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Sono residenze d’artista nei borghi di montagna. Bagni diurni dove si lava chi non ha acqua in casa e dove si fanno reading di poesia. Fabbriche ecaserme riconvertite in auditorium, spazi espositivi, ristoranti sociali. Centri sociali occupati che sono club, spazi per la danza, laboratori di stampa. Vecchi circoli dove a fianco dei giocatori di briscola hanno iniziato a riunirsi gli appassionati di robotica.
Sono luoghi attraversati ogni giorno da decine di migliaia di persone eppure, quello dei nuovi centri culturali è un mondo ancora poco conosciuto, poco studiato e poco raccontato. Per molti sono casi unici ed irripetibili, per altri sono “posti da ragazzi” perché la cultura seria si fa solo altrove, nelle università, nelle aziende, nelle redazioni, nei grandi musei. Noi di cheFare sappiamo che non è così.
Cosa stai per leggere?
Per conoscerli meglio abbiamo lanciato una mappatura nazionale e per affiancarli abbiamo costruito un Festival itinerante fatto di workshop e seminari che ha appena concluso la sua prima tappa in Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta.
Quelli che state per leggere sono i primi risultati di questo percorso: dati e riflessioni, assemblati dal team di cheFare e illustrati dalla designer Cinzia D’Emidio, che dimostrano che quello dei nuovi centri culturali è un fenomeno nazionale e che spiegano perché è fondamentale, oggi più che mai, continuare a supportarli nelle loro attività.
Nel corso di questo longform troverete alcune indicazioni scritte in rosso ed allineate a destra: sono consigli di navigazione, spunti per orientarvi all’interno dell’analisi chelaGuida ha permesso di far emergere.
Tutti siamo stati nei nuovi centri culturali, clicca qui per leggere l’introduzione di BAGLIORE – la biografia che abbiamo scritto con Il Saggiatore per raccontarli.
Oppure, dai un’occhiata qui sotto per scoprire se hai già avuto a che fare con un nuovo centro culturale.
Perché cheFare si occupa dei nuovi centri culturali?
cheFare nasce nel 2012 per produrre il premio cheFare, un premio da 100.000€ per progetti culturali innovativi. Nelle tre edizioni tra il 2012 e il 2014, il premio ha erogato 350.000€ a 5 soggetti diversi, selezionati tra oltre 1.800 progetti arrivati da tutta Italia.
Da questa esperienza abbiamo capito che quelli che oggi chiamiamo nuovi centri culturali stavano divenendo uno dei principali crocevia dell’attivismo civico e culturale in Italia,fucine di cultura collaborativa. Per questo abbiamo deciso di cercare modi per raccontarli, studiarli e facilitare il loro lavoro.
I progetti di cheFare che hanno attraversato i nuovi centri culturali
Tra il 2015 e oggi, abbiamo portato avanti decine di progetti per scoprire i nuovi centri culturali, per esempio:
➔ Rosetta, progetto culturale nomade che ha attraversato 18 nuovi centri culturali milanesi;
➔ Spazi, Lavoro e Cultura, la borsa di ricerca realizzata con la Fondazione Giangiacomo Feltrinelli;
➔ Molto Presto, una maratona di due giorni alla Triennale Milano per discutere le prospettive d’azione dei nuovi centri culturali;
➔ BAGLIORE, un programma di residenze in 6 nuovi centri culturali per scrivere una nuova biografia culturale dell’Italia;
➔ laCall to Action, una mappatura nazionale dei nuovi centri culturali — ad oggi contiamo oltre 450 nuovi centri culturali, 145 organizzazioni che operano al loro interno e moltissimi frequentanti;
➔ e infine laGuida, il Festival itinerante dei nuovi centri culturali di cui si è appena conclusa la prima tappa, a tema Partecipazione, in Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta.
Noi di cheFare ci occupiamo dei nuovi centri culturali perché crediamo siano una delle nuove, fondamentali ossature civiche dell’Italia, e crediamo che raccontarli e costruire con loro nuove competenze sia il modo migliore per supportarne l’azione.
