You’ve got the love. I ragazzi di San Siro alle prese con il loro futuro

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    22 giugno 2023. Oggi Milano appiccica tutta con i suoi 33 gradi centigradi all’ombra, a ricordarci la dinamica di tropicalizzazione del suo clima. Alle 16:00 raggiungo con Marco un centro educativo posizionato proprio sul confine di San Siro, uno dei quartieri di edilizia residenziale pubblica più grandi della città. Marco è un fotografo professionista, io un antropologo urbano. Entrambi collaboriamo con un progetto coordinato dalla Prefettura intitolato “Reinventare la cittadinanza”1Si tratta del progetto n.3867 “Reinventare la cittadinanza. Percorsi di capacitazione di reti e gruppi sociali nel quartiere di San Siro” finanziato dal Ministero dell’Interno attraverso il Fondo Asilo, Migrazione e Integrazione (FAMI) 2014-2020 coordinato da Prefettura di Milano con la partecipazione di Politecnico di Milano, Università Bicocca, Università Bocconi, Associazione Comunità Nuova, Associazione Milano Mediterranea e Itinerari Paralleli impresa sociale., volto a indagare le aspirazioni e le competenze dei giovani residenti in quartiere e rafforzare così la comprensione dei loro bisogni da parte delle organizzazioni del territorio.

    Il progetto è uno dei lasciti di quell’ondata di “panico morale” che ha investito Milano a partire dal mese di aprile 2021, quando un gruppo di ragazzi, in piena pandemia, si era ritrovato in quartiere per girare un videoclip di due noti rapper, scatenando le ansie securitarie della popolazione. I ragazzi di San Siro (il maschile è qui utilizzato coscientemente), stigmatizzati, rappresentati come violenti e pericolosi dai media locali e nazionali, hanno in quell’occasione incarnato il perfetto capro espiatorio contro cui scagliarsi per ristabilire un supposto ordine morale.

    I ragazzi di San Siro infatti spaventano, creano una spaccatura, mostrano qualcosa che non si vuole vedere. Sono ragazzi con un background migratorio, discriminati, non riconosciuti dalle istituzioni, che rivendicano, perlomeno simbolicamente, anche attraverso il rap, un loro posizionamento nella sfera pubblica. Da quell’episodio è scaturito un protocollo d’intesa tra Comune di Milano, Regione Lombardia, Aler Milano e Prefettura di Milano. Ne sono derivati dei finanziamenti che hanno sostenuto alcune progettazioni, tra cui quella per cui lavoro. Penso che in fondo i ragazzi di San Siro ce l’abbiano fatta: scuotendo l’opinione pubblica hanno finalmente messo in moto delle progettazioni giovanili. Resta da comprendere come tali azioni riusciranno a trasformarsi in politiche strutturate.

    ph. Niside Panebianco

     

    Il centro educativo offre un servizio di doposcuola a ragazzi segnalati dai servizi sociali. Marco gli ha proposto un laboratorio a metà tra fotografia e auto-narrazione: due incontri, una passeggiata in quartiere per realizzare dei ritratti, poi rielaborati con scritte e disegni in fase di post-produzione. Marco scatta, io lo seguo, faccio qualche domanda ai ragazzi, cerco di passare un po’ di tempo con loro, di comprenderne il punto di vista sul quartiere, sulla città che lo contiene e sul loro futuro.

    San Siro è caratterizzato da una presenza di popolazione tra 0 e 18 anni superiore rispetto alla media cittadina. Si tratta a volte di giovani appena arrivati in Italia che vivono in condizioni di estrema precarietà; oppure di ragazzi considerati “stranieri” che risentono ancora della difficoltà di inserimento dei loro genitori. Le loro biografie si caratterizzano per un intrecciarsi di dimensioni etniche, di classe, di genere e generazionali da cui dipendono in qualche modo anche le loro aspirazioni. Gli accademici si arrovellano per comprendere quale sia predominante nel loro processo di costruzione identitaria. Ma di fatto si accentuano a livello nazionale e cittadino le divisioni registrate da una maggior polarizzazione economica e sociale (basta leggere, ad esempio, il rapporto “Crescere in Italia, oltre le disuguaglianze” pubblicato da Fondazione Cariplo nel mese di marzo).

