L’autore dell’articolo, Jim MacNeil, introdurrà il seminario Technology and its Impact on Urban and Domestic Space in programma giovedì 11 ottobre 2018 da BASE, che affronterà i temi accennati qui.
È il 2° appuntamento del ciclo di 5 seminari itineranti Territori di ricerca: natura, città e spazio pubblico, organizzato dal dottorato Urbeur – Studi urbani dell’Università degli Studi di Milano Bicocca, e curato da noi di cheFare. Per tutti gli articoli, gli appuntamenti e i materiali sul seminario vai al Progetto.
Con l’avvento della città delle reti, negli ultimi decenni la società è cambiata rapidamente a causa del ritmo incalzante del progresso tecnologico: l’evoluzione dall’età industriale all’età dell’informazione, come definita da Castells. Sebbene questa evoluzione sia ancora in fieri e la società non si sia ancora lasciata l’età industriale completamente alle spalle, è tuttavia necessario riconoscere i modi in cui queste nuove tecnologie informatiche possono essere utilizzate. A tal proposito, Lorenzo Tripodi, ricercatore di Tesserae a Berlino, nella sua ultima pubblicazione legge la trasformazione dei centri urbani in tre diversi periodi: la città orizzontale, in cui i centri urbani venivano costruiti in pianura e lungo i corsi d’acqua; la città verticale dei grattacieli che si sviluppa verso l’alto dove gli spazi e le costruzioni sono pensati per avere un particolare impatto visivo; e infine, oggi, la città delle reti, definita da spazi virtuali invece che fisici, che permettono a individui e aziende di interagire istantaneamente, e in cui i confini fisici tra città perdono d’importanza in favore di linee di comunicazione virtuali.
La “telescopizzazione” della città, come la definisce Tripodi, è il processo attraverso cui i satelliti hanno creato la possibilità di osservare ed essere ovunque nel mondo, soppiantando la vista dai grattacieli tipici della città verticale. Il cambiamento verso una società delle reti ha permesso ai cittadini di ottenere accesso in tempo reale a prodotti, alloggi, veicoli, informazioni sul meteo, sui trasporti pubblici e molto altro ancora, in concomitanza con i progressi della telefonia mobile. Ciò ha contribuito a sfumare la linea di separazione tra la sfera pubblica e quella privata, e non solo nei tradizionali luoghi pubblici di una città, ma anche in appartamenti, case, veicoli, posti di lavoro, eccetera. Questa virtualizzazione della vita quotidiana, della comunicazione, delle attività sociali ed economiche, della produzione e consumo mediatico ha un forte impatto nella percezione del tempo e dello spazio. La stessa concezione di essere relegati ad un singolo punto nel tempo e nello spazio è cambiata, poiché la tecnologia permette oggi di interagire con altri contemporaneamente in più spazi nello stesso momento.
La maggior parte delle informazioni che accumuliamo proviene da un’esperienza virtuale. Marta Colpani, un’artista che lavora con i molteplici significati dell’immagine, identifica così i due principali significati del “virtuale”: il primo, su cui si concentrerà questo saggio, come riproduzione di spazio reale all’interno di un ambiente digitale, e l’altro in quanto spazio astratto che esiste nella nostra mente e ospita al suo interno i processi virtuali del pensiero. La sovrasaturazione di questi spazi digitali tende a ridurre la nostra percezione di spazio ad una semplice collezione di esperienze audio-visive, spingendoci inconsciamente nella direzione voluta dai creatori di questi contenuti multimediali.
Che sia virtuale o fisico, l’uso dei media sta cambiando la concezione di spazio, riducendo ogni cosa a pubblicità e “trasformando i cittadini in pubblico”, come sostiene Tripodi, permettendo ai social media di farsi registi del modo di rappresentare luoghi e spazi. Non solo gli spazi vengono ideati come luoghi per massimizzare ed ottimizzare l’attività economica, ma le città stesse stanno diventando simboli: “i grattacieli e la loro concentrazione nelle downtown e nei distretti finanziari incarnano l’importanza delle icone e del branding territoriale per l’economia globale”.
