Come il digitale sta cambiando la vita alle donne arabe

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    Immagini stereotipate delle donne arabe come deboli, docili, vittime e sottomesse, persistono ancora fino ad oggi nell’immaginario globale. Gruppi e organizzazioni di fondamentalisti islamici e terroristi come Talebani e ISIS, film di Hollywood come “Not Without My Daughter” (1991), la storia della fuga di Betty Mahmoody dell’Iran, e “Hala” (2019), lo scontro della diciassettenne pachistana americana Hala Masood con i valori della sua famiglia conservatrice, e diversi mezzi di comunicazione di massa in generale, hanno contribuito a convalidare ed a perpetuare tali stereotipi in vari modi. 

    Sono tante le donne arabe che lottano da decenni contro tali cliché, nonostante gli ostacoli che hanno influenzato, e che influenzano ancora, il loro sviluppo e il loro status nella società, tra cui; l’incomprensione e l’errata applicazione della religione musulmana, l’alta percentuale di analfabetismo nel MENA region, la posizione socio economica non ottimale della donna araba e la tendenza di certe donne, con capacità intellettuali limitate, a seguire passivamente dei costumi e delle tradizioni che le svalutano come persone e come cittadine.

    Dal 21 al 23 ottobre si terrà a Rovereto la quinta edizione del festival organizzato dall’associazione Informatici Senza Frontiere, dedicato all’impatto sociale dell’innovazione tecnologica.
    Tre giorni di incontri, dibattiti, conferenze, laboratori per riflettere sulla tecnologia come fattore di inclusione e integrazione per anziani, disabili, giovani, migranti, e per tutte le persone che la travolgente mutazione tecnologica in atto rischia di marginalizzare.
    cheFare e Luca Sossella editore propongono un percorso di avvicinamento al festival con una serie di approfondimenti, dialoghi, recensioni che esplorano la frontiera lungo la quale linguaggi digitali e ridefinizione delle identità sociali si incontrano, interagiscono e si modellano reciprocamente. 

     

    Oggigiorno, vivendo in una società digitalizzata, le donne arabe hanno trasmigrato la loro lotta nel cyberspace e sono diventate, di conseguenza, produttrici attive di contenuti multimediali, che consentono loro di informare un pubblico più ampio delle proprie sfide, sforzi creativi e prospettive culturali sfruttando le tecnologie digitali. Le tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC) digitali, i quali si sono infiltrati quasi in tutti gli aspetti della vita quotidiana/offline di milioni di arabi, nonostante il perdurante divario digitale nella regione, hanno permesso alle donne di assumere una nuova forma di partecipazione, di leadership, di avvocatura, di imprenditorialità e di organizzazione basata sulla produzione/riproduzione e diffusione di contenuti, oltre alla creazione e  sviluppo di reti sociali nazionali e internazionali. 

    Le donne saudite e le tecnologie digitali

    L’Arabia Saudita è la nazione più segregata per genere al mondo, è l’unica nazione che proibisce alle donne di guidare l’auto, l’unica nazione che richiede a ogni cittadina adulta di vivere sotto la supervisione di un parente maschio da cui deve avere un permesso formale prima di poter ottenere un passaporto, completare determinate questioni legali o viaggiare all’estero, l’unica nazione che obbliga le donne a seguire un dress code di abbigliamento regolato da un’interpretazione rigorosa della legge musulmana. La donna saudita, infatti, è chiamata ad indossare la cosiddetta “abaya”, un lungo mantello totalmente nero, senza nessuna decorazione, altrimenti viene inseguita e rimproverata dalla polizia religiosa che pattuglia le strade. 

    Ultimamente, le cose stanno cambiando nel Regno dell’Arabia Saudita, da una parte grazie alla gran volontà e il coraggio delle donne saudite di lottare fino in fondo per ottenere i loro diritti e per emanciparsi da un sistema patriarcale e, dall’altra parte grazie al loro uso della tecnologia moderna come strumento di attivismo digitale. La cosa più notevole dell’attivismo digitale della donna saudita è che il progresso nella società è diventato più veloce e che le paure e le apprensioni si siano placate. Infatti, sono tante le organizzazioni ed i movimenti che sono migrati dall’offline verso l’online per garantire maggior supporto internazionale e maggior influenza nazionale. Uno di questi, è il movimento “Women to Drive”. 

