Se volessimo definire, lato utente, una delle caratteristiche distintive delle piattaforme di social media potremmo ragionevolmente dire che si tratta di sistemi per la gestione della propria identità digitale. La compilazione delle informazioni di un profilo e la creazione di una rete di contatti – fatta tanto di legami quanto di interazioni, di apprezzamento – sono entrambe operazioni che ci permettono di definire un’immagine di noi stessi a uso e consumo di altri utenti e, soprattutto, delle stesse piattaforme che dalle nostre autopresentazioni drenano, scorporati e aggregati, quei dati di cui si nutrono i loro modelli di business.
In questo scenario, la tentazione di forzare il meccanismo dell’identificazione creando false identità funziona, da un lato, come la presenza spettrale di un’epoca in cui la rete permetteva più liberamente il gioco con le identità e, dall’altro, come una delle tante forme possibili per sfruttare creativamente i social media. È il caso dei fake account parodici, che saranno al centro di questo articolo.
Il profilo fake, che imita o mima un personaggio dello spettacolare, è un genere di utilizzo dei social media a cui abbiamo ormai da tempo fatto l’abitudine. La mission di questi profili è quella di portare all’eccesso lo stile comunicativo del personaggio parodiato, attraverso un accumulo di iperboli che creano un effetto comico, al tempo stesso verosimile pur essendo riconoscibile come finto, posticcio. Spiegando il concetto con un paragone, spero immediatamente comprensibile, si tratta di una versione 2.0 delle imitazioni di Corrado Guzzanti. Spesso questo genere di profili utilizza piccoli stratagemmi per confondere la propria natura parodica e fasulla. Fioriscono così, nei nickname dei fake account parodici, le “i” maiuscole usate al posto delle “l” minuscole e altri accorgimenti di carattere mimetico.
I creatori di questi account si dimostrano infatti estremamente consapevoli del contesto di fruizione in cui operano. All’elevata velocità a cui viaggia il ricambio delle informazioni sui social network, con la soglia dell’attenzione sempre più bassa che caratterizza la nostra fruizione dei contenuti distribuiti su questi canali e a causa dell’elevato livello di rumore che vi viene prodotto, non è infrequente che il contenuto prodotto da questo genere di account possa venire scambiato per vero, o quanto meno verosimile, dalle persone. La confusione e l’indeterminatezza generate in questo contesto dalle strategie mimetiche dei fake diventano così progressivamente sempre più importanti nel dare vita all’effetto comico. Nel suscitare la risata, l’iperbole esibita e la smaccata esagerazione sembrano lasciare così il posto a una attitudine più opaca, che rallenta o, addirittura, impedisce la comprensione del meccanismo parodico.
Questo scarto, questo passaggio tra l’iperbole e la confusione si osserva bene nella strategia comunicativa di tre pagine Facebook di recente attivazione. Si tratta delle pagine @dimaioparodypage, @alessandrodibattistaparodyaccount, @fintotoninelli e @giuseppeconteparodyaccount.
Tutti e tre fanno riferimento a personalità di spicco del Movimento 5 Stelle o dell’attuale governo:il presidente del consiglio Giuseppe Conte, il vice presidente del consiglio e ministro del lavoro Luigi di Maio, il ministro delle infrastrutture Toninelli e Alessandro Di Battista, uscito sconfitto dalle primarie e attualmente in tour in in Sud America.
Tutte e quattro le pagine mimano, tanto nel testo quanto nelle immagini, lo stile comunicativo dei personaggi a cui fanno riferimento. Lo fanno inserendo in ogni messaggio piccole incongruenze che ne perturbano il senso.
