Fine del lavoro: rivoluzione e accelerazione

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    Lavoro nel campo dello sviluppo software da più di 25 anni, e ho goduto di un punto di vista privilegiato sulla straordinaria accelerazione della potenza computazionale.

    Ho anche assistito da vicino agli enormi progressi realizzati sul fronte della progettazione software e degli strumenti per accrescere la produttività dei programmatori.

    saggiatore

    Pubblicazione in collaborazione con la casa editrice Il Saggiatore

    Ed essendo proprietario di una piccola impresa, ho visto la tecnologia trasformare il mio modo di gestire l’azienda: in particolare ciò ha implicato un drastico calo della necessità di assumere personale da impiegare in molte attività di routine che sono sempre state essenziali nella gestione di ogni azienda.

    Nel 2008, mentre la crisi finanziaria mondiale imperversava, iniziai a riflettere seriamente sulle implicazioni di quel continuo raddoppio della potenza computazionale, e in special modo sulla probabilità che trasformasse completamente il mercato del lavoro e tutta l’economia negli anni e decenni successivi. Il risultato fu il mio primo libro, The Lights in the Tunnel: Automation, Accelerating Technology and the Economy of the Future (La luce in fondo al tunnel. Automazione, accelerazione tecnologica e l’economia del futuro), pubblicato nel 2009.

    In quel testo, pur occupandomi dell’importanza dell’accelerazione tecnologica, sottovalutai la rapidità con cui i progressi sarebbero effettivamente avvenuti.

    Per esempio, osservai che le case automobilistiche stavano lavorando a sistemi anticollisione allo scopo di contribuire alla prevenzione degli incidenti, e suggerii che «nel tempo questi sistemi potrebbero evolversi in tecnologie in grado di guidare una vettura in modo autonomo».

    Ebbene, a quanto pare non ne è passato molto, di tempo! Un anno dopo la pubblicazione del libro Google ha lanciato un’automobile pienamente automatizzata capace di muoversi nel traffico. E da allora tre stati americani – Nevada, California e Florida – hanno approvato leggi per autorizzare i veicoli senza conducente a percorrere le strade entro certi limiti.

    Nel libro parlai anche degli avanzamenti nel campo dell’intelligenza artificiale (Ia). All’epoca la storia del computer Ibm chiamato Deep Blue e di come avesse sconfitto il campione mondiale di scacchi Garri Kasparov nel 1997 costituiva forse la dimostrazione più impressionante dell’intelligenza artificiale in azione.

    Sono rimasto sorpreso quando Ibm ha presentato il successore di Deep Blue, Watson, una macchina che si è trovata ad affrontare una sfida molto più ardua: il quiz televisivo Jeopardy!.

    Gli scacchi sono un gioco basato su regole rigorosamente definite; è il tipo di attività in cui potremmo aspettarci che un computer se la cavi bene. Jeopardy! è tutt’altra cosa: un gioco che richiede un corpus quasi illimitato di conoscenze e una sofisticata abilità di analisi linguistica, compresi giochi di parole e battute di spirito.

    Il successo ottenuto da Watson in Jeopardy! non solo è impressionante, ma molto concreto, e di fatto Ibm sta già proponendo Watson come una tecnologia in grado di svolgere un ruolo significativo in campi come la medicina e i servizi per i clienti.

    Si può scommettere che quasi tutti saremo sorpresi dai progressi dei prossimi anni e decenni. La nostra sorpresa non si limiterà alla natura intrinseca degli avanzamenti tecnologici: l’impatto di questo progresso accelerato sul mercato del lavoro e in generale sull’economia è destinato a sfidare gran parte delle opinioni diffuse sull’intreccio fra tecnologia ed economia.

    Una convinzione molto comune che senza dubbio sarà messa in discussione è quella secondo cui l’automazione rappresenta una minaccia soprattutto per i lavoratori con scarsa istruzione e competenze di livello inferiore.

    Tale convinzione scaturisce dal fatto che i loro lavori tendono a essere di routine e ripetitivi. Prima di assimilare quest’idea, però, pensate alla velocità a cui si sta spostando la linea di demarcazione. Un tempo un lavoro «di routine» avrebbe probabilmente implicato lo stare in piedi lungo la catena di montaggio.

