Rosetta al Lorenteggio. Questioni di classe

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    Dal mio punto di vista di antropologo, le parole chiave, volendo parlare di classe/ceto/casta, sono due, e cioè Differenza e Riconoscimento. Tutte le società strutturano le differenze associandole a dislivelli e pretendono che quelle differenze si riconoscano tra di loro, quando possibile naturalizzandole: maschi/femmine, ricchi/poveri, colti/ignoranti, bianchi/neri, adulti/non (ancora/più) adulti.


    soumahoro al mercato lorenteggio

    Sabato 15 settembre 2018 alle 18.30 Rosetta torna in classe con Aboubakar Soumahoro al Mercato Lorenteggio, Milano.

    Quali sono le classi sociali oggi? Quali le forme di sfruttamento? Possediamo degli antidoti? In che modo il genere e le migrazioni incidono su questa stratificazione?

    Partecipano: Aboubakar Soumahoro, Edoardo Albinati, Francesca De Masi, Pietro Vereni


    Le migrazioni degli ultimi cinquant’anni (non più costrette, per diverse ragioni, all’assimilazione forzosa) hanno introdotto in questo sistema di differenze e riconoscimenti una nuova valenza alla variabile “cultura” producendo, soprattutto nei contesti metropolitani, la cosiddetta “superdiversità”, vale a dire la presenza concomitante in spazi ristretti di una varietà di usi e costumi non sono altissima in termini quantitativi, ma anche qualitativamente molto sofisticata, cosciente di sé, attenta al riconoscimento non solo come dovere reciproco, ma anche come diritto da rivendicare.

    Non che non esistessero differenze culturali nella precedente strutturazione sociale italiana, ma erano facilmente lette come “dislivelli interni di cultura”, quasi repliche secondarie e ridondanti di ben più profonde determinanti gerarchiche di ordine economico (tipo di lavoro, modello abitativo).

    La cultura delle classi egemoni era insomma concepita come superordinata rispetto a quella delle classi subalterne, ma lo sfondo pensato più o meno compatto della cultura nazionale rendeva la differenza un sistema di varianti dialettali, in una combinatoria regionale che si poteva gestire ideologicamente come uniforme (e sintetizzo con “ideologicamente” tutte le contraddizioni insite in questo tipo di approccio, che non vedeva ebrei, sardi, grecani, arbreshe, walser, valdesi, tirolesi, occitani, sloveni eccetera, a causa del suo nazionalismo metodologico).

    La recente presenza riconoscibile di differenze non riconducibili tanto facilmente ad alcuna unità nazionale, anzi desiderose di veder riconosciuta la propria specificità, ha portato a ripensare il rapporto differenze economiche/differenze culturali in modi insoliti per il panorama politico e culturale del paese, seguendo però linee interpretative storiche e consolidate.

    Mentre la Destra ha continuato a sopravvalutare le differenze genericamente culturali come fattori dis-integrativi (“non ce la farete mai a entrare nella nostra società perché la vostra cultura è troppo diversa dalla nostra”), la Sinistra sta correndo il rischio opposto, di sottovalutare cioè in modo particolare alcune espressioni della differenza culturale, viste solo come sintomi di un disagio da risolversi per intero sul piano sociale (“non importa che lingua parli, e ancor meno conta che dio preghi, quel che conta è che tu appartenga al sistema delle classi sfruttate dal sistema globale”). Per rapidi cenni, racconterò nel mio intervento due casi romani che forse ben esemplificano questo contrasto di visioni.

    Nel caso dell’integrazione scolastica delle cosiddette Seconde Generazioni vedremo che le politiche messe in atto tendono a sopravvalutare il ruolo della cultura nel determinare il successo (o l’insuccesso) scolastico, mentre molti studi disponibili ci dicono che in realtà sono fattori di ordine sociale (il salario e l’impiego dei genitori, e il loro desiderio di emancipazione economica) a determinare la carriera scolastica degli studenti “senza cittadinanza non italiana”.

    Viceversa, vedremo che la partecipazione di molti stranieri ai movimenti di lotta per la casa si può realizzare solo a patto di attenuare gli spigoli della differenza culturale di cui sono portatori fino a ricondurli a una patina esteriore, non essenziale per la loro identità effettiva, traslata interamente in una condizione di classe che, rispetto alle epoche passata, ha solo la caratteristica di essere multicolore, ma nella sostanza è rimasta relegata alla sua condizione di subalternità.


    Immagine di copertina: ph. Gerrie van der Walt da Unsplash

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