“Se avessimo avuto l’umiltà di riconoscere che erano stati commessi degli errori legati soprattutto a questa esplosione, questo ingrandimento, questo sviluppo impetuoso della comunità, io penso che l’opinione pubblica avrebbe capito.” Cosa può raccontare Sanpa oltre a sé stessa?
L’esperienza di San Patrignano è stata ed è così peculiare e totalizzante nel suo farsi da generare una sorta di narrazione centripeta che sembra lasciare pochi spazi per considerazioni e soprattutto apprendimenti che vadano oltre il suo perimetro.
Eppure, lo sdoganamento della sua storia nel format delle docu-serie Netflix merita un momento di riflessione, che intanto deve prendere atto del merito dell’opera di ri-portare alla ribalta dell’Italia un preciso pezzo di storia contemporanea del Paese già dimenticato. Dell’Italia e non solo, visto che il colosso di Los Gatos ha ritenuto questo racconto degno di una propria “produzione originale”, e quindi di una distribuzione in 190 paesi del mondo. E per quanto il framework commerciale sia indubbiamente quello in cui si muove l’operazione – ché nulla di ciò che Netflix fa può sottrarsi a una rigidissima logica di mercato – sarebbe tuttavia miope limitarne il valore al suo ritorno economico.
A proprio modo, infatti, Netflix pretende per le proprie produzioni un lavoro di ricerca “certificabile” e non a caso di risvolti socio-culturali l’operazione ne ha già avuti: l’OTT ha saputo canalizzare un’attenzione mediatica e di pubblico sulla serie estremamente significativa, portando sia gli spettatori che i più svariati studiosi e commentatori a prese di posizione che sembrano replicare la dialettica dell’epoca, dimostrando così quanto siano ancora ingombranti gli elementi che hanno caratterizzato la comunità delle colline riminesi.
Netflix ha saputo canalizzare un’attenzione mediatica e di pubblico sulla serie estremamente significativa, portando sia gli spettatori che i più svariati studiosi e commentatori a prese di posizione che sembrano replicare la dialettica dell’epoca.
Ma appunto, cerchiamo di non farci risucchiare dall’operazione in cui Sanpa riesce benissimo, dal protagonismo messianico dei suoi personaggi e dalle leve emotive che esercitano sullo spettatore, per osservare meglio almeno due dimensioni che soggiacciono a questa esperienza e alla sua narrazione, entrambe forse talmente evidenti da essere trattate, spesso, in modo sbrigativo.
La prima dimensione è rappresentata dall’ambito in cui si inserisce l’esperienza di San Patrignano, il Terzo Settore, ovvero quel complesso di organizzazioni volontaristiche, associative e d’impresa sociale, di cui Sanpa è, almeno a titolo formale, parte ma rispetto al quale rappresenta anche una grande eccezione. Motivo per cui, forse non a caso, non sono moltissime le voci che si levano da questo mondo e tra le poche, la maggior parte lo fa per “smarcare” la propria vicenda storica rispetto a quella raccontata.
La seconda è proprio il medium che ha prodotto e veicolato Sanpa: un player relativamente “giovane” del sistema mediale, che tuttavia non è neutrale come si potrebbe pensare, ma piuttosto impregna produttivamente e artisticamente le proprie opere fino curvarne i messaggi per l’ottenimento di una specifica reazione dell’utenza (ovvero per il mantenimento e continuo rafforzamento del proprio risultato economico di cui sopra: è Netflix, bellezza!).
Nel mezzo, l’ago della bilancia è sempre il ruolo del pubblico, in particolare di quel segmento, sempre più vasto e nebuloso, che commentando, elaborando, rilanciando produce (o forse meglio alimenta) “opinione” e che trova non poche analogie nella relazione con questi due elementi apparentemente scollegati.
Per quanto riguarda Netflix, si può ormai già cogliere una trasformazione che in parte contraddice la sua rappresentazione più consolidata presso quello che è stato, almeno fino a ora, il suo pubblico di riferimento. Oggi più che mai affermato come leader globale dello SVOD, Netflix vive continuamente sul crinale della propria sostenibilità, una sostenibilità resa possibile solo ed esclusivamente dall’ampliamento della propria base di utenza, che non può più essere composta solo né dagli early adopters, né dalle nicchie iniziali.
