Perché gli affitti brevi non sono regolati in Italia? Quattro elementi di risposta

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    Le locazioni turistiche mediate dalle piattaforme digitali (Airbnb, Expedia, Homeaway, etc.), spesso anche chiamate “affitti brevi” sotto i 30 giorni, costituiscono una delle trasformazioni più significative delle città italiane ed europee1Questo testo si basa sui risultati di una ricerca condotta dal 2017 dall’autrice insieme a Claire Colomb (University College London) e Thomas Aguilera (Sciences Po Rennes). La ricerca verte sui processi di politicizzazione, sui modi e strumenti di regolazione e sui gruppi di interesse intorno agli affitti brevi e le piattaforme in 12 città europee, e ne spiega le differenze, le modalità di attuazione, la dimensione multilivello, e gli effetti sociali e politici. Le città analizzate sono: Amsterdam, Barcellona, Berlino, Bruxelles, Lisbona, Londra, Madrid, Milano, Parigi, Praga, Roma, Vienna. Dal 2017, sono state realizzate più di 90 interviste semi-direttive con attori pubblici, rappresentanti di interessi, membri di associazioni e movimenti. Tre casi studio hanno fatto l’oggetto di analisi approfondita e di lungo periodo: Milano, Parigi e Barcellona. Vedasi: Aguilera, Artioli, Colomb, 2019; Artioli 2020; Colomb, Moreira de Souza, 2021, Aguilera, Artioli, Colomb, in corso di pubblicazione. degli ultimi dieci anni, in ragione della velocità di crescita del fenomeno, dei volumi raggiunti e degli effetti sulla casa ed i quartieri. Secondo dati Eurostat, tra luglio e settembre 2022, sono stati effettuati in Italia più di 64 milioni di pernottamenti tramite quattro principali piattaforme (Airbnb, Booking, Tripadvisor and Expedia), superando i livelli pre-Covid e facendo di Francia, Spagna e Italia i principali mercati dell’affitto breve in Europa. Sebbene con modalità e geografie proprie, tutte le grandi città italiane hanno conosciuto una crescita esponenziale delle locazioni turistiche sulle piattaforme durante il decennio 2010, sospesa solamente nei primi due anni di pandemia2Vedasi le analisi raccolte in (Perrone, Masiani, Tosi, 2021) su Milano (Guido Anselmi, Veronica Conte), Firenze (Flavia Giallorenzo), Roma (Barbara Pizzo), Napoli (Alessandra Esposito) e Palermo (Federico Prestileo), http://amsacta.unibo.it/6790/ . È ormai ben documentato che, sebbene non siano l’unica causa dei problemi abitativi nelle città italiane, gli affitti brevi ne sono un aspetto rilevante. La trasformazione in affittanze turistiche di parte dello stock residenziale da parte di proprietari e investitori ha contribuito alla diminuzione del numero di residenti di lungo periodo nei centri storici e all’aumento delle difficoltà di molti abitanti sia a trovare case in affitto a lungo termine, che a trovarle ad un prezzo accessibile.

    In che senso gli affitti brevi non sono regolati in Italia?

    A fronte di tale fenomeno, negli ultimi dieci anni, nella maggior parte delle città europee sono state elaborate e messe in atto delle politiche pubbliche locali e nazionali finalizzate a governare sia la crescita degli affitti brevi che gli effetti sui territori e sull’offerta abitativa. Ciò non è avvenuto in Italia,  facendo del nostro paese una quasi eccezione europea. A livello nazionale, la regolazione degli affitti brevi si è infatti limitata a stabilire il regime fiscale dei redditi generati (d.l. n. 50/2017) e la natura imprenditoriale o no ai fini fiscali (l. n. 178/2020), nonché ad estendere le regole di pubblica sicurezza già applicate all’insieme del settore sancendo l’obbligo di comunicare alle autorità i dati delle persone ospitate (d.l. n. 113/2018). Il pagamento dell’imposta di soggiorno è stato esteso a questo tipo di attività ricettiva. Nelle regioni, varie iniziative legislative hanno portato con tempi e modalità diverse all’introduzione di sistemi di comunicazione dell’attività, talvolta associati a dei codici identificativi regionali. Un sistema simile di registrazione su scala nazionale è stato approvato nel 2019 (d.l. n. 34/2019), ma non è stato ancora attuato.

