Aleksandr Grin scriveva nel 1917 “Il futuro si è per così dire spostato da dove dovrebbe essere” e Svetlana Aleksievic sostiene che il nuovo futuro non è al suo posto, siamo entrati in un tempo di seconda mano. Nel tempo di seconda mano, le aspettative sociali, culturali e politiche stanno disattendendo la proiezione passata. In peggio. La crisi ha inciso sulle fragilità sociali di tutti, a tutti i livelli, e ha, soprattutto, indebolito i rapporti politici, ancorché sociali.
Guglielmo Ferrero affermava che la paura sia l’epicentro del potere politico. Secondo lo storico, la paura, nelle sue forme collettive, rappresenta un fattore di progresso o di regresso delle società, ma è senza dubbio uno dei motori della società: “l’uomo vive da sempre al centro di un sistema di terrori, in parte naturali, in parte creati da lui stesso”.
Le correlazioni tra futuro di seconda mano, crisi, paure e politica vanno a tracciare le traiettorie del presente, e invitano ad una costante riflessione.
In questi mesi l’architettura delle paure si sta riaffermando in modo chiaro nelle città europee, intrecciando nuove fragilità e scegliendo chiari destinatari dei timori.
Da una parte un fenomeno emotivo e irrazionale del terrorismo che sta agendo sul territorio europeo rappresenta un produttore costante di pericoli possibili e di nemici inafferrabili, spesso ricondotti all’idea di straniero. Sebbene non ci sia nessuna correlazione tra processi migratori ed episodi di violenza e terrore, nel senso comune questa correlazione diventa paradigma, e costante generatore di paure. Dall’altra quel mutamento sistemico che Loïc Wacquant descrive come “il passaggio dallo Stato Sociale allo Stato Penale” che ha espanso la cultura del controllo e aumentato controllati e controllanti, processi sociali di esclusione, timori e pericoli.
I dati dell’Osservatorio europeo sulla sicurezza registrano un aumento della percezione dei migranti come un pericolo per la sicurezza, dato ritornato a salire negli ultimi anni che oggi, secondo la ricerca, viene condiviso dal 46% del campione.
Un dato così alto non si era registrato dal dicembre 2007, quando, a seguito della morte di Giovanna Reggiani, la paura degli stranieri, allora definiti come “clandestini” nel racconto collettivo, aveva toccato il 51%.
Dieci anni di trasformazioni sociali, di crisi economica, di cambiamenti globali e i meccanismi della paura continuano ad essere collegati agli stessi fenomeni, declinati con nuovi lessici, ma attuati secondo schemi molto simili. La paura, infatti, viene costantemente prodotta e riprodotta da un racconto manicheo che oppone noi e un altro, straniero, nemico, spesso immaginato criminale.
Le pagine dei sociologi e dei filosofi si sono sprecate nel tentare di analizzare questo meccanismo atavico di costruzione di comunità e rassicurazione attraverso la produzione di alterità, ma il fenomeno si presenta e si ripropone negli stessi modi, alterando obiettivi e lessici, erodendo gli spazi di comunità e condivisione e rafforzando dinamiche private di possesso ed esclusione.
Quello che cambia è tuttavia il contesto: le città di oggi sono più affaticate di quelle di dieci anni fa, e questa sofferenza si registra soprattutto ai margini, che si trovano ad essere portatori di prossimità e di fatiche, perché come sostiene Todorov, “la paura dei barbari è ciò che rischia di renderci barbari”.
Nella complessità del meccanismo, tuttavia, il punto di inizio non può che essere una riflessione sulla costruzione delle paure negli spazi e nei contesti; processo non risolutivo, ma sicuramente sintomatico e necessario.
Perché così come si costruisce, aumenta, cresce, la paura forse può anche essere demolita, scomposta, ridotta.
Ritornare al principio, e provare a ricucire e rinsaldare quel legame politico, unico vero antidoto alle insicurezze collettive e forte collante dei legami sociali.
Quel vincolo inscindibile tra paura e governi dei territori, declinato soprattutto nella formula del “governare attraverso la paura” può forse essere decostruito, e rivelare, nelle prassi come sia possibile governare senza paura, o almeno con meno paura dell’altro.
Smontare la paura vuol dire smontare la percezione e cambiare il racconto. Abbiamo bisogno di proiettare le nostre città in una contemporaneità fatta di connessioni, incontri, reti e culture. Abbiamo bisogno di una politica che affronti i problemi offrendo delle soluzioni per i prossimi vent’anni. Il multiculturalismo non è una possibilità, è una certezza. La strada è tracciata, sta a noi percorrerla nel migliore dei mondi e dei modi. Solo producendo narrazioni e sguardi politici diversi si possono immaginare strategie, reti e città possibili.
Stiamo vivendo un periodo contraddittorio, dove da un lato le paure generano retoriche isteriche anche al di là dei fatti, portando a posizioni controverse che predicano chiusura, confinatura, oppressione; dall’altro, c’è un movimento “automatico” dell’eco-sistema complesso che sta spingendo verso la connettività, l’apertura, lo sviluppo di nuovi e spontanei micro-poteri dentro i gangli profondi delle metropoli contemporanee. È in quella vita segreta delle città che emerge il futuro, ed è proprio attorno al concetto di connettività che Parag Khanna ha concentrato il suo studio sulla società di domani nei recenti Connectography e La rinascita delle città-stato.
I processi sono spontanei, ma vanno governati da una politica che sia aperta alla complessità, capace di indicare una direzione chiara, senza balletti alla ricerca del consenso istantaneo e senza l’isteria del risentimento propria di questa età delle passioni tristi. In una società sempre più “reticolare” i partiti devono essere attrattori di conoscenze e elaboratori di sintesi. Luoghi permeabili, capaci di farsi influenzare dalle forze della società – cosiddetta – civile.
L’associazione torinese Europa Aperta inaugura la sua attività con un incontro che è in realtà un confronto, un’occasione di studio e una possibilità di generare idee. Lo farà assieme a Innovare X Includere e cheFare.
Smontare la paura si terrà presso i locali dell’ACLI Terre e Libertà, e interverranno Annalisa Gadaleta (assessore di Molenbeek, Belgio), Ilda Curti (già assessore alle politiche sociali del comune di Torino), Valeria Verdolini (cheFare), Cristina Tajani (assessore alle politiche del lavoro, attività produttive, commercio e risorse umane del comune di Milano, Innovare X Includere) e Daniele Viotti (eurodeputato del Pd). Inoltre, saranno presenti esperienze pratiche che, sul territorio milanese, hanno garantito un vero processo di integrazione culturale atto a smontare la paura oltre i facili slogan.