Spazio pubblico e dominio sessuale: l’emancipazione nella contraddizione

Scarica come pdf

Scarica l'articolo in PDF.

Per scaricare l’articolo in PDF bisogna essere iscritti alla newsletter di cheFare, completando il campo qui sotto l’iscrizione è automatica.

Inserisci i dati richiesti anche se sei già iscritto e usa un indirizzo email corretto e funzionante: ti manderemo una mail con il link per scaricare il PDF.


    Se inserisci il tuo indirizzo mail riceverai la nostra newsletter.

    image_pdfimage_print

    I nuovi centri culturali sono spazi di confronto, di scontro e di trasformazione. Il lavoro che svolgono è inestimabile ma è necessario fare di più per sostenerli. Farlo significa superare gli ostacoli economici e pratici che li hanno limitati fino ad ora: dobbiamo condividere strumenti, conoscenze ed esperienze. Abbiamo bisogno di una presa di coscienza collettiva. Vogliamo unire le forze con tutti i nuovi centri culturali d’Italia. Compila il nostro questionario e raccontaci chi sei.


    Il piú forte ostacolo che si oppone al femminismo, che lo si chiami “emancipazione” o “liberazione”, uguaglianza e libertà, consiste nel rinnovare, in modo ripetuto, la posizione astorica delle donne.

    Affermando questo, io mi distinguo da tutte le critiche e le denunce che fanno delle immagini, dei discorsi e delle pratiche dell’eterosocialità e dell’eterosessualità l’unico centro del dominio e che reclamano la “denaturalizzazione” delle donne. Perché? Perché si può dissolvere il riferimento persistente alla natura delle donne attraverso la decostruzione delle norme sessuali da una parte, si può anche ricordare che la vita domestica privata è il crogiolo dei rapporti sociali, economici e politici dall’altra parte, ma questo non impedirà ai sostenitori della gerarchia dei sessi di pensare il rapporto tra donne e uomini a partire da un luogo senza temporalità (“di ogni tempo…”), dunque senza storia.

    Sembra che i sessi non appartengano alla questione storica. La ragione di questo fatto può essere compresa in modo semplice: appartenere alla storia significa immaginare la sua possibile trasformazione, un domani differente dall’oggi. Così la mia sola ambizione filosofica è di convincere della storicità dei sessi. E la sovversione, ogni sovversione ne è la logica conseguenza.

    Pubblichiamo un estratto dal saggio di Geneviève Fraisse, Il mondo è sessuato (Nottetempo)

    Ammettendo che quest’ostacolo dell’atemporalità sia chiaramente identificato come la più grande difficoltà per tutto ciò che riguarda i sessi, si ricorderà che la riflessione sull’oggetto “sesso/genere” si è costruita recentemente, nella seconda metà del xx secolo. Intendiamoci bene: il pensiero sui sessi si rivela nella lunga tradizione filosofica e letteraria. Ma l’esigenza epistemologica è molto recente.

    Allora, si tratta di una questione da non trascurare: come introdurre l’uguaglianza dei sessi nella storia se c’è incertezza relativa alla presenza stessa di questa questione nella riflessione contemporanea, precisamente democratica?

    Come pensare l’emancipazione? Innanzitutto, insistendo sulla scelta del punto di vista: pensare l’emancipazione o pensare il dominio, argomentare l’emancipazione o decostruire il dominio.

    Decostruire il dominio si può fare in molti modi: indicando i meccanismi economici e sociali all’opera, elaborando la teoria del patriarcato, prendendo di mira le norme immaginarie, ormai spesso chiamate “stereotipi”. Il reale, il simbolico e l’immaginario sono così, ovviamente, le tre vie per dimostrare la potenza del dominio maschile.

    Dimostrare il funzionamento del dominio è considerato come una necessità per permettere in seguito l’azione, la resistenza, la sovversione. Analizzare e poi trasformare, svelare e poi rifare, tali sarebbero le logiche di una pratica femminista. Teoria e poi pratica, in qualche modo.

    L’inscrizione della contraddizione e del contrattempo

    E se si assumesse il punto di vista dell’emancipazione, come si penserebbe? Si sarebbe obbligati a ripartire dall’esperienza, dunque dalla storia dell’emancipazione stessa, nella quale non è questione di decostruzione, ma di costruzione.

    Due piste, allora, sono essenziali: la genealogia del pensiero dell’uguaglianza dei sessi a partire dal xvii secolo e dalla Rivoluzione Francese da una parte, l’analisi delle contraddizioni inevitabili (interne ed esterne) con l’insieme delle politiche e delle lotte, dall’altra parte.

    Queste due piste si ricongiungono in una semplice collocazione prospettica: l’uguaglianza dei sessi, affermata nello spazio politico in Occidente da due secoli, non piace universalmente e può essere devalorizzata dagli stessi che si battono per l’uguaglianza di tutti.

