Cosa sono i commons? La sfida di Gent

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    La città di Gent, nelle fiandre del Nord, con circa 300000 abitanti ha finanziato lo studio di Michel Bauwens (ricercatore) e Yurek Onzia (coordinatore del progetto) con il supporto del sindaco Daniel Termont, e della coalizione di maggioranza del comune.

    La ricerca parte da un’urgenza della municipalità: il sorgere e la diffusione di commons nella città. Per questo è apparso necessario uno studio in grado di offrire alcune possibili spiegazioni rispetto alle ragioni di questo fenomeno, e, al contempo, per poter determinare quale tipo di politiche pubbliche possano supportare le iniziative fondate sul comune (commons), partendo da una consultazione della cittadinanza attiva di Gent.


    macao milano rosetta alla conquista dello spazio

    Rosetta alla conquista dello spazio. Appunti per un diritto alla città con Michel Bauwens, Tito Faraci, Enzo Mingione, Eva Neklyaeva. Introduce Emanuele Braga, modera Bertram Niessen. Dalle 19.00 a Milano da Macao


    Il progetto è stato supportato da Timelab, un makerspace artistico gestito da Evi Swinnen,e da Vasilis Niaros, ricercatore greco del P2P lab. Le grafiche sono state curate da Wim Reygaert mentre Annelore Raman ha gestito i rapporti con l’amministrazione.

    La ricerca si è svolta durante la primavera del 2017 e si compone di:

    • Una mappatura degli oltre 500 progetti basati sui commons divisi per settore di attività (cibo, servizi, trasporti, etc.), attraverso un wiki, http://wiki.commons.gent
    • Più di 80 interviste individuali e conversazioni con i project leaders e i gestori dei commons
    • Un questionario scritto che ha raccolto le risposte di oltre 70 partecipanti.
    • 9 workshops nei quali i partecipanti erano stati invitati su base tematica ‘Il cibo come bene commune”, “l’energia come bene commune”, il trasporto come bene commune” etc.
    • Un workshop “Commons Finance Canvas” basato su una metodologia sviluppata da Stephen Hinton, che ha indagato le opportunità economiche, le difficoltà e i modelli utilizzati nei progetti sui beni comuni.

    Cosa sono i Commons?

    I commons, originariamente chiamati meent in fiammingo, sono beni comuni e servizi, sia materiali che immateriali, che non sono in origine né una proprietà delle autorità pubbliche come la città o lo stato, né proprietà private di individui o imprese.

    Nello studio è stata utilizzata la definizione di Bram Stessel che scrive: “Un meent o mient è un termine che era stato un tempo utilizzato per descrivere un pascolo comunale, normalmente parte di un gemeynt (territorio boschivo ndt.) o di un marke (zona di mercato a ridosso del villaggio ndt.). Queste forme erano particolarmente diffuse nelle zone dal suolo sabbioso. (Da annotare il parallelismo con gemeente [la parola fiamminga per municipalità o borgo]). A seconda della regione e della fertilità del suolo, il meent è stato poi diviso ad un certo punto tra i beneficiari. Il markewetten [legge dei commerci] del diciannovesimo secolo, ha sancito, dal punto di vista normativo, le divisioni su larga scala.

    Il ricercatore David Bollier -a partire dal lavoro del premio Nobel americano Elinor Ostrom- ha basato la definizione di commons su tre elementi fondativi:

    • I commons sono una ‘proprietà comune’, creata, gestita o protetta da una certa comunità; nel contesto di una città, si tratta sempre di ‘beni dei cittadini’.
    • I commons non sono un fenomeno ‘naturale’, non semplicemente qualcosa che appartiene ed è accessibile a tutti, ma qualcosa che dipende dalle decisioni umane e dalle attività, attività che David Bollier e gli altri autori definiscono come ‘commoning’ (condivise/messe in comune).
    • Questa ‘proprietà comune’ è gestita in accordo con le norme e regole della comunità, in relazione all’amministrazione e al mercato, ma soprattutto in autonomia. In questo contesto, le forme di gestione e proprietà sono fondamentalmente differenti da queste del mercato o dello stato.