A una lettura attenta, avvertita, queste incongruenze si rivelano per ciò che sono: joke, battute, il cui senso però può sfuggire a chi invece incontra per caso i contenuti pubblicati da questi profili nel contesto estremamente caotico e disattento che caratterizza la nostra esperienza in rete. È il caso di un mio contatto Facebook, Gero Micciché, giornalista da 18 anni, del quale Facebook mi ha mostrato (chissà se lo ha fatto per caso o perché in questi giorni sto spiluccando le pagine in questione per scrivere questo articolo) il post che vedete qui sotto
Dopo averlo visto, ho scritto a Gero per domandargli qualche spiegazione. “Di solito sono molto attento, passo sempre dal fact checking” mi ha spiegato “ma credo che l’attuale contesto politico abbia in qualche modo contribuito a creare in me una sorta di sospensione dell’incredulità”. L’effetto del fake dunque si rinforza anche dialogando con l’attualità politica del nostro Paese, in cui l’accelerazione di alcune dinamiche (Gero, nei commenti al post, approfondisce il concetto parlando dei ripetuti attacchi portati da membri dell’attuale governo a diritti che molti danno ancora per scontati) contribuisce ad aggiungere un’ulteriore elemento che ne rende difficile il riconoscimento.
Oltre a questo episodio, per accorgersi di quanto queste parodie siano scivolose si può anche dare un’occhiata ad alcuni commenti che appaiono in calce ai vari post. Accanto alle persone che hanno capito il gioco parodico degli account e vi partecipano caricando il senso del contenuto con ulteriori e più riconoscibili ironie, ve ne sono altre, non molte a dire la verità ma comunque significative, che invece il gioco non lo colgono e si rivolgono al fake come se stessero realmente parlando col personaggio parodiato. A farlo sono sia autentici sostenitori che reali oppositori dei personaggi parodiati. Circostanza che fa crollare quella facile e ingenerosa distinzione che vede i supporter del Movimento5Stelle come ingenui boccaloni pronti a credere a ogni bufala e i loro oppositori come persone dotate di superiore intelligenza, competenti e avvedute. Immerso nel proprio contesto tecnologico e politico, usando tecniche mimetiche, il fake centra il suo obiettivo, ovvero passare per reale agli occhi di chiunque e trasformando la confusione in comicità.
Nei diversi thread di commenti che si aprono sotto i vari post appare ancora un’ulteriore fenomeno che ci racconta molto dei mesi che stiamo vivendo. Il fake infatti mette in contatto le filter bubble, creando frizioni tra le loro superfici da cui emergono gli effetti della polarizzazione tra fazioni politiche. Il primo, più grave ed evidente, è la diluizione di ogni pratica dialettica in una modalità di comunicazione che è la versione atomizzata e ridicola di quella dei talkshow televisivi: un tentativo di conquistare la visibilità espellendo l’altro dall’inquadratura tramite elevati livelli di violenza verbale.
Il meccanismo parodico messo in atto da questi fake è possibile grazie alla natura performativa dei social media. Se è vero, e credo proprio che lo sia, che i profili social rappresentino delle estensioni della nostra identità, che possiamo utilizzare come fossero delle maschere con cui diamo vita a dei personaggi, è altrettanto vero che gli spazi aperti sui social media rappresentano altrettanti palcoscenici dove le relazioni tra i nodi delle reti sociali si stringono in un gioco attoriale di rappresentazione del proprio “sé”. In questo contesto, più riduciamo la distanza tra la maschera e il personaggio, più diventa difficile capire dove corre la linea di demarcazione tra la parodia e la realtà.
Ma se si esaurisse qui, la questione sarebbe di ben poco interesse. Perché il nesso la natura performativa dei social media e la loro capacità di creare schegge di realtà è già stata affrontata ed esplorata altrove. L’elemento di novità che emerge dall’analisi di questi fake è il ruolo che l’attuale realtà politica gioca nel rendere efficace il loro meccanismo. Il populismo come forma del discorso sembra configurarsi come una parodia dell’agire politico; una sua versione più interessata a configurare la narrazione della realtà che a intervenire sulla realtà stessa. Una forma di agire politico che esalta e collude alla perfezione con la distorsione parodica resa possibile dai social media.
All’utente-cittadino sembra così venire riservato, come unico ruolo, quello di spettatore-commentatore di un dramma che si svolge al riparo di una quarta parete fatta del gioco infinito di rifrazioni dei molteplici schermi da cui guardiamo evolversi i destini del paese.
Immagine di copertina: ph. Kayla Velasquez da Unsplash