    Se si assumesse il punto di vista dell’emancipazione, come si penserebbe? Si sarebbe obbligati a ripartire dall’esperienza

    L’uguaglianza dei sessi può essere contestata ma, come ho già provato a dire con l’espressione “democrazia esclusiva”, in modo perverso, implicito, ipocrita…

    Nessun democratico deve pronunciarsi contro l’emancipazione delle donne. Dunque, non resta che eludere la contraddizione tra sostenere l’uguaglianza di tutti e resistere all’uguaglianza dei sessi. Ma la contraddizione rimane, presa tra la negazione e la malafede.

    Così si capisce subito che l’emancipazione non è l’altro dal dominio. Il dominio sussiste all’interno stesso delle dinamiche dell’emancipazione, ed è precisamente ciò che fa la specificità della storia delle donne nell’era democratica.

    Torniamo a uno dei punti di origine di questa storia, la Rivoluzione Francese: la contraddizione diventa immediatamente percepibile. O la Rivoluzione riguarda i due sessi e impone la loro uguaglianza, oppure non è fatta che per un sesso, gli uomini, e di conseguenza le donne devono essere respinte dallo spazio pubblico (si vedano i discorsi di Amar che spiegano la necessità di chiudere i circoli delle donne nel 1793).

    Bisogna dunque accettare che la contraddizione sia presente già all’inizio del pensiero rivoluzionario e dell’era democratica che ne consegue. Ma si deve affondare il coltello nella piaga: la contraddizione sarà tanto più forte quanto più il pensiero rivoluzionario sarà radicale.

    Infatti, è l’estrema sinistra rivoluzionaria che formalizza al meglio la necessità di porre un freno all’emancipazione delle donne. Per esempio, come coredattore del Manifesto degli Uguali di Gracchus Babeuf, Sylvain Maréchal propose nel 1801, parodisticamente, un Progetto di legge per vietare alle donne di imparare a leggere.

    La dinamica del femminismo può essere letta storicamente, ma senza dimenticare la contraddizione originaria

    Per alcuni uno scherzo da scolaretti, la lettura di questo testo, estremamente rigoroso e sapiente, convince senza difficoltà per il suo tenore filosofico e la sua finalità politica.

    Si tratta di un richiamo all’ordine, all’ordine gerarchico dei sessi. Il momento storico, postrivoluzionario, è propizio a questo conformismo, ma Sylvain Maréchal non ha mai smesso, sul giornale Révolutions de Paris, di fustigare il desiderio di emancipazione delle donne rivoluzionarie, e perciò l’esigenza dell’uguaglianza dei sessi. La cosa interessante è che gli rispondono due donne, due autrici, l’una moderata e l’altra radicale (Madame Gacon-Dufour, Madame Clément-Hémery).
    Così, l’apertura dello spazio pubblico, situazione di dibattito e di controversie, è una nuova forma – come una scena primaria – messa in atto, che accompagna il debutto del femminismo come gesto pubblico e politico.

    Dunque, nella prospettiva democratica, l’uguaglianza dei sessi non è sempre un’evidenza. Si può risalire la storia della “democrazia esclusiva”, poi, tornando al presente, seguire passo a passo i meccanismi d’inclusione delle donne nella democrazia e nella repubblica (sono ormai più di due secoli).

    La dinamica del femminismo può essere letta storicamente, ma senza dimenticare la contraddizione originaria. Socialismo, marxismo, anarchismo (e sindacalismo), nessun movimento rivoluzionario sfuggirà alla questione della sincronia, o piuttosto della discronia tra le emancipazioni, quella del popolo, quella dei sessi (e delle “razze”, e dei colonizzati).

    Spesso l’emancipazione delle donne è investita da uno sfasamento temporale: i liberali le vedono in ritardo; i rivoluzionari le vedono in anticipo.

    C’è un problema di temporalità. Sebbene ci sia stata un’“abolizione” della schiavitù – notevole rottura storica –, la fine dell’oppressione delle donne non è pensabile invece come evento datato.

    Esattamente, non è ravvisabile nessuna rottura storica. Peggio ancora, spesso l’emancipazione delle donne è investita da uno sfasamento temporale: i liberali le vedono in ritardo, e vogliono educare le donne prima di riconoscerle cittadine; i rivoluzionari le vedono in anticipo, e vogliono le donne attrici della Rivoluzione prima che si occupino dei loro diritti.

    La disuguaglianza dei sessi, come si sa, è una “contraddizione secondaria”, dice la vulgata marxista (e non Marx stesso). Si può riassumere, dunque, questo problema sotto il nome di contrattempo: la questione dell’uguaglianza dei sessi non è mai posta nel momento storico appropriato.

    Cosí il contrattempo, il cattivo momento della rivendicazione, è un modo di riconoscere la contraddizione implicita che il femminismo attribuisce al dominio maschile. Al posto di opporci all’uguaglianza dei sessi interroghiamo la sua opportunità strategica. Si tratta ancora dell’ostacolo della storicità.

    Note