Una mappa dell’abitare a Milano

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    Non: “tutti proletari” ma “tutti proprietari”. Miriamo all’abolizione della servitù proletaria. Si rivendica la proprietà per tutti, poiché tutti hanno il dovere di promuovere lo sviluppo della propria persona e quindi hanno il diritto di disporre dei mezzi necessari. Così Guido Gonella aprì la sua relazione il 25 aprile 1946, chiamato da De Gasperi ad introdurre la discussione per il primo congresso nazionale della DC.

    Una frase, una visione, un modello che ha fortemente orientato le politiche abitative anche sociali trasformando l’Italia in un paese di piccoli e spesso poveri proprietari di casa. Un’Italia che è passata in cinquant’anni da un sostanziale bilanciamento tra abitazioni in affitto (49%) e abitazioni in proprietà (40%), al ribaltamento delle percentuali con il 67% della popolazione cha abita in proprietà e il 22%. Ipotesi proprietaria oggi più che mai entrata in crisi insieme al binomio lavoro stabile e casa in proprietà, uno dei fondamenti dello sviluppo economico nel dopoguerra.

    Una crisi che è nell’esperienza di molti di noi, sempre più mobili e flessibili a inseguire un mercato del lavoro che ci chiama a fare i conti con repentine partenze e professioni precarie. Ma anche di chi, con poche risorse a disposizione, approda nelle città per cercare reddito e lavoro con aspettative di crescita e di radicamento in continua ridefinizione. Come è cambiata la mappa dei bisogni abitativi (in termini, tipologici, localizzativi, temporali) così si è modificata la capacità di una molteplicità di attori (pubblici, privati, del privato sociale, collettivi e movimenti) di mobilitare risorse – di natura non solo finanziaria – per fornire nuove risposte, sia attraverso forme di aggiornamento e adattamento di tradizionali canali di intervento, sia attraverso nuove modalità di azione.

    Un’offerta sempre più articolata e complessa, sebbene sempre più residuale che ci pone di fronte a diversi interrogativi: come sta avvenendo questo cambiamento? Con quali paradigmi? Quale nuova offerta abitativa si sta costituendo? Quali sono i suoi caratteri sociali? Per quali nuovi abitanti?

    Interrogativi intorno a cui il Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano ha attivato una ricerca denominata FOR RENT, durata 18 mesi, che ha voluto ricostruire questo quadro articolato, per leggere le modalità con cui la città si sta attrezzando alle nuove sfide abitative. Oggi, 9 marzo gli esiti della ricerca saranno presentati pubblicamente dalle 14:30 presso l’acquario civico di Milano.

    Aprire un dibattito pubblico a Milano

    Inner London, 63,1% di alloggi in locazione, Berlino, 74,6% di alloggi in locazione, l’area metropolitana di Bruxelles, 75,7% di alloggi in locazione, Milano, 29% di alloggi in locazione, Torino 28% di alloggi in locazione, Firenze 21,9%, Roma 20,3%.

    Milano si posiziona come città perno tra il panorama europeo e quello italiano, con una quota di patrimonio in affitto residuale, ma elevata, se inserita all’interno dei modelli di welfare mediterraneo.

    Cosa rappresenta dunque il 29% di alloggi in locazione a Milano? Una soglia tra due modelli, tra la prospettiva proprietaria e la possibilità di riaprire al tema dell’affitto. Uno spazio che le politiche urbane potrebbero occupare con maggiore decisione e intorno a cui diversi soggetti si stanno già muovendo, anche se spesso in maniera contraddittoria.

    Nel 1991 la quota di alloggi in locazione a Milano costituiva il 44% delle abitazioni occupate pari a circa a 255.200 abitazioni, abitazioni oggi scese a meno di 179.800. Un patrimonio caratterizzato da una forte frammentazione – esito per molti versi della diffusione della piccola proprietà – in cui più del 51% (90.179) delle famiglie che vive in affitto risiede in abitazioni intestate a persone fisiche, un patrimonio su cui le politiche, specie in Italia, hanno storicamente faticato ad incidere in termini di valori locativi e modalità di accesso. In questo panorama l’edilizia pubblica rimane un elemento centrale dell’offerta in locazione: il 33% degli affittuari che abitano a Milano, vivono all’interno di questo patrimonio. Allo stesso tempo è questo un patrimonio che si è ridotto in appena 20 anni del 42%, passando da 63.700 a 36.700 unità abitative.