La correlazione tra spazio e tecnologia, definita dagli uomini, si è invertita, e oggi svolge un ruolo principale nella definizione dello spazio, e quindi nella nostra percezione di esso. Questa percezione poi definisce le nostre città, oggi viste perlopiù come investimenti economici, specialmente le maggiori metropoli europee: Milano, Barcellona, Parigi, Bruxelles, Amsterdam, Berlino, Londra, eccetera. I cittadini di queste aree urbane stanno diventando più emarginati man mano che le città si sviluppano come centri finanziari e poli di investimenti e tecnologia nazionali. A livello globale possiamo osservare un interesse maggiore per le reti interurbane globali – l’impatto della globalizzazione –, mentre le reti urbane, per una maggiore coesione ai livelli più bassi, vengono invece trascurate. Nel prossimo capitolo vedremo come questo cambiamento nelle percezioni degli spazi urbani, per via dei progressi tecnologici, stia avendo un ruolo di spicco nella ridefinizione dei contesti fisici e sociali delle nostre città.
Infrastrutture urbane
Troppo spesso le città incentrano il loro sviluppo su infrastrutture fisiche, senza badare alle conseguenze sociali. Infatti è proprio su questo che si basa il motore della crescita della città neoliberale: la promozione di investimenti e la creazione di un’immagine della città come ambiente favorevole agli affari. L’attenzione invece dovrebbe essere spostata sulle infrastrutture sociali, l’insieme di strutture, luoghi, spazi, programmi, progetti, servizi e reti per mantenere e migliorare la qualità ed il tenore di vita in una comunità. Estranea sia alla categoria delle infrastrutture fisiche che a quella delle infrastrutture sociali è quella virtuale; utilizzata per analizzare dati complessi e relazioni sociali, essa è invisibile e perciò gli unici che possono accedervi sono coloro che sanno come usare e gestire i dati e le risorse in essa contenuti.
Con questi tre livelli di infrastrutture, fisiche, sociali e virtuali, possiamo iniziare a farci un’idea più chiara dell’entità delle loro funzioni e di come interagiscono tra loro per creare un complesso sistema di reti. Nell’arco dell’ultimo decennio, le infrastrutture fisiche sono divenute più efficienti grazie al rafforzamento della loro capacità di essere interconnesse con la società, e i due livelli si sono rafforzati tra di loro. Grazie alla telefonia mobile, la gente può istantaneamente ricevere notizie sullo stato dell’infrastruttura fisica, e allo stesso tempo connettersi con altre persone nelle loro reti sociali.
Nel dibattito su come sconfiggere povertà e marginalità sociale nel contesto europeo, lo sviluppo di case popolari è generalmente il primo esempio citato; spesso e volentieri sono caratterizzate da un ambiente fisico di bassa qualità, insufficienti servizi locali ed erogazione di welfare, oltre che deboli reti sociali. Con lo scopo di migliorare la sostenibilità sociale delle comunità emarginate, assicurarsi che l’infrastruttura fisica sia già presente può aiutare a spostare l’attenzione sul miglioramento dell’infrastruttura sociale. Tuttavia l’infrastruttura fisica ha un valore molto alto e, con il ridursi dei budget, le municipalità tendono a decidere di investire i propri fondi in aree della città più appetibili. Dall’altro lato, lo sviluppo di un’infrastruttura sociale e di una rete comunitaria con l’aiuto di un’infrastruttura virtuale potrebbe essere un modo per aumentare la coesione sociale di un quartiere, connettere talenti con iniziative locali, e dare vita a metodi decisionali più inclusivi e forme di dialogo tra i vari livelli della società così da emancipare i gruppi emarginati.