Netflix per rimanere Netflix deve costantemente competere con sé stessa e trasformarsi, paradossalmente inseguendo (mutatis mutandis) alcune dinamiche della tv generalista. Semplificando (forse troppo) si potrebbe sostenere che le scelte produttive e artistiche prese per Sanpa dimostrano una volta di più come Netflix si stia allontanando – ammesso che lo sia mai stato – dall’idea di essere un medium specialistico, sia per quanto riguarda le modalità di fruizione e che la tipologia di contenuti. Dimostra anzi come stia progressivamente moltiplicando e diversificando le produzioni, attingendo da temi e vicende che sono insieme locali e di interesse generale, come quella di San Patrignano appunto, per conquistare un segmento di pubblico più ampio.
Tuttavia, lo fa usando un approccio ben diverso rispetto dal canone di disruption tipico di innovazioni di questa natura e che alcuni detrattori della piattaforma tendono sbrigativamente a evocare: Netflix, infatti, deve conciliare la conquista di nuove fette di pubblico senza rischiare troppo di perdere per strada i palati “più fini”, che pur accettando (e spesso beffeggiando) l’imperfezione delle sue produzioni originali – e pure del suo catalogo – tuttavia saprebbero rinunciarvi a fatica. Ma non solo.
L’ago della bilancia è sempre il ruolo del pubblico che commenta, elabora, e rilancia producendo (o forse meglio alimentando) “opinione”.
Questo intento “nazional popolare” emerge anche nel tentativo di comprimere la fruizione “liquida” dello streaming in un tempo relativamente definito, grazie alle massicce campagne promozionali condotte paradossalmente anche proprio sui media tradizionali, pur di ri-costruire, non a caso, una “sincronizzazione di comunità”1Luca Barra, Oltre le solite storie, https://www.rivistailmulino.it/item/2969 ma anche in Luca Barra, Palinsesto. Storia e tecnica della programmazione televisiva, Laterza 2015., che risolve il bisogno dello spettatore on-demand di sentirsi meno solo.
In sintesi, Netflix ricrea in forma emulativa una dinamica da tv generalista di “alta qualità”, curando in modo stringente le proprie produzioni originali proprio perché è nel delicato equilibro tra autorialità e nazional-popolarità che può accontentare le diverse utenze di cui ha bisogno per garantire la propria esistenza.
Il format narrativo della docu-serie nasce senza riferimenti alti a cui essere paragonato e si presta a mixare materiali d’archivio che aumentano il potere evocativo della narrazione a materiali originali, che una volta raccolti secondo un metodo d’indagine simil-sociologico e realizzati secondo standard qualitativi decorosi sono più che sufficienti a garantire il risultato.
Da questo punto di vista, Sanpa appare tutt’altro che l’esito di un processo valutativo analitico, specialistico appunto, o registicamente pretenzioso, bensì – nonostante le dichiarazioni di neutralità e rigore metodologico dei produttori rispetto al loro oggetto d’indagine – un prodotto dove la valutazione è più emotiva, quindi carica di conseguenze per uno spettatore che viene trascinato in una vicenda da cui è impossibile distaccarsene.
Stando (o sembrando) così le cose da un punto di vista mediatico è davvero difficile non pensare che quell’universo di esperienze parallele o divergenti rispetto a Sanpa, che rientrano nello stesso ambito di attività, non rappresentino un terreno oltremodo fertile da essere sfruttato “drammaturgicamente”, ora più in chiave artistica e culturale, ora secondo più aggressive logiche di marketing.
Pur non essendo tema esplicitamente citato dalla docu-serie, è chiaro come le fratture sociali che si aprono, nel tempo, in varie aree di bisogno (nel caso specifico dell’epoca, a seguito del problema delle dipendenze, ma poteva valere anche per la salute mentale, come oggi potrebbe essere l’accoglienza dei migranti o le risposte alla pandemia) lasciano sistematicamente il campo alle iniziative di Terzo Settore, rispetto a uno Stato almeno sulle prime incapace di rispondere e a un mercato assente nel campo del welfare (o presente al massimo come filantropo, esattamente come emerge nel caso molto specifico di San Patrignano).