Vuoi sapere tutti i motivi per cui ci occupiamo dei nuovi centri culturali? Abbiamo scritto un articolo apposta per te.
Ok, ma nel concreto di cosa stiamo parlando?
Teoria
La storia dei nuovi centri culturali ha origine nei modi in cui si è trasformata l’organizzazione della cultura a partire dalla seconda metà del XX° secolo. Si intreccia, oggi, ai cambiamenti sociali scaturiti dalla crisi economica del 2008 e alle pratiche di rigenerazione urbana che caratterizzano i mutamenti dei territori e delle città, grandi e piccole.
I panorami rurali di Pollinaria, a Civitella Casanova.
Cosa sono i nuovi centri culturali?
La nostra prospettiva sulla storia dei nuovi centri culturali è chiara e l’abbiamo raccontata in un articolo di Bertram Niessen.
È a partire da questa prima sistematizzazione del fenomeno abbiamo provato a distillare alcune caratteristiche utili per costruire una definizione condivisa di nuovi centri culturali. Chiaramente, si tratta di un insieme di spunti, non vincolanti proprio perché ognuno di questi luoghi è il protagonista di una storia a sé.
Bene, ora abbiamo capito cosa sono i nuovi centri culturali — ma perché sono nati? Per comprenderli, serve capire a che tipo di esigenza storica rispondono. Anche in questo caso, abbiamo provato a mettere in ordine alcune cose.
Per capire da dove arrivano i nuovi centri culturali è necessario raccontare la storia di un circolo vizioso.
Infatti, mentre il numero di lavoratori delle industrie culturali e creative è aumentato costantemente per decenni, il valore del loro lavoro e il peso sociale della loro rappresentazione sono progressivamente diminuiti. Come si è innescato questo meccanismo e cosa c’entra con i nuovi centri culturali?
Da dove arrivano i nuovi centri culturali?
A partire dalla fine del secolo scorso, i paesi Occidentali hanno progressivamente delocalizzato le industrie produttive materiali nei paesi in cui il costo del lavoro è più basso. Lo spazio che è emerso da questo processo è stato occupato da quelle che oggi conosciamo col nome di Industrie Culturali e Creative.
Si tratta di un settore che, nei decenni, ha attraversato un paradosso fondamentale. Agli inizi del 2000 queste industrie hanno iniziato ad essere indicate come l’uovo di Colombo per generare valore in una società post-industriale; nel frattempo, le condizioni di lavoro nel settore hanno iniziato a peggiorare, almeno per la maggior parte delle persone
Mentre i capitali investiti nelle Industrie Culturali e Creative hanno continuato ad aumentare – così come le competenze – il processo di precarizzazione dei lavoratori ha costruito vite e carriere sempre più instabili e meno sostenibili.
Flash forward ad oggi: le lavoratrici e i lavoratori della cultura sono ricchi di capitale sociale, simbolico e culturale ma mancano le condizioni di sistema (e a volte le competenze individuali e collettive) per tradurre queste ricchezze in capitale economico.
La soluzione? Collaborare: creare spazi in cui le competenze di persone diverse possono diventare complementari per aumentare al massimo questa capacità di traduzione. Uno dei luoghi cruciali di incontro per queste forme di collaborazione sono i nuovi centri culturali.
Tanta carne sul fuoco, vero? Se vuoi saperne di più, abbiamo unintero saggio a riguardo.
Collaborare è bello, ma come si facilitauno sforzo davvero congiunto?
La storia della collaborazione
Collaborare oggi suona un po’ come innovare: parole importanti, essenziali, ma svuotate di significato da centinaia di implementazioni insufficienti e prive di convinzione. ‘Collaborare’ è una cosiddetta buzzword, una parola ormai “tutto fumo niente arrosto” — per riconsegnarla alla sua importanza dobbiamo parlare di cultura collaborativa, ovvero del senso storico della collaborazione.
Storicizzare la collaborazione significa parlare di open culture, di Ideologia Californiana, di Charles Fourier, delle comuni di Robert Owen, dell’Accademia di Atene e di molte altre cose.
