questo contesto, si inserisce la disciplina contenuta nei commi 595-597 della Legge di bilancio approvata lo scorso 30 dicembre, che introduce – tra le altre cose – una presunzione di attività svolta in forma di impresa per i proprietari che affittano più di 4 immobili (che quindi non godrebbero più del regime favorevole della cedolare secca).

    È una misura che – pur seguendo la logica asfittica dei provvedimenti precedenti – probabilmente va nella giusta direzione, perché tende a riallineare i costi e gli adempimenti burocratici delle locazioni turistiche con quelli degli altri operatori dell’accoglienza turistica, riducendo gli eccessivi vantaggi regolatori che avevano favorito l’esplosione del settore (avevamo già proposto qualcosa di simile qui).

    Non sono chiari però i motivi che hanno portato a fissare il limite a 4 immobili e non sono chiare le potenziali ricadute della norma, e se si sono fatti studi in proposito non sembrano aver informato un ampio dibattito nel merito. C’è pure il rischio che non si centri l’obiettivo: basti pensare che nulla si dice dei cd. property managers, ossia quei soggetti che gestiscono decine e centinaia di appartamenti per conto di molti differenti proprietari, i quali continuerebbero ad avvalersi del regime fiscale di favore.

    Nel contesto attuale, questa misura può forse incentivare qualche proprietario a riportare nel mercato della locazione di lunga durata il proprio immobile, ma da sola non è assolutamente sufficiente in una prospettiva di ritorno ai carichi turistici nella misura pre-crisi. D’altra parte, è la norma stessa a dire espressamente che persegue finalità di tutela del consumatore e della concorrenza, non di garanzia del diritto all’abitare.

    Insomma, servirebbe ben altro per assicurare un’adeguata disponibilità di alloggi; di seguito indichiamo qualche proposta.

    Le nostre proposte

    Distinguendo le diverse proposte sulla base delle rispettive competenze di Stato, Regioni ed enti locali, le iniziative per regolare le locazioni turistiche/brevi possono essere le seguenti:

    a livello nazionale: 

    • introdurre autorizzazioni preventive definibili a livello comunale per l’esercizio della locazione turistica, che consentano alle città con emergenza abitativa (si potrebbero considerare tali i “comuni ad alta tensione abitativa” di cui alla legge n. 431/1998) di limitare il numero di locazioni turistiche. Ciò permetterebbe di contenere e controllare il numero di alloggi sottratti al mercato delle locazioni residenziali;
    • introdurre limiti ai pernottamenti, come già ampiamente praticato in altri contesti europei, per esempio in Francia, dove non è possibile locare a breve termine un appartamento per più di 120 giorni l’anno, o ad Amsterdam, dove il limite è di 30 giorni. Lo scopo di tale limite deve essere soprattutto quello di rendere più redditizio l’affitto residenziale rispetto a quello turistico, il quale, con il limite di giorni annui, rimarrebbe un’opzione conveniente solo per quegli alloggi che, per svariati motivi, non rientrerebbero comunque nel mercato residenziale. In questo spirito, il numero da porre come limite dovrebbe essere calibrato sugli specifici contesti locali, dopo uno studio preliminare sul suo impatto reale nel disincentivare, sotto il profilo economico, i proprietari a locare ai turisti;
    • prevedere forme di condivisione dei dati da parte delle piattaforme, nel rispetto dei limiti posti dal diritto europeo. Vista la pervasività del fenomeno, i controlli sull’applicazione reale della regolamentazione, per essere efficaci, non possono infatti gravare solo sulle autorità locali o nazionali. Per questo, è indispensabile imporre per legge che le piattaforme digitali, come Airbnb, collaborino nel controllo di quanto ospitato nei loro siti web, perlomeno in due modi: fornendo ai Comuni i dati aggiornati su annunci e prenotazioni che avvengono tramite le piattaforme e subordinando la pubblicazione di annuncio alla presenza, ben visibile, del codice univoco associato a ciascuna proprietà pubblicizzata. Va invece scartata la strada di accordi ad hoc tra singole città e piattaforme, che si sono dimostrati ben poco efficaci sotto il profilo dei controlli.

    Naturalmente, per far sì che tali interventi siano efficaci ed adeguati, la definizione nel dettaglio delle misure suddette dovrà partire da una solida base conoscitiva e dovrà essere accompagnata da un’attenta valutazione dei potenziali impatti di tale regolamentazione.

    a livello regionale e locale:

    • tramite legge regionale e strumenti urbanistici comunali, introdurre limitazioni al mutamento di destinazione d’uso all’interno della stessa categoria funzionale residenziale (anche a prescindere dall’esecuzione di opere edilizie), distinguendo tra residenza stabile e residenza temporanea/turistica. Ciò consentirebbe di porre un drastico blocco al dilagare delle locazioni turistiche nelle aree in cui si riscontra una maggiore penuria di immobili destinati al mercato residenziale. È necessario tuttavia individuare elementi idonei a distinguere le due tipologie (ad es. durata del contratto di locazione inferiore a 30 giorni) e vi sarebbe pur sempre il limite della cd. “preesistenza vincolante” (non si potrebbe cioè incidere sugli immobili già offerti in locazione turistica). Non si tratta quindi di un percorso rapido e agevole, ma gli strumenti ci sono;
    • prevedere specifici contributi per la riqualificazione di immobili già offerti in locazione turistica, previa stipula di una convenzione quindicennale o atto unilaterale d’obbligo con cui il proprietario che si impegna ad adibire l’immobile ad abitazione principale o a darla in locazione (non turistica).

    Conclusioni

    Tutto ciò che potrebbe servire a regolamentare il fenomeno nel contesto italiano in sede centrale e locale, come si è visto, c’è. La sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha fugato anche gli ultimi dubbi sulla possibilità di muoversi in questa direzione, mentre la situazione di stallo turistico, unitamente all’emergenza abitativa che a lungo perdura in molti contesti italiani, rende il momento particolarmente propizio per attivare in questo senso il legislatore. Gli esempi virtuosi in altri contesti europei sono ormai diversi e hanno cominciato già a mostrare i propri effetti: da questi sarà utile ricavare delle precise linee guida, come noi stessi abbiamo fatto per stilare le proposte di regolamentazione. La consapevolezza del fenomeno e la necessità di cambio di passo per affrontarlo sono perciò evidenti, la volontà politica per farlo ora ne deve essere conseguenza. Se non ora, quando?

    Note