Maker. Alla rivoluzione con la stampante 3D?

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    Nel 1769 Richard Arkwright inventò il primo filatoio meccanico (un risultato molto simile lo ottenne, più o meno contemporaneamente, anche James Hargreaves) dando così inizio a una lunga serie di meccanizzazioni del lavoro che portarono a quella che è riconosciuta come la prima rivoluzione industriale.


    Rosetta va in paradiso. Dalla fabbrica alla manifattura 4.0
    L’8° appuntamento con il ciclo di incontri Rosetta  è mercoledì 8 Novembre 2017 al Fablab OpenDot, in via Tertulliano 70 a Milano. L’incontro seguirà la traccia delle trasformazioni di Milano: dalla città-fabbrica alla nuova città 4.0.

    19.00 – Rosetta va in paradiso con Enrico Bassi, Giorgio Falco, Andrea Fumagalli, Cecilia Manzo. Modera Andrea Daniele Signorelli. Alle 21.00 Dj set di Matteo Saltalamacchia

    Partecipazione gratuita su prenotazione. L’evento Facebook è qui


    Oggi, in maniera del tutto simile, una serie di innovazioni tecnologiche porta molti osservatori a parlare di “quarta rivoluzione industriale”. Si sostiene che l’economia sia stata investita da una trasformazione radicale, che vede l’emergere di attività economiche, imperniate su modelli neo artigianali, affiancate alla diffusione di nuove tecnologie nei processi produttivi, come il digital manufacturing e l’uso di software per la progettazione e condivisione in rete di disegni e prototipi.

    Questo cambiamento è stato accolto da alcuni autorevoli osservatori della società contemporanea come una nuova rivoluzione industriale che sta cambiando rapidamente il modo di progettare, produrre e consumare. Uno dei pionieri di questa rivoluzione è il maker, il nuovo artigiano digitale che fa con mani, mente e computer; le stampanti 3D sono l’attrezzatura archetipica che consente la sua espressione; e i laboratori in cui opera sono i luoghi dove la rivoluzione germina e sperimenta il suo potenziale.

    Maker e città. La rivoluzione si fa con la stampante 3D? (i Quaderni, Fondazione Feltrinelli, 2017) è il frutto di un lavoro collettivo in cui si è scelto di guardare ai laboratori maker come a un elemento cruciale di una più ampia trasformazione in atto, con un fuoco specifico. Sono osservati infatti nella relazione che essi intessono con la città ampiamente intesa: popolazioni, edifici, ambiente, immaginari.

    Il fenomeno del making è fortemente radicato nella società e nello spazio urbano tanto che spesso è indicato come un elemento chiave per la ri-urbanizzazione della produzione manifatturiera. I laboratori dei maker – aperti, condivisi e accessibili – rappresenterebbero nuovi ambiti di relazione con la città. Anche la politica urbana identifica le pratiche ad essi associate come possibili nuovi driver di sviluppo locale.

    I laboratori maker rappresentano uno degli aspetti della fabbricazione digitale più visibile, sono luoghi fisici, inseriti molto spesso in contesti urbani, e che potenzialmente hanno un potente impatto sulle città. In secondo luogo sono contesti in cui è possibile trovare una commistione tra innovazione tecnologica e valori (culturali, morali e politici) che conferiscono un senso all’innovazione stessa.

    Ed è questo ultimo aspetto che, soprattutto, trova il suo humus nella città, perché nel contesto urbano si concentrano istituzioni, persone ed eventi, e si diffondono saperi e culture, più che altrove. Così accade anche per quello che sta attorno alla fabbricazione digitale: non solo il fenomeno si proroga in maniera più veloce e coinvolgendo più persone, ma nella città, per la densità di eventi, contatti, istituzioni e luoghi dedicati, è più facile che si diffonda anche la filosofia che sta alla base di questo fenomeno.

    La tecnologia innovativa della fabbricazione digitale si sviluppa nella città contemporaneamente all’emergere dell’ideologia della produzione e del consumo collaborativo, che risulta capace, grazie alle nuove tecnologie della comunicazione, di connettere persone su temi di interesse comune e di farle collaborare per condividere idee, servizi e beni materiali (anche solo permettendo a due sconosciuti di utilizzare la stessa automobile, invece di possederne una ciascuno).