Dalle Società Operaie di Mutuo Soccorso ed Istruzione fino ai nuovi centri culturali, il senso della collaborazione si è sedimentato nei secoli e acquisirne consapevolezza ci può aiutare a mantenere vivo il suo reale significato.
Prima di avviare qualunque progetto collaborativo o co-progettazione è bene ripercorrere la strada che ci ha portato fin qui — tanto per cambiare: studiare per recuperare potere sugli strumenti che ci hanno illuso di essere la soluzione unica e preconfezionata alla complessità.
Torniamo sui libri di storia. Dall’Accademia di Atene fino alla Società Operaie di Mutuo Soccorso, leggi ilnostro articolo sul senso storico della collaborazione.
Abbiamo finito con la teoria. Passiamo alla pratica?
Pratica
Ogni nuovo centro culturale è una storia a sé. Per questo motivo, capire come affiancare il loro impegno è un lavoro complesso ed articolato.
Ognuno di questi luoghi presenta decine di specificità altamente situate, sia geograficamente che socialmente, e sviluppare delle matrici scalabili di strumenti, consigli e pratiche da implementare potrebbe non essere il modo migliore per supportare davvero i nuovi centri culturali.
Bertram Niessen, direttore scientifico di cheFare, durante laPiazza al Polo del ‘900 di Torino.
Come supportare i nuovi centri culturali?
Allo stesso modo, un approccio personalizzato e tailor-made potrebbe senza dubbio risolvere ogni bisogno specifico ma rischierebbe di risultare inefficacie vista la mancanza di risorse per soddisfare la domanda.
Serve quindi un compromesso, che per noi di cheFare deve necessariamente partire da un processo di visibilizzazione di questi luoghi (attraverso, per esempio, una mappatura nazionale come quella de laCall to Action) e di un loro riconoscimento reciproco (attraverso, per esempio, la creazione di uno spazio di dialogo come quello de laGuida).
Non basta, ovviamente, l’impegno dei nuovi centri culturali. Come suggerito da Davide Agazzi durante un intervento tenutosi nel corso della prima tappa de laGuida, l’oggetto di questa conversazione è lo sviluppo di politiche culturali specifiche per i nuovi centri culturali che possano interpretarli anche come organizzazioni produttive e che investano sulla loro stabilizzazione, sulle direzioni artistiche e sull’innovazione organizzativa di queste strutture.
Servono investimenti sugli edifici che ospitano i nuovi centri culturali e misure che detassino alcune attività specifiche, come l’occupazione del suolo pubblico.
Chi trovi dentro un nuovo centro culturale, e a fare cosa
Stiamo arrivando alla sostanza. È ora di raccontare ciò che abbiamo fatto durante l’ultima tappa de laGuida.
Contarci e riconoscerci: da laCall to Action a laGuida
Negli ultimi anni per noi di cheFare, i nuovi centri culturali hanno assunto un’importanza crescente sia dal punto di vista editoriale che progettuale.
Per iniziare a dialogare con i protagonisti della discussione, a febbraio 2020, abbiamo presentato laGuida, il nostro Festival dei nuovi centri culturali, lanciando laCall to Action, una mappatura nazionale rivolta a tutti i soggetti che si sentono parte di questa ossatura civica e culturale.
Poche settimane dopo la presentazione al pubblico de laGuida, la pandemia di Coronavirus si è rapidamente trasformata in un’emergenza globale che ci ha costretto a rivedere i nostri progetti. Il percorso con i nuovi centri culturali è diventato digitale ed è stato distribuito nel tempo.
Insieme a Fondazione Compagnia di San Paolo, partner finanziatore della prima tappa de laGuida, abbiamo posto al centro della discussione una sfida fondamentale: come porre le basi per la partecipazione culturale nel 2020 e creare occasioni di incontro con i nuovi centri culturali in un momento storico in cui la socialità in carne ed ossa è pericolosa.
I nuovi centri culturali in Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta
Così, dopo essere partiti con la mappatura nazionale de laCall to Action, abbiamo reso laGuida un vero e proprio focus su una porzione geografica dell’Italia per conoscere, affiancare e consolidare la rete di nuovi centri culturali che stava (e sta) affrontando le conseguenze della pandemia.