La società delle reti ha modo di connettere le masse, ma anche di emarginare molte categorie – come possiamo colmare il divario con le comunità emarginate? Il prossimo capitolo esaminerà come i problemi socio-economici ed ambientali siano connessi tra di loro e come creare giustizia sociale e spaziale utilizzando nuove tecnologie open source.
Creare giustizia sociale e spaziale grazie alla tecnologia
I nostri spazi sono spesso definiti da forze fuori dal nostro controllo, dall’alto, mentre sono pochi i cambiamenti che nascono dal basso. La mappatura di comunità emarginate funge da infrastruttura sociale per le popolazioni locali. Le mappe hanno avuto un ruolo fondamentale nel mobilitare comunità e spingere i cittadini all’azione, e possono diventare uno strumento efficace per raccogliere dati, permettendo così di comunicare con gli organi decisionali locali e identificare le questioni chiave da affrontare. Il concetto di “diritto alla città” di David Harvey è ancora alla base della giustizia sociale e spaziale, in cui egli spiega che è possibile rimodellare i processi dell’urbanizzazione esercitando un potere collettivo. Oggi un modo che si è rivelato efficiente per organizzare le masse di persone necessarie a riunirsi e dar vita al cambiamento è la tecnologia: i social media, si sono attribuiti il ruolo di intermediari nell’organizzazione di manifestazioni ed eventi, e hanno dato vita a reti comunitarie.
Tuttavia i social media oggi contengono anche un elemento che potremmo definire “tossico” che diluisce il loro potenziale. È quindi necessario osservare con attenzione le piattaforme usate (o da usare) da e per le comunità, capendone i vantaggi e cercando, al contempo, di arginarne i pericoli.
Grazie alla tecnologia, le comunità sono diventate reti di persone che condividono interessi comuni ma anche drammi e problemi quotidiani. Quando si mappano delle comunità quindi, non è più possibile pensare a una comunità solamente come gruppo di persone legato a un’entità geografica, bensì a una comunità in rete, interconnessa, che si estende oltre i limiti geografici di un quartiere. Le geografie interconnesse sono composte da elementi fisici e virtuali, legando locazioni spaziali a indirizzi internet e dati geo-localizzati. Con la trasformazione delle reti inter- ed intra-comunitarie nella nostra società, il “diritto all’infrastruttura”, come lo chiama l’antropologo delle città Alberto Corsin Jiménez, e la tecnologia open source diventano uno degli aspetti più importanti delle piattaforme comunitarie digitali.
Con Google Maps tra le applicazioni di telefonia mobile più utilizzate al mondo, assieme a diverse piattaforme di social media, l’importanza che le mappe e le interazioni sociali hanno nella nostra vita quotidiana diventa innegabile. Né Google, né Facebook offrono una tecnologia che gli utenti possono aggiornare liberamente, e nel loro essere giganti dell’informatica privata, i loro codici sono probabilmente tra i più protetti e gelosamente custoditi. Al contrario, Open Street Maps, grazie al suo software open source e la sua flessibilità, sta diventando il punto di partenza della mappatura sociale e delle applicazioni di crowdsourcing. La piattaforma non dovrebbe essere solo open source, ma soprattutto user-friendly e facile da utilizzare, specialmente per coloro che non sono particolarmente avvezzi all’uso di computer e internet – qualcosa che Open Street Map non può però dire di essere.
Tuttavia, come sostiene Tripodi, l’obiettivo non dovrebbe essere quello di “creare una comunità online concentrata su nuovi social media specializzati; l’idea è invece di fornire un’utile estensione digitale alle comunità radicate nel territorio così da ampliare la loro capacità di interagire localmente”. Il processo che porta allo sviluppo di queste piattaforme diventa più importante delle piattaforme stesse. È quindi necessario trasformarle in un processo sostenibile capace di rafforzare la condivisione di conoscenze delle comunità e la loro abilità di collettivizzarsi. La partecipazione civica a lungo termine è incentivata dall’abilità di poter dare informazioni sugli abitanti della zona nel tempo e nello spazio. Dato che la rete sociale di un territorio immobile nello spazio varia nel tempo, essa incorpora i pattern migratori intergenerazionali di popoli e culture, e la mappatura e visualizzazione di rituali, stagioni e vacanze.