Nell’assenza di risposte alternative e quindi di vincoli, storici e dialettiche con cui confrontarsi, il campo d’azione in cui queste organizzazioni intervengono è letteralmente illimitato, così come le soluzioni generate hanno tutta l’unicità e la dirompenza della creazione. A questa consegue però un ciclo di vita che ormai sembra codificabile per un intero ambito: fuor di metafora, deve passare dall’intuizione e dalla leadership carismatica dei pionieri, alla progressiva e faticosa, strutturazione organizzativa; dall’adozione di approcci di aiuto e cura “apocrifi”, alla strutturazione di veri e propri modelli di servizio, fino alla diversificazione delle attività e dei modelli di sostenibilità.
Qualsiasi organizzazione complessa che maneggia una materia complessa e multisfaccettata presto o tardi si troverà a dover bilanciare trade-off tali da metterne in discussione tanto i propri valori fondanti quanto il business model. L’opinione pubblica, insieme alla numerosità assoluta di quel pubblico, possono determinare la vita o la morte di queste realtà, che appartengano al Terzo Settore o al più aggressivo dei mercati, come quello dello streaming service oggi.
Il messaggio che emerge da Sanpa rischia di diventare profetico rispetto al business model di Netflix, non meno di quanto il modello Netflix abbia condizionato la ri-scrittura della storia di San Patrignano. Le tematiche della docu-serie non a caso hanno permesso a Netflix di lavorarci in modo tale da rispondere ai propri obiettivi di mercato, radicalizzando quei chiaroscuri di cui il Terzo Settore è intrinsecamente permeato, stante anche le finalità “civiche, solidaristiche e di utilità sociale” che lo connotano (come recita la recente legge di riforma del comparto) e che lo espongono a fenomeni più o meno evidenti di deviazione dalla mission, in particolare quando il settore cresce in termini dimensionali e di visibilità.
Sanpa preferisce (deve?) concentrarsi proprio sulle “deviazioni” del modello San Patrignano, che quindi assurgono a dato costitutivo della narrazione. A essere onesti, non si tratta di un problema soltanto di questo prodotto audiovisivo ma, con tutta la varietà di toni possibili, di molta parte di cinema del reale (sia di fiction che di documentario) che viene attratto da quegli ambiti intorno ai quali il Terzo Settore è presente (o dovrebbe esserlo), pur faticando molto a rappresentarlo nella sua complessità.
Probabilmente perché è lo stesso Terzo Settore, in questi anni contraddistinti da iper-definizioni normative e dichiarazioni di missione, ad aver elevato una sorta di barriera identitaria che rende difficile coglierlo a tutto tondo, senza cadere nella banalizzazione o nella lesa maestà.
Rimane, in sintesi, una difficoltà congenita a raccontarlo, se non semplificandone o estremizzandone i connotati – lavorando cioè su quelle dimensioni archetipiche irrinunciabili per qualsiasi drammaturgia e che il Terzo Settore sa perfettamente incarnare, per cui l’eroe deve sconfiggere il male, e nel proprio viaggio incontra aiutanti e falsi amici, conosce la caduta e compie la propria trasformazione contro il volere degli antagonisti.
Esattamente quello che ha fatto più che bene Netflix in Sanpa: presentare una storia basata su questi archetipi adatti a un pubblico generalista, eppur trattati con un interessante filtro dell’ambiguità, sia in scrittura che in montaggio, figlio del cinema d’autore, allo scopo di sollevare (e spaccare) un’opinione pubblica quanto più trasversale – affinché tutti ne parlino, il giorno dopo, in ufficio come al bar. Nulla di diverso da ciò che faceva Vincenzo Muccioli, consapevolmente o meno, all’apice della propria ascesa.
“Sanpa è entrato in crisi quando ha pensato che l’immagine pubblica fosse più importante della sua verità interiore. Perché l’immagine pubblica faceva più colpo, faceva più impressione, ti dava più consenso. Quella è una strada di perdizione. Ti perdi. Perdi la tua anima. Perdi la tua verità. Che è una verità sempre sfuggente sempre molteplice spesso contraddittoria. Però è la vita che è così. Se tu chiudi la porta a quella verità chiudi la porta alla vita cioè smetti di evolverti”. Così riassume l’esperienza di San Patrignano Fabio Cantelli, quel personaggio che nel corso della docu-serie emerge come il vero protagonista, o quanto meno come la più riuscita e imperfetta creazione di Muccioli. Come del resto è Sanpa, per Netflix.