    Così se da un lato le nuove pratiche dell’abitare guardano sempre di più a modelli flessibili ed economici di modalità di utilizzo della casa, l’offerta abitativa ha visto una continua diminuzione del patrimonio in locazione. Allo stesso tempo nuove retoriche emergenti – l’housing sociale, l’abitare leggero, le comunità collaborative – chiamano ad articolare una riflessione situata e complessa intorno a questo tema, per definire i bersagli di nuove politiche.

    Per tale ragione FOR RENT si è posto l’obiettivo di aprire una discussione allargata “a favore della locazione”, come forma di uso della casa più aderente alle esigenze della società contemporanea e alle condizioni di crisi della città. Per istruire questo dibattito è stato creato un archivio pubblico di dati, un archivio multi-fonte (articoli accademici, atti normativi, convenzioni, articoli web, esplorazioni sul campo, interviste, dataset Istat e Sister) che ha permesso la ricostruzione del quadro dell’offerta e delle politiche di ‘affordable housing’ sul territorio milanese. Questo quadro, inedito per la città di Milano, è stato poi reso pubblico e fruibile all’interno del portale della ricerca.

    Tre temi su cui riaprire il dibattito

    Il quadro attuale riflette l’eredità della nostra storia di politiche abitative e le involuzioni degli ultimi decenni, il declino dell’edilizia pubblica, il quasi azzeramento delle risorse per la casa, lo scambio elusivo tra housing e riqualificazione urbana, ma anche tra housing e politiche di quartiere.

    Tre possono essere le questioni da cui ripartire per ri-articolare un dibattito pubblico che guardi alla locazione e alla sua accessibilità come elementi imprescindibili per lo sviluppo urbano.

    1) Patrimoni nascosti e il vuoto delle politiche

    A Milano c’è un’offerta sociale ‘nascosta’. Nascosta perchè poco considerata e scarsamente studiata  dalle politiche: il patrimonio dei ‘grandi proprietari’, soggetti, fisici o giuridici, ai quali sono intestati almeno cento unità abitative localizzate nel Comune di Milano. Un tema quello delle grandi proprietà poco indagato e segnato da una carenza informativa dovuta ad opacità intorno ai soggetti protagonisti. Ne abbiamo trovati 40, a cui sono intestate 18.040 unità residenziali. Un patrimonio storico ‘per la locazione’, spesso edificato a titolo di investimento obbligato, che vede oggi la tendenza diffusa alla dismissione e alla riconversione dall’affitto alla vendita, con rari casi di nuova costruzione, spesso comunque orientata alla vendita. Un patrimonio che chiama in causa le politiche, in modo diversamente articolato e non sempre coerente, al fine di mantenere questi stock abitativi accessibili anche attraverso spinte alla trasparenza. Una visione che deve guardare a questo patrimonio, come una risorsa comune, adattabile a percorsi sperimentali di gestione e di utilizzo sociale.

    2) Il tema dell’inclusività delle nuove politiche abitative sociale

    Non si può dire che negli ultimi 15 anni a Milano non si siano costruite case, i Piani di recupero Urbano, i grandi (come City Life e Santa Giulia) e i piccoli Piani Integrati di Intervento, i Piani di Riqualificazione Urbana, l’edilizia concordata e convenzionata. Ma quante abitazioni sociali sono state prodotte e di che sociale stiamo parlando? FOR RENT ci ha permesso, per la prima volta di guardare a questi progetti e di leggerli per famiglie.  Abbiamo mappato 3.740 alloggi e oltre 8.027 posti letto (considerando anche gli studentati).