    I commons sono perciò circoscritti dai seguenti criteri: 1) sono un oggetto di collaborazione, 2) sono un’attività portata avanti dalle persone, 3) sono una forma di gestione e di proprietà. Questa semplice definizione richiede un’ulteriore chiarificazione, poiché: ci sono moltissime forme ibride ma la principale questione è come questa forma di proprietà sia implementata nel suo contesto più ampio da un rafforzamento di una vera e propria ecologia commons.

    Come primo esempio, si prendano le fattorie CSA, che possono essere spesso possedute da singoli contadini (rendendole una forma di proprietà privata, non comune) ma che sono chiaramente co-gestite con il parere della comunità dei consumatori (cooperative di consumatori di cibo/GAS, clienti “prendi quello che vuoi”, etc.). Un secondo esempio è il programma di Temporary Use della città di Gent, in cui la città mette a disposizione terreni o spazi per progetti e iniziative dei cittadini, che sono soprattutto gestite dai partecipanti stessi. Nel modello “Community land Trust” che si può ritrovare anche a Gent – in cui il terreno è separato e sottratto dal mercato- il suolo è spesso posseduto dalla città, ma è sottoposto allo statuto del CLT.

    Il metodo di analisi usato dal think tank Oikos in uno studio sull’evoluzione delle iniziative cittadine e collettive a Gent offre ottimi spunti. In questo metodo, le iniziative sono collocate in un triangolo che si compone di stato-cittadini-mercato. I beni collettivi dei cittadini nello studio di Oikos favoriscono il secondo elemento della definizione dei commons: i cittadini che si occupano di commons. Se almeno due elementi della nostra ragionevolmente ristretta definizione sono presenti, allora queste forme devono essere certamente trattate e descritte come orientate al comune. In questo lavoro si è scelto di utilizzare la stessa nomenclatura adottata da Filip de Rynck, che ha già pubblicato uno studio sulle relazioni tra queste iniziative e il governo.

    I commons non sono un’utopia, non sono tuttavia perfetti. Si tratta solamente di altri tipi di pratiche umane, che presentano pro e contro. I commons possono essere più o meno aperti. I commons possono essere gestiti da strati più privilegiati della popolazione e possono creare tensioni sotto il punto di vista dall’inclusione; i commons possono essere gestiti da minoranze etniche e/o culturali, e chiuse agli outsiders; i commons possono essere problematici sotto moltissimi aspetti, come nel caso di un design commons che abiliti le persone a lavorare insieme per la costruzione di armi fai da te.

    In questo studio, inoltre, viene utilizzato un vasto gruppo di criteri di valutazione per poter collocare i commons in una scala di valori etici, in particolare sulla base ella loro relazione con la sostenibilità ambientale, eguaglianza sociale e inclusione, che sono gli assunti centrali di questo lavoro. In aggiunta alla definizione più ristretta e pura offerta da David Bollier, possiamo certamente collocare i commons in un contesto più ampio.

    Secondo un vasto numero di antropologi, economisti e storici, ci sono almeno quattro metodi principali per la distribuzione di beni e servizi nella società: 1) il mercato, che opera sulla base del meccanismo del prezzo, 2) la redistribuzione statale sulla base della tassazione e degli investimenti pubblici, 3) il metodo della reciprocità ossia l’economia del baratto come praticata nella civilizzazione tribale e 4) la messa in comune e il mutualismo.

    I commons corrispondono al quarto metodo di gestione e di distribuzione di beni e servizi, attraverso la messa in comune, o per dirla in un altro modo, il “possedere insieme”.

    Seguendo un criterio più politico, i commons possono essere visti come un approccio più collettivo alla società e all’economia.