    Marco ed io iniziamo a camminare con un gruppo composto da tre ragazzi e un’operatrice. Parlo a lungo con Mohamed (tutti i nomi riportati sono fittizi), diciottenne agganciato al servizio di doposcuola da anni, ormai in procinto di terminare il suo percorso educativo. Mohamed ha finito una scuola alberghiera. Gli piacerebbe fare il barista, ma non sa ancora dove.

    Le progettualità esternate dai giovani intercettati in queste settimane di ricerca prescindono spesso dalle costrizioni strutturali che ne condizionano le esistenze. Come nel caso di Mohamed, i ragazzi di San Siro aspirano a scalare la gerarchia sociale nella quale sono stati inseriti. Si potrebbe dire, utilizzando il gergo delle scienze sociali, che puntano a mete sociali condivise attraverso l’utilizzo di mezzi legittimi. Dalle conversazioni informali emergono raramente atteggiamenti rinunciatari o ribelli, quelli che prevedrebbero la definizione di mete sociali alternative e l’utilizzo di mezzi illegali. Non c’è traccia di “baby gang” nei loro racconti, con buona pace di chi continua a utilizzare questa categoria a sproposito, senza nessuna giustificazione di tipo analitico.

    Continuiamo a camminare. Stefano, un altro ragazzo diciottenne ormai in uscita dal servizio di doposcuola, vuole farsi fotografare sotto la statua del cavallo di Piazzale dello Sport. Marco estrae la sua macchina fotografica dallo zaino e inizia a scattare a ripetizione e da diverse angolature.

    ph. Paolo Grassi

     

    Nel frattempo gruppi di giovani accaldati si muovono in direzione contraria alla nostra per raggiungere l’ingresso dell’area dell’ippodromo in cui stasera suoneranno i “Florence and the Machine”. Una ragazza straniera mi chiede di poter utilizzare per un attimo l’hotspot del mio cellulare per chiamare un’amica. Le dice che il suo telefono si sta per scaricare, di raggiungerla sotto la statua del cavallo. Mohamed e Stefano la osservano incuriositi. Gli chiedo se conoscono l’artista che si esibirà stasera. “Quella che canta «You’ve got the love»”, gli dico. Rispondono di no, continuando a osservare la scena.

    Anche Stefano ha appena finito la scuola alberghiera. Non sa se fermarsi a Milano o se partire per un periodo. Mi mostra dei messaggi su Whastapp di responsabili di cucine che lo stanno contattando per assumerlo.

    I ragazzi di San Siro che ho incontrato sognano conformisticamente di diventare medici, informatici, imprenditori. Laddove viene riconosciuto maggiormente il complicato contesto socio-economico, le progettualità si fanno più concrete, ma non meno ambiziose. Anche l’ambito della ristorazione diviene allora un settore in cui comunque poter far “strada”, ossia soldi e carriera.

    Ci spostiamo verso lo stadio Giuseppe Meazza. Sostiamo all’ombra delle sue torri. Rashid, l’ultimo dei tre ragazzi, vuole provare ad essere fotografato lì vicino. Vediamo furgoni intenti a scaricare materiale per preparare il live dei Coldplay. Quest’estate i concerti organizzati nel solo stadio di San Siro sono stati diciannove, più tutti quelli realizzati nelle aree limitrofe dei due ippodromi. Eventi su eventi alimentano la macchina dello sviluppo urbano di Milano. Al concerto dei Coldplay anche Stefano riuscirà ad andarci, ma come steward a chiamata per un’agenzia interinale. L’area in cui ci muoviamo è uno spazio di frontiera, in cui si sovrappongono pezzi di città divergenti. Che chi può pagare cento euro per un concerto e chi con il suo lavoro precario ne garantisce l’esecuzione.

    Le progettualità dei ragazzi incontrati a San Siro a volte diventano fantasiose, staccandosi dal piano della realtà. Rashid, ad esempio, sogna di diventare un calciatore. Alcuni suoi amici vogliono diventare rapper famosi. Le progettualità fantasiose permettono perlomeno di pensarsi altrove. Dei ragazzi di periferia ce l’hanno fatta e ciò legittima questo tipo di narrazioni.

    Torniamo in fretta verso il centro educativo, mentre le fila di persone che si muovono in direzione contraria alla nostra si ingrossano. Mohamed, Stefano e Rachid le guardano, prendendole in giro. Perché tutta questa fretta, in fondo? Il sole è ancora alto nel cielo e il concerto inizierà almeno fra tre ore.

     

    Immagine di copertina:  photo di Rosella Ferro

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