Nuove forme di impresa ad alto impatto sociale

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    Dagli “ibridi organizzativi” alla misurazione dell’impatto sociale, passando per l’innovazione e l’impresa sociale. Neve Mazzoleni intervista Paolo Venturi (da Il Giornale delle Fondazioni).

    Come è nato Ibridi organizzativi scritto a quattro mani con Flaviano Zandonai?

    É un’osservazione che abbiamo effettuato sulla rete del Consorzio CGM. L’allora Presidente Claudia Fiaschi ci aveva segnalato la presenza di cooperative sociali in trasformazione, border line fra l’avere finalità sociali, ma forme organizzative da impresa profit. E in effetti abbiamo scoperto tante imprese for profit, società per azioni, che non ripartiscono gli utili, pur mantenendo finalità sociali e producendo beni e servizi di utilità comune.
    Sono a tutti gli effetti “ibridi organizzativi”.
    In Europa esistono già modelli di impresa come questi. Pensiamo al mondo anglosassone dove profit e nonprofit operano sul mercato insieme (la cosiddetta formula del low profit), oppure ai Paesi del Nord (la Svezia ad esempio), dove Pubbliche Amministrazioni e Non profit si associano per la produzione di beni e servizi, rompendo il rapporto fra committente/fornitore che tipicamente regola le relazioni fra PA e Terzo Settore.

    É in atto una rivoluzione?

    L’innovazione è un processo ciclico, già vissuto in altri periodi. Anche per le cooperative sociali si tratta quindi di una naturale evoluzione verso nuove forme di governance. La novità è l’introduzione della componente partecipata, dove l’approccio è multi-stakeholder. Tutti, intendo Stato/Mercato/Terzo Settore partecipano alla produzione di valore, che non è solo economico e di profitto, ma sociale. Non esiste più la dicotomia fra lo Stato Committente che incarica il Terzo Settore nell’erogazione esternalizzata di beni e servizi di utilità sociale, contro il Mercato e le imprese di profitto. Oggi sono tutti chiamati a produrre valore. L’impresa sociale si trova a vivere il passaggio dall’ Utente al Cliente, dunque si deve trasformare da Operatore Sociale a Imprenditore, producendo così un processo di disintermediazione rispetto allo Stato.

    Ma non si rischia una perdita di identità per il Terzo Settore?

    Non credo. Anzi, penso ci siano elementi di stimolo per produrre valore e contaminare altri ambiti. Prima l’utente beneficiava del servizio. Ora la domanda è pagante, riconosce un valore economico e sociale al servizio, accetta lo scambio.
    La competizione sul mercato si gioca su questo fronte: il Cliente riconosce la dimensione sociale, la produzione di valori diversi dal solo profitto, ma che colpiscono la dimensione relazionale, di comunità, di benessere comune.
    Se un Poliambulatorio promosso da imprese sociali vuole competere sul mercato deve essere capace di valorizzare I servizi, I benefici, gli impatti che genera sulla comunità. Il valore aggiunto sociale è l’elemento di posizionamento. Questo genera anche un’economia inclusiva e territoriale, dove la relazione con il Cliente e l’ascolto dei bisogni sono fondamentali. Una tipologia di impresa che non delocalizza, ma che si lega ai soggetti e comunità, sostenibile e che si apre ad investimenti territoriali.

    Teniamo conto che gli “ibridi” che abbiamo esaminato del Consorzio GCM (2013), investono più di tutti: su 900 imprese sociali in 16 regioni, 73 organizzazioni di questo tipo hanno investito 38 milioni di Euro su un totale di 370 milioni. La loro attività imprenditoriale produce un valore di 50 milioni di Euro.

    Gli ibridi sono sempre esistiti, ma come società strumentali (es. nell’agroalimentare, nei servizi, ecc) Gli ibridi che noi abbiamo osservato sono invece delle “newco” che germogliano in seno alle cooperative sociali e poi vengono spinoffati fuori, per attrarre investitori e generare management specifici. Stanno attraendo flussi finanziari, dunque stimolano la ripresa economica con modalità innovative.

    Continua la lettura su Il Giornale delle Fondazioni

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