    Progetti caratterizzati, in diversi casi, dall’ingresso nel mercato della locazione sociale del terzo settore. Ingresso che apporta certo diversi contenuti specifici al tema dell’abitare, ma che, allo stesso tempo, ha messo al centro delle politiche sociali il tema della auto-sostenibilità economica degli interventi. Un fattore che è andato a riconfigurare (e non solo retoricamente) il significato di ‘sociale’ nelle politiche abitative, sottraendolo in alcuni casi dal carattere redistributivo tipico delle politiche di welfare. Si guarda sempre di più a giovani coppie, lavoratori temporanei, professionisti precari, al cosiddetto segmento della vulnerabilità abitativa caratterizzato dalla solvibilità dei profili.

    Certamente Un passo avanti per le politiche abitative l’includere nuovi profili sociali, ma che rischia di estromettere dal dibattito il tema della risposta ai gravi processi di esclusione abitativa. Questo processo di decostruzione e ricostruzione del significato di ‘sociale’ ha portato alla creazione di sistemi di valutazione più articolati. In diversi casi i progetti mettono in campo una pletora di strumenti di selezione atti a circoscrivere il target di riferimento, ponendo spesso una questione di trasparenza nei percorsi di accesso alla nuova offerta abitativa sociale.

    La restrittività delle nuove politiche abitative, introiettata nel sistema dei target, si trova così ancora a un passaggio incerto, stretta tra la necessità di aprire a categorie specifiche della domanda abitativa e il rischio di costituire unicamente uno strumento di sostenibilità economica dei progetti. Un tema su cui, nello sviluppo della sussidiarietà delle politiche abitative sociali, appare sempre più centrale aprire un dibattito allargato e plurale che sappia ascoltare anche le posizioni più critiche.

    3) Il tema del rilancio dell’ERP

    Poi ci sono loro, i quartieri popolari, il patrimonio storico pubblico che chiama oggi ad un rinnovato riconoscimento politico. A Milano l’11% del patrimonio abitativo è detenuto dal soggetto pubblico (Aler, Comune, Stato, Regione). Tale patrimonio ha visto, negli ultimi 15 anni, una perdita di oltre 10.500 alloggi, un numero impressionante se paragonato ai 3.740 alloggi di nuova costruzione (di cui peraltro 942 unità pubbliche) messi in campo dai progetti per la locazione. Un patrimonio che deve tornare al centro del dibattito come una risorsa presente e da valorizzare nei suoi caratteri di offerta sociale a basso costo. L’ERP rimane un oggetto centrale nelle politiche abitative, anche se sostanzialmente rimosso nelle retoriche e nel discorso sulla casa sociale. È questo un segmento dell’offerta sociale dal peso determinante, sia per il ruolo del patrimonio storico, sia nel campo della nuova costruzione.

    Un patrimonio che oggi chiede oggi un nuovo riconoscimento in termini di politiche attive e di riattivazione. Una riattivazione che deve passare dal riconoscimento del fallimento delle politiche di alienazione che hanno caratterizzato questo patrimonio negli ultimi 20 anni e che deve guardare piuttosto, nella scarsità di economie, a micro-progetti di riutilizzo e funzionamento a partire dalla risorse e le competenze che possono mettere in campo istituzioni (ce ne vogliono di più) e territori (con un nuovo protagonismo degli abitanti).


    Le citazioni

    Guido Gonnella, I° CONGRESSO NAZIONALE DELLA DC, Roma, 24-28 aprile 1946

    Dati Eurostat – Eurostat People in the EU: who are we and how do we live? , 2015

    Marco Cremaschi, Anna Paola Di Risio, Giulia Longo e di Silvia Lucciarini, Beni comuni locali e coesione sociale: la territorializzazione delle politiche abitative, 2006

    milano

    Questo articolo è frutto di una ricerca di carattere collettivo e interdisciplinare coordinata da Francesca Cognetti che ha visto cooperare nell’equipe di ricerca per il DASTU (in ordine alfabetico): Giuliana Costa, Anna Delera, Andrea Di Giovanni, Luca Gaeta, Agostino Petrillo, Liliana Padovani. Hanno collaborato alla sua realizzazione Elisabetta Capelli, Jacopo Lareno F., Alice Ranzini, Gabriele Solazzi. Hanno nutrito la ricerca con le loro riflessioni Bianca Bottero e Antonio Tosi. Hanno collaborato alla costruzione del database Fabio Manfredini, Viviana Giavarino e Carmelo Di Rosa.

    Note