    In Yemen le tecnologie digitali vengono usate da parte delle donne per sensibilizzare la sfera pubblica su questioni come lo stupro coniugale, le molestie sessuali ed i matrimoni precoci.

    A partire dal 2007, il movimento “Women to Drive” ha iniziato ad avviare campagne online, principalmente su Youtube e Facebook, sfruttando queste piattaforme per incoraggiare più donne a guidare le macchine in città. La prima versione di tali campagne è stata avviata dalla scrittrice Wajeha Al-Huwaider nel 2008. L’ultima, invece, chiamata “Women2Drive campaign”, si è tenuta nel giugno 2011 con l’attivista Manal Al-Sharif. 

    In quell’anno Manal al-Sharif, decise di richiedere la patente di guida. Quando le fu respinta la domanda, Manal rispose con un video pubblicato su YouTube che documentava lei mentre guidava un’auto in pieno centro a Gedda. Manel fu subito arrestata da parte della polizia religiosa. Tuttavia, il suo arresto spinse il pubblico globale a prestare maggior attenzione alla campagna Women2Drive participando nella pubblicazione e nella diffusione dell’hashtag #Women2Drive su Twitter. Il 17 giugno 2011, circa 40 donne saudite in tutto il paese presero il volante contestando il divieto, pubblicando le loro foto su Twitter. Una di loro è Shayma Jastaniyya, la quale fu arrestata e condannata a subire dieci frustate. 

    Dopo questo episodio, per sette anni, le donne saudite hanno continuato a provocare la loro società conservatrice pubblicando in continuum video e foto di loro alla guida. Nel 2018 l’Arabia Saudita ha concesso alle donne il diritto di guidare, una mossa storica che ha aperto una finestra su nuove libertà per le donne che hanno vissuto a lungo sotto leggi repressive. Seguendo le stesse tattiche le donne saudite stanno lottando tutt’oggi, per ottenere maggior libertà stressando la loro cyber lotta, questa volta, sull’autorità maschile. 

    Il cyber attivismo e il giornalismo partecipativo 

    L’attivista tunisina Lina Ben Mhenni è stata una delle prime donne arabe a capire il potere delle tecnologie digitali e a capire la relazione tra connettività digitale, accesso all’infrastruttura dell’informazione e cambiamento democratico. Infatti, durante l’ondata di proteste che ha investito la Tunisia nel 2011 Ben Mhenni ha trasformato i media digitali nel suo paese da dei semplici strumenti per il networking e l’intrattenimento a degli strumenti per il giornalismo partecipativo e per il cyber attivismo. 

    Ben Mhenni è stata tra le prime donne arabe a seminare le basi del giornalismo partecipativo nel mondo arabo ovvero, la raccolta, la diffusione e l’analisi di notizie e informazioni da parte del pubblico online. Nella sua documentazione delle proteste e degli abusi del regime dell’ex presidente Zine El-Abidine Ben Ali con video, foto e brevi post su Twitter e su Facebook, Ben Mhenni ha avuto la capacità di agire come “un cane da guardia” diffondendo in diretta streaming informazioni ad attori regionali e siti di notizie internazionali. Infatti, Ben Mhenni con il suo blog “A Tunisian Girl” ha sostituito i media tunisini, i quali inizialmente hanno “chiuso un occhio” sulle proteste in corso. 

    L’attivista tunisina Lina Ben Mhenni è stata una delle prime donne arabe a capire il potere del digitale

    La stessa cosa è successa in Egitto con Zeinab Mohamed che, durante le proteste egiziane, ha dimostrato sia l’importanza del giornalismo partecipativo sia la necessità di utilizzare piattaforme multimediali per diffondere le informazioni, pubblicandole su Twitter, Facebook, YouTube, Flickr e sui siti di media tradizionali. Guidata dalla consapevolezza di essere indipendente da qualsiasi particolare autorità statale, Zeinab ha documentato la rivoluzione egiziana in arabo e in inglese facendo appello a un pubblico locale, regionale e internazionale. 