    Le regole in vigore agiscono dunque sul piano fiscale, statistico-conoscitivo e della sicurezza. Al contrario, gli affitti brevi non sono regolati in quanto problema urbanistico e abitativo. Gli strumenti che permettono di regolare questi aspetti sono stati messi in campo secondo varie combinazioni e modalità (che non dettagliamo qui) a Parigi, Barcellona, Madrid, Amsterdam, Vienna, Lisbona, Berlino, Bruxelles e in minore misura anche Londra3Per una classificazione comparata degli strumenti di regolazione del mercato degli affitti brevi, vedasi (Aguilera, Artioli, Colomb, 2019; Colomb, Moreira de Souza, 2021). . Mancano, invece, nelle le città italiane (a eccezione di Venezia dove però non sono utilizzati). In Italia, non c’è un sistema di autorizzazioni (o licenze o cambi di destinazione d’uso, secondo i paesi), né un limite massimo all’offerta di affitti brevi per comune e/o quartiere (calcolato per esempio in proporzione al numero di residenti), né un sistema di zonizzazione che consenta ai governi locali di inquadrare la crescita, le modalità e i luoghi di sviluppo del mercato dell’affitto breve. Non ci sono limiti temporali che circoscrivano il massimo numero annuale di giorni in cui un affitto turistico può essere realizzato in una casa come fonte di integrazione del reddito (per esempio, 120 nella legge francese, 90 in quella inglese), e oltre il quale una licenza o un’autorizzazione di cambio di destinazione d’uso si considerano necessarie per proteggere la residenzialità.

    Come spiegare la non-regolazione e come si è arrivati a un mercato basato sul laissez-faire?

    Quattro elementi di risposta sono proposti in questo testo. Prima di svilupparli, è utile affrontare da subito, e accantonare, due spiegazioni di senso comune. In primo luogo, non si può affermare che il fenomeno sia stato meno regolato nelle città italiane perché è stato meno intenso che altrove. Come già menzionato, delle 20 aree metropolitane europee con il maggior numero di pernottamenti in affitto breve, 4 sono italiane, a fianco di città come Parigi, Barcellona, Lisbona, Vienna o Berlino, dove il mercato è stato limitato. In secondo luogo, la spiegazione non si trova nella frase “Italia, paese di proprietari di case”. La Spagna e il Portogallo sono paesi con tassi di proprietà occupante e di seconde case simili se non superiori ai nostri. Condividono con noi un modello di welfare/sistema abitativo in cui la proprietà immobiliare ha un ruolo di protezione e di trasmissione. Eppure, hanno regolato gli affitti brevi molto più intensamente. Se questi elementi strutturali contano per capire cosa sia accaduto nel paese, tuttavia non bastano. Come sostenuto altrove, le risposte sono da ricercarsi piuttosto in alcuni processi istituzionali e politici che, anche sulla base dell’importanza del turismo e della casa di proprietà, hanno prodotto risultati specifici in termini di regolazione. Quei processi che in altri paesi hanno condotto al dispiegamento di strumenti che permettono di governare il fenomeno, da noi non si sono verificati o hanno funzionato contro la regolazione, producendo di concerto la situazione attuale.