Siamo partiti da Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta con la prima tappa del Festival a tema Partecipazione. Insieme a oltre 90 nuovi centri culturali abbiamo intrapreso un percorso in due tempi (ilCamp a giugno e laPiazza ad ottobre) per conoscerci e riconoscerci.
Abbiamo scoperto che alcuni nuovi centri culturali si sono riorganizzati durante il periodo di lockdown. Alcuni come reti di mutuo soccorso, altri progettando attività esclusivamente digitali. Purtroppo, alcuni hanno attraversato ulteriori difficoltà: come le operatrici e gli operatori dello spazio Hydro, distrutto dall’esondazione del Torrente Cervo.
Nel corso dei lavori abbiamo puntato i riflettori su una rete di reti che, senza necessariamente saperlo, esisteva già e che è determinata a sviluppare tutte le competenze necessarie per continuare le proprie attività.
Non ci siamo solo “sentiti in video-conferenza”: laGuida è un progetto complesso ed articolato che ha affrontato i nuovi centri culturali su più livelli.
Cosa abbiamo fatto con i nuovi centri culturali?
A giugno 2020 siamo partiti con la prima tappa de laGuida in formato digitale. Dal 22 giugno all’1 luglio abbiamo organizzato ilCamp, il primo momento di lavoro e discussione con i nuovi centri culturali di Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta intorno al tema della Partecipazione.
Nei 5 giorni de ilCamp ci siamo confrontati con più di 90 soggetti attraverso laboratori, lezioni frontali e talk coinvolgendo 3 esperti (il ricercatore territorialista Filippo Tantillo, la direttrice artistica Tatiana Bazzichelli e il designer e professore Stefano Maffei) ed aprendo il dialogo anche agli altri nuovi centri culturali in tutto il resto d’Italia
In queste prime settimane sono emersi bisogni, desideri ed istanze da prospettive diverse, con un chiaro appello al confronto con la pubblica amministrazione dal punto di vista dirigenziale e operativo, discutendo gli scenari di finanziamento e ragionando su come co-progettare le forme di valorizzazione dei territori.
Il materiale raccolto ci ha permesso di dialogare con gli altri soggetti coinvolti, invitandoli il 13 e 14 ottobre a partecipare a laPiazza, il secondo momento de laGuida. Nei 2 giorni de laPiazza abbiamo dialogato con i partecipanti de ilCamp e con i corpi intermedi, la pubblica amministrazione e i policy maker locali e nazionali su come costruire le politiche per i nuovi centri culturali in Italia.
L’esito finale di questo primo percorso è stato sintetizzato in 11 raccomandazioni finali che raccolgono bisogni dei nuovi centri culturali e richieste della pubblica amministrazione e che rappresentano uno sguardo verso nuove alleanze. Parallelamente, durante tutta la prima tappa de laGuida, abbiamo cucito nuove partnership con più di 10 soggetti e raccontato editorialmente il percorso sul magazine di cheFare coinvolgendo esperti internazionali.
Quello dei nuovi centri culturali è un fenomeno nazionale. Supportarne lo sviluppo è un’operazione delicata e complessa, che deve prendersi cura delle specificità territoriali stimolando, allo stesso tempo, un salto in avanti di scala nazionale.
Noi di cheFare ci occupiamo di forme di cultura dal basso, innovazione culturale e nuovi centri culturali da anni. Siamo in costante osservazione, analisi, ricerca e ad oggi abbiamo maturato esperienze e competenze necessarie per suggerire una possibile strada da percorrere.
È per questo motivo che in concomitanza con la conclusione della prima tappa de laGuida abbiamo elaborato 11 raccomandazioni per politiche specifiche relative ai nuovi centri culturali:
laGuida è realizzata con il supporto della Fondazione Compagnia di San Paolo che, traendo spunto dall’agenda 2030 pensa ai nuovi centri culturali e ai presidi civici come spazi non solo di cultura ma anche di cittadinanza attiva. L’iniziativa ha inoltre il sostegno di Fondazione Unipolis.