    Zeinab con il suo attivismo online, ha provato a dare seguito a ciò che ha iniziato la giornalista Israa Abdel-Fattah, la prima attivista egiziana a utilizzare i social media per aiutare a organizzare manifestazioni antigovernative durante la rivoluzione egiziana. “The Facebook Girl”, Israa tramite il suo gruppo di Facebook chiamato “6 aprile”, trattava temi come la libertà di parola, il nepotismo nel governo e l’economia stagnante del paese. Dopo dieci anni dalla rivoluzione del 25 gennaio, il nome di Israa è tornato a far rumore. Lavorando come giornalista e coordinatrice dei social media per il sito di notizie Tahrir News, un sito bandito dal regime di Abdel Fattah al-Sisi, Israa ha condotto proteste antigovernative online criticando massivamente la dittatura dell’attuale presidente. Dopo le sue proteste, Israa è stata accusata di appartenenza a un’organizzazione terroristica e diffusione di notizie false. Dopo aver trascorso nelle prigioni egiziane quasi due anni, senza processo, Israa è stata liberata proprio in questi ultimi giorni.

    In Yemen, invece, le tecnologie digitali vengono usate da parte delle donne per sensibilizzare la sfera pubblica su questioni come lo stupro coniugale, le molestie sessuali ed i matrimoni precoci. A tale proposito, lo Yemen ha uno dei più alti tassi di matrimoni precoci al mondo. Uno studio dell’UNICEF del 2017 ha rilevato che il 32% delle donne yemeniti di età compresa tra 20 e 24 anni si è sposata prima dei 18 anni e il 9% si è sposata prima dei 15 anni (UNICEF 2017). Nadia Al-Saqquif è stata tra le prime donne yemeniti a porre l’attenzione globale su questo fenomeno adottando la causa di Nujood Ali, la prima bambina di dieci anni a chiedere il divorzio in Yemen. Nadia con una serie di campagne di sensibilizzazione online è riuscita a trasformare tale fenomeno in una causa internazionale portando, alla fine, un cambiamento nelle leggi del paese.

    La partecipazione della donna araba al settore Tech 

    Il settore della tecnologia è un campo relativamente nuovo senza stereotipi di genere, il che rende moderatamente facile per le donne farne parte. Una delle prime donne arabe ad invadere il campo delle Tech fu la siriana Noor Shaker. Nel 2008, Noor lasciò la Siria per l’Europa per perseguire la sua passione per l’intelligenza artificiale (IA). Dopo il master, Noor ha trascorso otto anni come ricercatrice di machine learning a Copenhagen, in Danimarca, concentrandosi sull’applicazione della tecnologia nei computer games. Noor ha co-fondato Generative Tensorial Networks (GTN), un’azienda che combina computer quantistici con l’intelligenza artificiale per accelerare la creazione di nuovi farmaci. I suoi significativi progressi per l’industria farmaceutica l’hanno portata a ottenere un posto nella lista “Innovators Under 35 Europe” nel 2018. Un anno dopo, ha occupato uno spazio nella lista “100 Women” della BBC. 

    Sono in tante le donne arabe come Noor Shaker che sono riuscite a costruire un nome di successo nel mondo Tech avviando le proprie attività/startup. Tra questi nomi vi sono le due libanesi Ayah Bdeir e Hind Hobeika, l’egiziana Dina El-Mofty, l’emirata Rouda Al Shamsi e la tunisia Wala Kasmi. Queste donne hanno avuto il coraggio di abbattere le barriere di genere e di mostrare che la donna araba non è debole, docile, vittima e sottomessa. 

     

    Immagine di copertina: ph. Mohammed Hassan da Unsplash

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