    Possiamo, quindi, considerare quattro fattori. In primo luogo, chi si è mobilitato sugli affitti brevi e chi no?4 In Europa, oltre ai governi locali e nazionali, sei tipi di attori si sono mobilitati intorno alla regolazione degli affitti brevi: i) l’industria alberghiera, ii) i movimenti per il diritto alla casa e le associazioni di residenti; iii) le piattaforme commerciali; iv) le associazioni di host; v) le associazioni di property managers e grandi operatori commerciali; vi) i sostenitori della sharing economy (presenti a metà degli anni 2010, poi usciti dai dibattiti sul tema) (Aguilera, Artioli, Colomb, 2019). Dalla seconda metà del decennio 2010, gli affitti brevi sono stati promossi e difesi da un fitto sistema di associazioni che hanno rappresentato gli interessi sia dei proprietari e dei singoli “hosts” che dei grandi gestori (o “property managers”) che operano sul mercato italiano5 La storia di questi gruppi di interesse per il caso di Milano è riferita in Artioli 2020. . Alcune di queste associazioni esistevano prima dell’arrivo delle piattaforme digitali, altre sono state create, spesso con il sostegno diretto della piattaforma commerciale Airbnb, nell’ambito di una strategia globale di organizzazione di gruppi di interesse locali. L’azienda stessa è stata un attore politico dinamico nel mantenere al minimo la regolazione, attraverso campagne di comunicazione e di influenza e ricorsi ai tribunali amministrativi. Al contrario, le mobilitazioni a favore della regolazione sono state più circoscritte. Durante il decennio 2010, l’industria alberghiera è stato il gruppo di interesse più presente, che ha rivendicato l’applicazione di norme e tasse sugli affitti brevi, visti come una “concorrenza sleale”. Sul fronte del diritto alla casa, invece, i movimenti sociali centrati sul tema sono stati limitati e, laddove presenti localmente, hanno trovato un riscontro politico frammentato o assente. Al contrario la proprietà è stata invocata dalla maggioranza delle forze politiche in quanto interesse patrimoniale diffuso e da difendere. Sono dunque mancate coalizioni politiche strutturate a favore della regolazione, che invece si sono rivelate fondamentali in altre città e paesi. Il caso di Barcellona, in cui la regolazione degli affitti brevi è stata introdotta a partire dall’elezione, del 2015, dell’attivista per la casa poi diventata sindaca Ada Colau, mostra il ruolo essenziale giocato dai movimenti per la casa e dalle associazioni di residenti, e dalla loro rappresentanza politica. Molto recentemente, la proposta di legge nazionale di iniziativa popolare promossa dal 2021 dal gruppo veneziano Alta Tensione Abitativa, finalizzata a dotare i Comuni di strumenti di governo del mercato modulabili localmente, sembra trovare un nuovo riscontro politico da parte di alcune grandi città italiane ma con esiti ancora incerti.

    In secondo luogo, le politiche pubbliche e gli strumenti esistenti in Italia hanno teso a sostenere il turismo come oggetto di export e modello di crescita del paese, fornendo in tal modo un appoggio di fatto alla crescita delle locazioni turistiche in quanto espansione dell’offerta ricettiva locale e nazionale. Al contrario, le politiche per la casa, molto limitate, non sono state né una fonte né un sostegno alla regolazione degli affitti brevi. Contrariamente ad altri paesi (dall’Austria, alla Francia ai Paesi Bassi, ad esempio), la questione dell’abitare è affidata da almeno tre decenni al mercato e al privato, e resta un oggetto di politiche pubbliche marginale e poco istituzionalizzato. Le politiche per la casa, incentrate sul sostegno alla proprietà individuale, sono poco intervenzioniste e offrono strumenti minimi di regolazione del mercato dell’affitto libero in generale, ancor prima che di regolazione dell’affitto breve. Le domande di regolazione non sono quindi state né poste né sostenute dagli attori amministrativi locali o nazionali incaricati delle politiche abitative. Il caso di Parigi, per esempio, mostra come siano state le Direzioni delle politiche abitative (sia all’interno del Comune di Parigi, che nel Ministero) ad allertare le forze politiche sugli effetti delle locazioni turistiche in un mercato immobiliare già sotto pressione. Per regolare questo nuovo fenomeno, hanno potuto appoggiarsi e riutilizzare strumenti esistenti a disposizione dei Comuni (per esempio, l’obbligo di cambio di destinazione d’uso per trasformare una residenza principale in un’attività ricettiva) e risorse umane già presenti all’interno dell’amministrazione e dedicate alla protezione della casa come diritto e oggetto di intervento pubblico.

    In terzo luogo, la distribuzione delle competenze e i rapporti politici tra i livelli di governo, ed in particolare tra lo Stato e le Regioni, sono stati dissonanti e hanno giocato contro la regolazione. Da una parte, i contratti di affitto (anche di locazione turistica) rientrano tra le competenze dello Stato in quanto materia civilistica. La regolazione e limitazione degli affitti brevi in quanto contratti di locazione non può dunque che riposare su una legge nazionale, che ancora manca. Dall’altra, le Regioni hanno legiferato dalla metà degli anni 2010 sulla base delle loro competenze in materia di turismo (istituendo per esempio i codici identificativi regionali menzionati sopra), ma tali interventi sono diventati oggetti di conflitti multilivello e di contenzioso giuridico. Con la motivazione che invadevano la competenza esclusiva statale in materia di ordinamento civile, le leggi regionali della Toscana e della Lombardia, per citare due noti esempi, sono state impugnate dal governo dinanzi alla Corte Costituzionale, le cui sentenze hanno poi condotto a modificare la prima legge e confermare la seconda. Il contenzioso tra livelli di governo ha alimentato una relativa incertezza giuridica intorno fenomeno, della quale si è nutrito.

