Leggere il calo delle nascite

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    Quest’anno più del solito, il tradizionale comunicato dell’Istat sugli indicatori demografici ha generato un fervore di attenzione e di commenti. Nulla che non fosse già prevedibile – e ampiamente previsto – da chi è del mestiere, ma sono ormai diventati molto visibili gli sviluppi di quelle che erano tendenze di lungo corso, ben consolidate, principalmente sul crollo delle nascite.

    Eppure, con 58 milioni e 990.000 persone residenti al 1° gennaio di quest’anno, la popolazione italiana – in riduzione costante dal 2014, quando aveva toccato il massimo di 60,3 milioni di persone residenti – sembrerebbe aver inaspettatamente arrestato il suo declino.

    Ogni anno ci veniva annunciata la scomparsa, dal territorio italiano, di una popolazione equivalente a quella di una città medio-grande: nel 2023 la diminuzione si è limitata invece a 7.000 abitanti, un numero molto contenuto, e che potrebbe rassicurare chi teme il declino demografico.

    Il bilancio fra nascite (379.000) e morti (661.000) continua a essere pesantemente negativo: meno 281.000 persone. Ma quello fra nuovi e nuove residenti arrivate dall’estero (+ 416.000, fra cui molte persone dall’Ucraina) e le cancellazioni anagrafiche di chi ha trasferito la residenza all’estero (- 142.000, soprattutto giovani donne e uomini italiani) è stato ampiamente positivo (+ 274.000), arrivando quasi a compensare la diminuzione avvenuta per fattori naturali.

    Oltre che sul numero delle persone residenti, l’immigrazione ha esercitato un effetto positivo sulla struttura per età, portando a un complessivo ringiovanimento della popolazione: il guadagno in termini di bambini, bambine, persone giovani e adulte straniere fino a 44 anni è di oltre 277.000 unità.

    Oggi, donne e uomini stranieri costituiscono il 9% della popolazione residente. Non si riflette mai abbastanza su quanto potrebbe essere utile, oltre che giusto, fare in modo che queste persone entrino a pieno titolo in una collettività di cui già fanno parte solo per lavorare.

     

    Immagine di copertina di Siarhei Plashchynski su Unsplash

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