Goffredo Parise. Musei e geografie delle memoria

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    Goffredo Parise rifletteva, a proposito delle stanze degli scrittori: “Temo che Crans sur Sierre, l’hotel Bellevue (se là esiste), la stanza di Rilke, l’orchestrina e il fox-trot, la sutura al metallo non meglio identificato delle tegole, lo slancio delle cupole si vadano ormai perdendo nel nulla se i lembi, le particelle pulviscolari dei ricordi, simili alle basse nubi di quel delizioso ma non si sa quanto reale paesino del Vallese, [non] prendono un minimo di corpo, una parvenza, un lampo di realtà” (“Era davvero la stanza di Rilke”?, 1 febbraio 1983).

    Da un sembiante trasognato e quasi mitico a un atterraggio nella concretezza delle cose, con i loro odori e sapori; da una percezione sottile ed ectoplasmatica a una verità incarnata dalla rappresentazione, per quanto fugace e soggettiva, che sia tramite la parola, il segno o la fotografia. Questo il percorso compiuto, con grazia d’altri tempi ma risoluta forza proiettiva, dal volume I lembi dei ricordi. Ri(n)tracciare il paesaggio di Goffredo Parise, pubblicato mirabilmente da Antiga Edizioni con il coordinamento della Società Letteraria di Verona, la cura editoriale di Maria Gregorio, il progetto grafico di Nico Zardo e il sostegno della Fondazione Masi.

    Un libro come un esperimento, e al tempo stesso come un progetto messo a disposizione di altri: la traccia di un metodo, dapprima desiderato, poi messo in atto, poi raccontato perché altri possano fare lo stesso. È un modo di procedere generativo, che cresce per strati successivi partendo da un nucleo concettuale forte, incrocia tanti saperi e si dirama a formare un’infiorescenza ricca e interconnessa.

    Avviciniamoci.

    Tutto parte dalle ultime due case che Goffredo Parise ha abitato, dapprima saltuariamente poi in modo continuativo, fra il 1970 e il 1987, anno della morte, una a Salgareda (qui scrive i Sillabari), l’altra a Ponte di Piave: oggi entrambe aperte ai visitatori, quella di Salgareda per la disponibilità degli attuali proprietari, l’altra perché donata dallo scrittore al Comune con esplicita richiesta di farne una “Casa di cultura” a lui intitolata e aperta a tutti.

    L’occasione da cui scaturisce l’idea del volume è,  oltre al trentesimo anniversario della scomparsa di Parise, la conferenza dell’International Council of Museums che si è svolta a Milano nel luglio 2016, dedicata a “musei e paesaggi culturali”: il libro nasce, a partire dalla sollecitazione di ICOM, da un’idea di Maria Gregorio, che di musei letterari e case di scrittori e scrittrici si occupa da molti anni e ne è una delle studiose più attente e propositive, per rendere visibile e comunicabile quella rete di relazioni, memorie, possibili cartografie che pulsa intorno alle abitazioni di Parise e all’immagine di lui, dentro e fuori quelle mura tanto amate.

    Maria Gregorio racconta bene il senso del processo, alimentato dalle conversazioni con Claudio Rorato, per lunghi anni curatore della Casa di Ponte, in un “intenso scambio di domande e risposte, seduti nel giardino della Casetta sul Piave. La forma stessa del conversare, l’aura della casa, la presenza di muri e oggetti, la natura intorno hanno innestato un processo di scoperta e conoscenza dello scrittore e della sua opera quale, ne sono certa, non avrei mai acquisito altrimenti”.

    Siamo lungo il Piave: e quell’essere alla soglia di un confine pulsa forte, sia nelle pagine di Parise che nella percezione di chi abita quel territorio. Un di qua e un di là che rende, in entrambe i casi, liminali, marginali, gli ‘ultimi prima di’.