    Infine, laddove approvate, l’applicazione delle regole si è rivelata difficile o inesistente. Due leggi nazionali, quella che creerebbe il codice identificativo unico, e quella che dota il Comune di Venezia di strumenti specifici essenziali per la regolazione del mercato (d.l. n. 50/2022, “emendamento Pellicani”), non sono state ancora attuate. Anche le regole in vigore in diverse Regioni, come quelle attinenti all’obbligo di registrare l’inizio o la fine dell’attività o di ottenere un codice identificativo sono difficilmente oggetto di controlli da parte di amministrazioni locali in cui le organizzazioni incaricate del tema sono spesso sottodimensionate. Ulteriore ostacolo alle verifiche è l’assenza di dati precisi, che sono e restano di proprietà delle piattaforme, e non permettono dunque di identificare con chiarezza chi affitti cosa, in virtù di quale statuto, e quale sia il bene affittato. Laddove non vi sono obblighi di registrazione o quando questi obblighi sono ignorati, gli affitti brevi restano dunque di fatto invisibili, e ingovernabili, per le amministrazioni. Se applicare i controlli è difficile ovunque, il potenziamento delle amministrazioni locali incaricate del tema e l’obbligo di trasmissione di dati da parte delle piattaforme, in molte città sono state due piste per rafforzare l’attuazione delle regole.

    Questi quattro elementi combinati – debole rappresentanza politica dei gruppi favorevoli alla regolazione a fronte degli interessi contrari (piattaforme, hosts, property managers, ecc.), strumenti e politiche pubbliche a sostegno del turismo ma non del diritto alla casa, conflitti multilivello e difficoltà di implementazione – hanno prodotto una “tempesta perfetta” di non-regolazione sul piano urbanistico e abitativo. Sono altrettanti spunti di riflessione sulle leve e sulle coalizioni necessarie per regolare il mercato, avendo in mente che controllare lo sviluppo di un settore emergente sarebbe stato senza dubbio più semplice che restringere un mercato consolidato.

    Per approfondire

    Aguilera T., Artioli F., Colomb C. (in corso di pubblicazione). Housing Under Platform Capitalism. Regulating Short-term Rentals in European Cities. IJURR-SUSC Book Series, Wiley-Blackwell.

    Aguilera T., Artioli F., Colomb C. (2021). Explaining the diversity of policy responses to platform-mediated short-term rentals in European cities: A comparison of Barcelona, Paris and Milan. Environment and Planning A: Economy and Space, 53, 7: 1689–1712.

    Artioli F. (2020). La gouvernance urbaine à l’épreuve d’Airbnb: Locations de courte durée et groupes d’intérêt à Milan. Paris: Plan urbanisme construction architecture.

    Celata F., Romano A. (2022). Overtourism and online short-term rental platforms in Italian cities. Journal of Sustainable Tourism, 30: 1020–1039.

    Colomb C., Moreira de Souza T. (2021). Regulating Short-term Rentals. London: Property Research Trust.

    Menegus G. (2020). Recenti interventi delle Regioni ordinarie in materia di locazioni per finalità turistiche. Osservatorio sulle fonti, 1: 1–13.

    Perrone C., Masiani B., Tosi F. (2021). Una geografia delle politiche urbane tra possesso e governo. Sfide e opportunità nella transizione. Bologna: Dipartimento di Architettura dell’Università di Bologna (vedasi la parte seconda “Geografie, concentrazioni e attori: l’influenza dell’economia delle piattaforme nel caso dell’Airbnb”).

    Tonetta M., Esposito A., Conte V. (2022). Questa casa (non) è un albergo. La gestione speculativa del patrimonio residenziale in Italia. cheFare.

    Yates L. (2021). The Airbnb «mouvement» for deregulation. How platform-sponsored lobbying is changing politics. Manchester: The Univeristy of Manchester and Ethical Consumer.

     

    Immagine di copertina: Babak Habibi da Unsplash

    Note