    La realtà oggi è ben diversa. Anche se le occupazioni che richiedono minori competenze continueranno senza dubbio a subire ripercussioni, moltissimi colletti bianchi con un’istruzione universitaria scopriranno che anche il loro lavoro è sotto tiro, a mano a mano che l’automazione basata sul software e gli algoritmi predittivi si avvantaggeranno di un rapido sviluppo delle proprie capacità.

    Il fatto è che «di routine» potrebbe non essere l’espressione migliore per descrivere le professioni che hanno maggiori probabilità di essere minacciate dalla tecnologia. Un termine più calzante potrebbe essere «prevedibili».

    Può un’altra persona imparare a svolgere il vostro lavoro studiando una documentazione dettagliata di tutto ciò che avete fatto in passato? Può padroneggiarlo ripetendo attività che voi avete già portato a termine, come studenti che effettuano test di preparazione a un esame?

    Se la risposta è affermativa, ci sono buone probabilità che un giorno un algoritmo possa riuscire ad apprendere in gran parte, o interamente, il vostro lavoro.

    Ciò è reso ancora più probabile dal continuo sviluppo del fenomeno dei «big data»: varie organizzazioni raccolgono una quantità inconcepibile di informazioni su quasi ogni aspetto delle loro attività, ed è verosimile che moltissimi impieghi e compiti siano condensati in quei dati – in attesa del giorno in cui farà la sua comparsa un algoritmo intelligente di apprendimento automatico (machine learning) che inizierà a istruirsi da solo esplorando la documentazione lasciata dai suoi predecessori umani.

    L’implicazione di tutto questo è che, in futuro, non necessariamente il fatto di acquisire più istruzione e maggiori competenze offrirà uno scudo efficace nei confronti dell’automazione occupazionale.

    Pensiamo all’esempio dei radiologi, i medici specializzati nell’interpretazione delle immagini mediche. La professione richiede una lunghissima formazione, solitamente un minimo di tredici anni dopo le scuole superiori. I computer, però, stanno migliorando rapidamente nell’analisi delle immagini.

    È piuttosto facile figurarsi che un giorno, in un futuro non troppo lontano, quello del radiologo sarà un lavoro svolto quasi esclusivamente da macchine.

    In generale, i computer stanno diventando molto esperti nell’acquisire abilità, soprattutto quando c’è a disposizione una grande quantità di dati da cui apprendere.

    È probabile che le occupazioni di basso livello, in particolare, subiranno forti ripercussioni; esistono prove della possibilità che ciò stia già accadendo.

    Negli ultimi dieci anni gli stipendi dei neolaureati sono diminuiti, e fino al 50 per cento di loro è costretto ad accettare un impiego che non richiede una laurea. A dire il vero in molte professioni qualificate – tra cui l’avvocato, il giornalista, lo scienziato e il farmacista – l’occupazione sta già subendo un’erosione significativa a opera di tecnologie dell’informazione sempre più avanzate.

    E non sono le sole: a un certo livello, la maggior parte dei lavori è fondamentalmente di routine e prevedibile, e solo un numero relativamente basso di persone è pagato in primo luogo per occuparsi di mansioni davvero creative o per pensare in modo visionario.

    Via via che le macchine si faranno carico del lavoro di routine e prevedibile, i lavoratori si troveranno ad affrontare una sfida senza precedenti, nel tentativo di adattarsi.

    In passato, la tecnologia dell’automazione tendeva a essere piuttosto specializzata e a rivoluzionare un settore occupazionale per volta, i cui lavoratori, in seguito, passavano a un nuovo settore emergente dell’economia.

    La situazione oggi è assai diversa. Le tecnologie dell’informazione sono usate in modo realmente generalizzato, e il loro impatto sarà avvertito ovunque.

    Le nuove tecnologie verranno assimilate nei modelli di business, ed è probabile che in pratica ogni settore esistente richiederà una minor quantità di manodopera, una transizione che potrebbe verificarsi in tempi piuttosto rapidi.

    Al tempo stesso, i nuovi settori che emergeranno, incorporeranno quasi sempre fin dall’inizio potenti tecnologie volte a ridurre la manodopera. Grandi imprese come Google e Facebook, per esempio, sono riuscite a diventare famose e a raggiungere una capitalizzazione di borsa stratosferica pur assumendo soltanto un numero infinitesimale di persone in rapporto alle proprie dimensioni e all’influenza che esercitano.