    Il paesaggio e le comunità che quel paesaggio definisce – di saperi, affinità, percorsi, contiguità di vita – sono i protagonisti del volume. Comunità ancora vive, pur così trasformate dalle economie e dalle politiche, in quel Nord-Est che ha cristallizzato speranze e contraddizioni di un folgorante benessere; persone che hanno conosciuto e accompagnato Parise lungo i suoi tragitti, fisici o umani (lui, che Natalia Ginzburg definiva un “camminante con una solitudine stampata addosso”), e che ne serbano un ricordo.

    A otto di queste persone gli autori del volume hanno chiesto di disegnare delle mappe dei luoghi che hanno visto attraversare e vivere dallo scrittore. Le rappresentazioni che ne sono scaturite sono molto diverse fra loro. Sono mappe d’artista quelle di Lina Sari e di Silvano Sartori, mentre non hanno ambizioni artistiche le altre, in alcuni casi molto semplici, un poco infantili come quando gli adulti si trovano a disegnare senza averne la consuetudine, ma proprio per questo di commovente vitalità. Giampaolo Bergamo aveva otto anni quando Parise andrò a vivere a Salgareda: a lui si ispirano le voci “Bambino” e “Bellezza” dei Sillabari. Nella sua mappa, un piccolo Giampaolo cammina con Goffredo e Giosetta fra il gelso di Casa Parise e e la “casa di nonno Vittorio”. Laggiù, a Est, c’è Venezia, dove lo scrittore lo aveva portato, un giorno.

    Sono pronunciamenti in prima persona, che sia singolare o plurale, accompagnati da brevi testi che raccontano, in una chiave intima e pudica, del legame con Parise. Lo spunto di metodo affonda nelle mappe di comunità prodotte dal gruppo inglese Common Ground, come nella tradizione che si coagula intorno alla figura importante di Kevin Lynch, o, più recentemente, nel lavoro di mappatura delle città affidata ai migranti da Nausicaa Pezzoni (La città sradicata, 2013). Si tratta di cartografie personali e mobili, del tutto provvisorie, segnate dal trascolorare dei vissuti e dalle discontinuità della memoria; mappe che, come scrive Claudio Rosati, sono “personali e per questo calde e irreali”, poiché descrivono “la grana individuale e minuta dei percorsi. Il cammino nel suo farsi, l’incrocio dei luoghi, la sovrapposizione di sguardi”.

    Tante altre forme di rappresentazione si sommano, nel volume, a queste mappe, in questo che gli autori hanno chiamato un “concorso di idee”: le fotografie di Moreno Vidotto, oggi comproprietario della casa di Salgareda, rilette dagli acrilici di Giosetta Fioroni, che di Parise è stata la compagna; i disegni realizzati per questo progetto da Vittorio Bustaffa, che parlano di distanze e di silenzi e poi, improvvisamente, anche di prossimità (agli edifici, ai significati delle cose), e lo fanno scegliendo solo la sanguigna e, qua e là, l’azzurro del cielo, con un passo equilibrato, si direbbe classico, intelligente dei luoghi e delle atmosfere. E ancora le parole di due scrittori veneti che a quel paesaggio hanno dedicato delle pagine importanti: Francesco Maino, così aderente all’insegnamento di Parise, e Vitaliano Trevisan, invece dubitativo ma al fondo intimamente in risonanza. Il curatore Stefano Cecchetto, infine, direttore artistico del Museo del Paesaggio di Torre di Mosto, annoda i fili che legano Parise – un medium, un rabdomante – a quel paesaggio e agli altri della sua biografia.

    Chiuso il volume, resta il senso di un metodo che tanti altri musei letterari e non, e luoghi di cultura in generale, potrebbero provare a declinare sul proprio specifico: e l’accento è sul “provare a”, sulla sperimentazione, sulla libertà di inventare. Lo dice bene Maria Gregorio quando parla dei musei letterari come di potenziali “focolai di studi sulla geografia letteraria e il paesaggo culturale”, anche fuori dalle logiche asfittiche dell’accademia e dello specialismo, piuttosto in continuità con il concetto dei musei éclatés di cui George Henri Rivière parlava già negli anni ’70, gettando le basi della nuova museologia.