Il ruolo dei centri comunitari
Mentre le città si adattano a una società tecnologica in continua mutazione, il nostro ruolo di facilitatori diviene più cruciale nell’assistere i cittadini di comunità emarginate. Se questi non riuscissero ad adattarsi al ritmo dei cambiamenti della società, finirebbero per esserne ancora più disconnessi. Questi strumenti digitali devono essere intesi come tali all’interno di un processo integrato e non un fine ultimo, qualcosa che dev’essere costantemente aggiornato così da stare al passo con il l’andatura veloce della tecnologia, e sventarne l’eventuale l’obsolescenza.
Per una sostenibilità sociale a lungo termine, queste reti comunitarie hanno bisogno di interazioni faccia-a-faccia tra i residenti e la creazione di ruoli definiti e capitale sociale. Pappalardo e Gravano hanno dimostrato nel caso del Patto di Fiume Simeto, in Sicilia, che un nuovo tipo di dialogo tra comunità auto-organizzate e le istituzioni è necessario, dato che nessuna delle due parti in questione è consapevole del bisogno di riformulare le interazioni con la controparte. Questa consapevolezza deve arrivare da un’organizzazione esterna che faccia da mediatrice neutrale, il cui scopo sia quello di connettere i diversi livelli di spazio mediando tra i residenti, le associazioni locali, le istituzioni e i privati. Inoltre, l’organizzazione deve essere il portale delle informazioni, dei dati rilevanti ottenuti e delle piattaforme digitali che li contengono, così da rafforzare la rete della comunità.
La quantità di informazioni ottenuta da organizzazioni comunitarie può essere difficile da analizzare, specialmente se aggiunta ai naturali problemi che una comunità si trova già ad affrontare. LA tecnologia dovrebbe essere lo strumento per analizzare e immagazzinare facilmente una grande quantità di informazioni, condividerle con altri membri della comunità e raggiungere il pubblico desiderato, pubblicare storie e narrazioni, mappare spazi con potenzialità, eccetera. A questo fine la tecnologia può aiutare le organizzazioni comunitarie a gestire processi complessi a lungo termine. Nel caso della tecnologia open source, il facilitatore si limiterà alla mediazione, così che sia la comunità, una volta istruita in modo da assumersi le proprie responsabilità, a popolare i vari livelli della piattaforma di mappatura, coinvolgendo se stessi e altri cittadini, oltre che entità sia pubbliche che private.
Che aspetto avrebbero le mappe se le comunità potessero rappresentare le loro idee, i loro desideri e bisogni? Che contributo può dare la tecnologia al raggiungimento di questo obbiettivo? Come può migliorare la qualità dell’ambiente fisico e dei servizi locali, rafforzare le reti sociali, pur puntando i riflettori sui problemi locali degli abitanti di zone emarginate della città? Con il cambiamento del modo in cui percepiamo le città, le viviamo e pianifichiamo, gli abitanti delle zone più emarginate sentono sempre di più gli effetti della globalizzazione. Eppure, le tecnologie utilizzate dalle metropoli globali per interconnettersi e beneficiare le une delle altre possono essere usate a vantaggio di queste comunità svantaggiate. I modi per unire infrastrutture fisiche, sociali e virtuali esistono già anche se la loro concretizzazione, per via di più urgenti problemi sociali affrontati dalle popolazioni locali, sembra ancora lontana. I centri comunitari locali avranno un ruolo importantissimo nel portare alla luce queste soluzioni, fungendo da catalizzatori per il cambiamento e da reti di supporto locali, aiutando i quartieri a dar vita a nuove connessioni nell’era della società delle reti.
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