    Abbiamo tutti i motivi per aspettarci che maturi uno scenario analogo nell’ambito di quasi tutti i nuovi settori che verranno creati in futuro.

    Tutto ciò porta a pensare che siamo diretti verso una transizione che metterà sotto enorme pressione sia l’economia che la società. Molti dei tradizionali consigli forniti ai lavoratori e agli studenti che si preparano a entrare nella forza lavoro saranno probabilmente inefficaci. La triste realtà è che moltissime persone faranno tutto nel modo giusto – almeno per quanto riguarda l’acquisizione di un’istruzione superiore e di competenze professionali – ma non riusciranno comunque a trovare una collocazione nella nuova economia.

    Al di là dell’impatto potenzialmente devastante della disoccupazione e sottoccupazione di lungo termine sulle vite degli individui e sul tessuto sociale, ci sarà anche un notevole prezzo economico da pagare. Il circolo virtuoso tra produttività, aumento dei salari e incremento della spesa al consumo verrà meno.

    Le retroazioni positive di questi fattori sono già diminuite considerevolmente: assistiamo a una disuguaglianza in forte aumento, non solo nei redditi, ma anche nei consumi.

    Il 5 per cento più ricco delle unità domestiche è attualmente responsabile di quasi il 40 per cento delle spese, e sembra quasi certo che la tendenza verso una crescente concentrazione ai vertici continui.

    Il lavoro rimane il principale meccanismo attraverso il quale il potere d’acquisto finisce in mano ai consumatori. Se tale meccanismo continuerà a essere intaccato, affronteremo la prospettiva di un numero consumatori in buona salute finanziaria insufficiente per continuare a trainare la crescita della nostra economia basata sul mercato di massa.

    I progressi nelle tecnologie dell’informazione ci stanno spingendo verso un punto critico che finirà per ridurre la domanda di manodopera dell’intera economia. Ma questa transizione non si dispiegherà necessariamente in modo uniforme o prevedibile.

    Due settori in particolare, l’istruzione superiore e la sanità, finora hanno resistito fortemente al genere di rivoluzione che si sta già palesando nell’economia più in generale. Il paradosso è che l’incapacità della tecnologia di trasformare questi settori potrebbe anche amplificare le sue conseguenze negative altrove, poiché i costi della sanità e dell’istruzione diventeranno sempre più gravosi.

    La tecnologia, ovviamente, non plasmerà il futuro da sola. Si intreccerà invece con altre grandi sfide sociali e ambientali, come una popolazione sempre più anziana, il cambiamento climatico e l’esaurimento delle risorse.

    Si sente spesso ripetere la previsione secondo cui si avrà una carenza di lavoratori via via che la generazione del baby boom uscirà dalla forza lavoro, di fatto compensando – o forse addirittura superando ampiamente – l’impatto dell’automazione.

    La rapidità dell’innovazione in genere viene vista come un mero contrappeso, con il potenziale per ridurre al minimo, o addirittura cambiare di segno, la pressione che esercitiamo sull’ambiente.

    Però, molte di queste supposizioni poggiano su fondamenta incerte: le cose saranno senza dubbio molto più complicate.

    Piuttosto, la spaventosa realtà è che se non riconosciamo le implicazioni del progresso tecnologico e non ci adattiamo, potremmo trovarci davanti alla prospettiva di una «tempesta perfetta» in cui l’impatto di una disuguaglianza sempre più marcata, della disoccupazione tecnologica e del cambiamento climatico prenderanno forma più o meno in parallelo, e sotto certi aspetti si amplificheranno e si rinforzeranno a vicenda.

    Nella Silicon Valley, l’espressione «tecnologia disruptive», cioè di rottura, viene ripetuta ovunque con nonchalance.

    Nessuno dubita che la tecnologia abbia il potere di sconvolgere interi comparti industriali e di rivoluzionare certi settori dell’economia e del mercato del lavoro.

    La domanda che pongo è: possibile che, se vogliamo continuare a vivere nella prosperità, l’accelerazione tecnologica rivoluzioni il nostro intero sistema al punto da rendere necessaria una ristrutturazione dalle fondamenta?


    Pubblichiamo un estratto dal saggio di Martin Ford, Il futuro senza lavoro (Il Saggiatore)

    Note