La Night Time Economy: economia e cultura della notte

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    Negli ultimi anni anche in Italia si è cominciato a diffondere il concetto di “Economia della Notte”, settore a cui da anni, in diversi paesi del mondo, viene riconosciuto un ruolo di tutto rilievo nelle logiche odierne di sviluppo urbano. Sono passati infatti diversi decenni da quando profondi cambiamenti economici hanno spinto molte città a passare dai ritmi di vita scanditi dai processi di produzione industriale, a un modello più fluido di 24 – hour city – di una città che non dorme mai; in questo processo, l’allungamento del ritmo circadiano urbano ha aiutato spesso ad attuare la tanto necessaria rigenerazione di intere aree urbane precedentemente occupate dalle fabbriche: è successo in tutto il mondo, da Torino, Manchester, Berlino, Londra, Rotterdam fino a Sidney, Detroit e New York.

    La Night Time Economy ha cominciato a prendere forma attraverso l’apertura di bar, pub, club, sale concerti, ristoranti, cinema e teatri: tutte componenti che convivono in un ecosistema complesso che ha una ricaduta enorme su turismo, occupazione e incide sulle dinamiche di city branding. “Chi vive la notte è tipicamente giovane, creativo e formato – qualcuno che vorresti nella tua città. Se un luogo come Berlino è prosperato negli anni, non è per gli affitti bassi. È stato per il suo nightlife capital”, si legge infatti in questo articolo del Guardian. Ma quanto vale questa Night Time Economy?

    Sono diversi i paesi che annualmente producono ricerche e report per quantificare il valore economico e la ricaduta lavorativa di questo settore: nel Regno Unito si calcola che la Night Time Economy abbia generato 66 miliardi di sterline nel 2016 e influisca per l’8% sull’occupazione complessiva del paese mentre a Sydney si parla di un’economia della notte del valore di 19,3 miliardi di dollari. Anche in Italia le cifre sembrano altrettanto incoraggianti e nel 2015 si stima un valore d’affari complessivo di ben 70 miliardi di euro, in cui solo discoteche, bar e locali serali contano per circa 5,3 miliardi di Euro.

    Parlando di spazi attivi, sicuramente un posto di rilievo è occupato dalle cosiddette music venues, termine inglese che indica luoghi che offrono una programmazione musicale tendenzialmente regolare e continuativa, a prescindere dalle differenze strutturali o artistiche. Assomusica (Associazione Italiana Organizzatori e Produttori Spettacoli di Musica dal vivo) parla di un giro d’affari in Italia di circa 605 milioni di euro l’anno per il settore musica dal vivo , mentre SILB-FIPE (Sindacato Nazionale Pubblici Esercizi con Orchestra Varietà e Danze) stima che solo discoteche e locali abbiano generato un fatturato pari a un miliardo e cento milioni di euro lo scorso anno. Tutti dati molto incoraggianti, che vedono la musica dal vivo un settore in crescita con buonissime prospettive per il futuro. Parallelamente all’ottimismo legato ai trend di crescita, si è diffuso però negli anni l’assioma che la nightlife si porti appresso una serie di side effect di carattere sociale, generalmente riconducibili a manifestazioni di criminalità, assunzione di sostanze illecite, eccessivo consumo di alcolici e difficile gestione della sicurezza.

    E purtroppo queste problematiche, se combinate, possono dare vita a vere e proprie tragedie, come è accaduto il 7 Dicembre nella discoteca Lanterna Azzurra, a Corinaldo (Ancona): 6 ragazzi uccisi e decine di feriti (alcuni molto gravi) causati da una reazione di panico dovuta all’uso di spray urticante all’interno del locale sovraffolato.

    Una tragedia di tali dimensioni e scelleratezza provoca, come è comprensibile e naturale, una cascata di reazioni che vanno ad incidere profondamente sulla percezione di quello che è il sistema notte e dei suoi spazi. Reazioni che difficilmente riescono ad essere lucide ed aperte al dialogo. E bypassando un giusto dialogo si rischia di agire di pancia, stigmatizzando e chiudendo gli spazi, inasprendo i controlli e le misure di sicurezza, impoverendo di fatto un settore che ha tanto da offrire oltre all’aspetto economico.

    Fortunatamente negli ultimi dieci anni da queste tensioni è maturato il bisogno di aprire un confronto strutturato e inclusivo tra i diversi interlocutori coinvolti nella notte: sono nate così in molti paesi le prime realtà specializzate nel gestire le dinamiche della Night Time Economy .

    C’è ad esempio la Club Commission di Berlino che, nata nel 2001, oggi rappresenta oltre 200 addetti ai lavori e che si impegna costantemente in attività di consulenza e formazione su temi come la sostenibilità degli spazi della notte, l’utilizzo di nuove tecnologie, prevenzione e sensibilizzazione nell’ambito di abuso di droghe e alcool. Altra pratica virtuosa diffusasi a partire invece dall’esperienza di Amsterdam è quella del “Sindaco della Notte” (Night Mayor o Night Czar , come viene chiamato in alcune città), un ente consultivo che affianca le istituzioni ufficiali per garantire un dialogo costante con gli stakeholders coinvolti nella notte. Il Night Mayor è ora una realtà in molte città in tutto il mondo, come Londra, Parigi, Groningen, Tolosa, Zurigo, New York e di recente Manchester, e Washington.