    Un’indicazione di metodo, dunque. Soprattutto perché lo sguardo non è retroverso, non ha il sapore di una raccolta di testimonianze tout-court (prima che sia troppo tardi). È mosso, piuttosto, dalla certezza che il sapere è pulviscolare e dinamico, che l’ascolto è più importante del prodotto, che fuori dalle tassonomie museali tradizionali esistono orizzonti vitali e in tensione, che l’atto stesso di rappresentare rivitalizza e dinamizza la memoria. Dalla convinzione che la cura (degli spazi museali, e del territorio di cui quegli spazi fanno parte, senza esserne mai separati, sia chiaro) debba trovare nuovi alfabeti cui appoggiarsi, coinvolgendo anche chi di quella cultura sembrerebbe non essere un protagonista (ma poi, chi lo decide?). Si tratta di uscire, di andare alla Trattoria alle Marcandole, al ristorante da Lino, nelle case delle persone, negli studi, nei negozi, percorrendo quella che Omaira Rorato, autrice di una delle mappe, chiama per esempio i luoghi di convivialità, i luoghi di distensione o riflessione, i luoghi di sofferenza.

    Andrea Zanzotto, amico e vicino di Parise, diceva di una “circolarità di relazioni tra il paesaggio e l’uomo: il paesaggio influisce sulla formazione dell’individuo, e a sua volta l’individuo agisce sul paesaggio rivedendolo attraverso il filtro dell’emozione e dell’idea che ne ha elaborato; il paesaggio, realtà fisica e spirituale, si accresce dunque e si modifica nelle rappresentazioni che di esso gli individui e le comunità costruiscono”. Le percezioni, i desideri, le insoddisfazioni (la lingua che si parla, nota giustamente Trevisan) modificano il paesaggio, vi restano impigliati. Compito degli uomini è prendersi cura di tutto questo, in una concezione ampia e responsabilizzante di curatela: tutto parte dall’attenzione, ci dice Parise, e intorno all’attenzione deve gravitare. È un allenamento della mente e della percezione; è il saper discernere, e scegliere il buono.

    Rorato, che ha realizzato una bella mappa olfattiva allegata nei risguardi del volume, parla del suo amico scrittore come di un “uomo dei sensi, sempre all’erta per afferrare informazioni da tutto quanto gli stava attorno: suoni, odori, vibrazioni, percezioni segrete che spesso a lui soltanto erano date”. Non è vezzo estetico ma sostanza: è la “vita organica”, scriveva Parise, che comunica ai nostri sensi “qualcosa che se noi siamo abituati all’attenzione non dimenticheremo mai più”. E questi sensi allenati orientano, salvano: “Il coraggio, la dignità e l’onore”, scriveva Parise sul Corriere della Sera nel 1985, “anche queste sono cose e hanno sapore e odore e profumo e via dicendo. Basta usare l’attenzione, si riconoscono negli uomini e nelle donne, anche se oggi tutti dicono di sì e se uno è offeso nel suo onore fa finta di niente perché bisogna esser politici, anzi ringrazia e china il capo perché è più conveniente. In questo modo si finisce per sentirsi feriti nell’onore se uno ti sorpassa in automobile e questa è una cretineria per se stessi, non una offesa degli altri al tuo onore”.


    I lembi dei ricordi. Ri(n)tracciare il paesaggio di Goffredo Parise, a cura di Maria Gregorio, testi di Marco Vigevani, Goffredo Parise, Claudio Rosati, Maria Gregorio, Daniela Brunelli, Aurora Di Mauro, Claudio Rorato, Stefano Cecchetto, Francesco Maino, Vitaliano Trevisan. Grafiche Antiga, Crocetta del Montello 2016, 32€. Il volume si può richiedere con spedizione gratuita a editoria@graficheantiga.it

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