    In realtà la filosofia che sottende lo sviluppo della fabbricazione digitale, e che sembra essere il punto di partenza di molti dei luoghi in cui si realizza, parte da molto più lontano e attinge a un mix di cultura americana del “do it yourself” e cultura hacker di riappropriazione, redistribuzione e democratizzazione dei processi produttivi. La spinta alla condivisione, già presente in queste visioni, viene facilitata e resa esponenziale dalle tecnologie per la comunicazione.

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    Adattamento dell’introduzione al volume Maker e città. La rivoluzione si fa con la stampante 3D? , a cura di Marianna d’Ovidio e Chiara Rabbiosi, i Quaderni, Fondazione Feltrinelli, 2017.

    Se questa è la visione che sottende allo svilupparsi di un movimento legato alla manifattura digitale, non significa però che tutti i protagonisti la condividano o che siano mossi esclusivamente da essa nelle loro azioni. Questo è un passaggio cruciale: se da un lato i maker si ispirano a visioni del mondo comunitarie e democratiche, essi operano sempre e comunque all’interno del mercato, in cui il profitto, il più delle volte, diventa il motore principale delle scelte strategiche.

    La relazione con la politica, inoltre, rischia di stemperare la spinta rivoluzionaria o alternativa che ha mosso, ad esempio, alcune pratiche di hacking a cui i laboratori maker si ispirano. Infine, non bisogna dimenticare che, oggi, condivisione e visioni alternative all’economia capitalistica rappresentano anche delle retoriche utilizzate per puri scopi promozionali, indipendentemente dalla reale adesione da parte dei maker.

    Maker e città nasce dall’esigenza di porre dei quesiti: Il making riesce ad attivare dei percorsi di rigenerazione urbana? Nei laboratori maker si produce davvero conoscenza aperta e condivisa? Questi spazi rappresentano delle risorse per il territorio? In che modo identificano un processo di ri-urbanizzazione della produzione manifatturiera? Le risposte a queste e altre domande sono state formulate grazie a una serie di ricerche empiriche con due obiettivi.

    Da un lato descrivere un fenomeno di cui, nella sua relazione con la città, si sa ancora molto poco. Dall’altro, fornire un quadro analitico utile per provare a proporre una prima valutazione delle relazioni che la fabbricazione digitale intesse con la città. Accanto a Milano, una delle città al mondo con maggior densità di laboratori maker, nel volume trovano spazio anche riflessioni su altri contesti italiani e internazionali che sono raccolte intorno a tre assi principali. Il primo è quello della relazione tra laboratori maker e la società urbana nel suo insieme (in cui trovano spazio i contributi di Chiara Rabbiosi, Letizia Chiappini e Guido Anselmi). Il secondo prende in esame l’economia (Cecilia Manzo, Marianna d’Ovidio).

    Il terzo affronta le sfide della politica, attraverso un’esplorazione delle politiche urbane incentrate sui laboratori maker implementate a Milano e a Barcellona (Stefano di Vita e Marc Pradel). Infine il volume si chiude con un confronto presentato sotto forma di conversazione tra due esperte di città, rappresentanti di due discipline contigue che guardano la città: Corinna Morandi, urbanista, e Serena Vicari, sociologa urbana.

    L’ambito delimitato da maker e città che questo libro esplora è in rapida evoluzione. Probabilmente la fase sperimentale dei laboratori maker è giunta oggi a maturazione e la ricerca prossima ventura dovrà cercare di entrare più esplicitamente nelle dinamiche relazionali che questi spazi sanno generare rispetto agli altri modelli di sviluppo.

    Bisogna ancora indagare in profondità se, e fino a che punto, il making (oggi oggetto anche di specifiche politiche) sia davvero in grado di stimolare dei processi di innovazione economica, sociale e spaziale, riorganizzando quanto avviene lungo i due grandi assi di produzione e consumo, e di società e mercato. Solo così si potrà comprendere il vero portato di “rivoluzione” della fabbricazione digitale nella e per la città.


    Maker è città. La rivoluzione si fa con la stampa 3D? è un Quaderno della Fondazione Feltrinelli a cura di Marianna d’Ovidio e Chiara Rabbiosi. Con contributi di Guido Anselmi, Letizia Chiappini, Stefano di Vita, Marianna d’Ovidio, Marc Pradel, Chiara Rabbiosi e un’intervista a Corinna Morandi e Serena Vicari. Qui per scaricare l’ebook

    Note