    Nella maggioranza dei casi, questi enti sono composti da professionisti del settore che propongono soluzioni pratiche per risolvere questioni complesse, come l’estensione delle licenze di apertura dei club in periferia per prevenire problemi di ordine pubblico e rumore, o il richiedere fondi pubblici per insonorizzare edifici che ospitano music venues. Organizzazioni che provano di fatto a fare lobby in maniera consapevole e inclusiva, cercando di incidere sulla regolamentazione e percezione dell’economia notturna.

    È da progetti come questi che nascono anche nuovi linguaggi e strumenti per comprendere sempre più a fondo il sistema notte, come è successo proprio di recente a Londra con l’introduzione del concetto di grassroots venues (letteralmente “spazi dal basso”) che definisce una particolare categoria di realtà che alimentano in maniera organica il substrato musicale, creativo e (sub) culturale urbano.

    I grassroots club, come si legge nel Rescue Plan for London’s Grassroots Music Venues (piano di salvataggio per gli spazi grassroots di Londra) redatto dall’attuale sindaco di Londra Sadiq Khan, sono luoghi che nascono da spinte artistiche e creative molto forti che vanno oltre alle logiche di profitto e che possono essere considerati veri catalizzatori di innovazione culturale.

    “Ogni notte a Londra circa 14,000 persone vanno ad eventi musicali proposti da grassroots venues” che costituiscono quindi una realtà fondamentale per mantenere una forte scena musicale locale, che sicuramente “aiuta Londra ad essere una città dinamica e aperta ai talenti”.

    Oltre che a sottolineare l’impatto culturale, economico e occupazionale del settore, il report ne fa emergere anche le criticità più urgenti, come la pressione fiscale ( business rate ), il difficile confronto con il mercato immobiliare e le problematiche riguardanti sicurezza e ordine pubblico. Tutto questo al fine di portare avanti soluzioni per “ridurre la necessità di far intervenire le forze dell’ordine e per evitare che si perdano definitivamente degli spazi”. Infatti anche a Londra i club chiudono e, in questo articolo della BBC si stima che ben il 50% delle venues siano scomparse negli scorsi anni. Cifre enormi, che fanno pensare ai profondi cambiamenti che gli ecosistemi urbani stanno attraversando.

    L’ex sindaco della notte di Amsterdam Mirik Milan è molto chiaro sull’argomento, “la nightlife è molto dinamica, non è drammatico se un club chiude dopo cinque o sei anni di attività, ma bisogna fare in modo che il terreno sia fertile perchè altre realtà possano nascere”. Ed è questa la sfida più grande, creare quel terreno fertile tenendo presente delle esigenze dal basso, grassroots appunto, senza illudersi che logiche di mercato e provvedimenti top-down bastino per creare un’offerta culturale notturna diversificata e vitale.

    Guardando invece all’Italia, trovo davvero strano che si faccia fatica ad associare la parola “cultura” al contesto della notte; si continuano infatti a definire club e locali notturni come “spazi di intrattenimento”, mentre ogni volta che sento il termine “movida” riferito alla nightlife mi viene sempre in mente un grande luna park notturno, luccicante e frivolo. Certo i luna park possono valere un sacco di soldi e servire a rendere le città più attraenti, ma nulla di più, niente cultura, niente impatto sociale, solo divertissement e distrazione dalla vita diurna, quella “vera”.

    Da queste riflessioni, recentemente ho deciso di sviluppare qualcosa di nuovo, un progetto che si concentri proprio sul concetto di “cultura della notte” e ragioni sul futuro degli spazi musicali nelle città: si chiama Club Futuro, una piattaforma di valorizzazione culturale e conversazione sulle best practice di gestione dell’ecosistema notturno .

    Partirà da Torino, dopo aver vinto il bando Ora!X Strade per creativi under 30 per l’innovazione culturale di Compagnia di San Paolo, andando a raccontare il valore culturale dei music club più grassroots della città e facendo rete con chi in Italia e in Europa porta avanti modelli virtuosi per intervenire in questo settore.

    I segnali da fuori sono molto positivi a riguardo, e quando ho incontrato Jacob Turtur della Club Commission di Berlino, in occasione dell’appena trascorso Linecheck festival a Milano, il messaggio è stato chiaro: “il tema della cultura e delle grassroots venues è importantissimo, non vogliamo mica svendere e standardizzare l’offerta culturale della città, rimarrebbero solamente i supermercati della notte.”

    Perché la preoccupazione in fondo è proprio questa, se non si aggiornano i linguaggi, se non si hanno gli strumenti necessari a prevenire e affrontare le criticità, e riconoscere il valore culturale della notte, si rischia che questo patrimonio si inaridisca e si finisca per avere tanti luccicanti luna park notturni.


    Immagine di copertina: ph. Edwin Andrade da Unsplash

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