    In questo contesto, la letteratura usa il lemma “common” in inglese e “commun” in francese. In questa accezione, commons significa una visione fondamentalmente differente dell’umanità. Se si sposa questa prospettiva, la salvezza non è attesa dagli ‘individui razionali che sono posti in competizione gli uni con gli altri, ma molto più dalle persone che lavorano insieme, e che trovano soluzioni collettive tramite connessioni’, ossia quello che Tine de Moor chiama “homo cooperans”. Dove i commons rappresentano forme di individualità, autonomia relazionale e collettiva e cooperazione, entrambe sono in relazione con il meccanismo statale e con quello del mercato.

    I commons come sfida per il mercato e le amministrazioni

    Come le più antiche forme di mutualismo, i nuovi commons affondano le proprie radici nella società civile, ma questo nuovo strato di iniziative cittadine si presenta in forma più esplicita come tale. Si rifiuta, infatti, una valutazione in chiave di proprietà semi-pubblica così come i meccanismi di organizzazione orientati al mercato, ma anche una professionalizzazione della vecchia società civile. I nuovi commons urbani sono maggiormente caratterizzati da una cultura dell’orizzontalità, libera contribuzione (e, per estensione, libera non-contribuzione) e un orientamento all’autonomia individuale e collettiva. Il revival dei commons è innanzitutto una sfida per la visione dominante dei cittadini e della società nel modello corrente di società, e per la visione più esclusiva basata sulla divisione tra stato e mercato. I commons richiedono ai movimenti sociali e politici, così come al mercato e agli attori politici- di evolvere da un sistema binario di visione del mondo ad un sistema tripartito, in cui i problemi e le soluzioni sono viste come specifici tipi di connessione tra mercato, governo e commons. Così, al posto di una leadership e di una gestione che viene dal governo del mercato, al posto di una partnership pubblico-privato, possiamo anche guardare ad una partnership pubblico-sociale (ad esempio, pubblico-commons) e ad una partnership pubblico-sociale/privato.

    I commons come sfida di governo

    Per il governo, e per il mondo politico che orienta il governo in un Sistema democratico, i commons rappresentano anche una sfida addizionale dal momento che costituiscono una nuova richiesta rispetto all’esercizio di potere. Quando un gruppo di cittadini reclama o costituisce commons con o senza il permesso dell’amministrazione, questa è una richiesta che sfida le forme tradizionali di democrazia rappresentativa. Come nella classica società civile, – in principio come espressione del movimento dei lavoratori, e in seguito con riguardo alle più ampie questioni sociali, culturali e identitarie negli anni sessanta-, i commons hanno significato un invito ad un ulteriore sviluppo della democrazia, e un’ibridazione fra forme rappresentative e forme più dirette di democrazia. L’autogestione dei commons attraverso i collettivi cittadini è un’estensione delle forme democratiche a nuovi domini, che includono funzioni del mercato precedentemente gestite solo sul piano privatistico.

    Nelle Fiandre, il nuovo Oosterweel Agreement (detto ‘Oosterweel Light’) è la conseguenza di queste richieste di commons. I cittadini hanno rifiutato di vedere i progetti sugli spazi e le questioni sulla mobilità come qualcosa che potesse essere regolato esclusivamente dalla rappresentanza politica e dagli interessi privati delle società. In una città come Gent il revival dei commons rappresenta al contempo una sfida e un’opportunità per reinventare ed arricchire la politica, tenendo in considerazione sfide specifiche come l’inclusione, la sostenibilità, le pari opportunità, etc.

    Ci sono alcune questioni da tenere a mente: ci sono nuove forme istituzionali che possono integrare queste nuove richieste in un sistema politico, sociale ed economico riformato? Si può passare dalla democrazia rappresentativa con le tradizionali forme di partecipazione ad un più esteso riconoscimento del diritto di promozione della società civile e delle sue rivendicazioni di beni comuni? Possiamo davvero evolvere in una città partner che supporti e guidi le iniziative dei commons?

    Questa sfida specifica alle amministrazioni e al sistema democratico si configura tramite lo stabilire il modo migliore per lavorare insieme, includendo tra i fini nuovi canali istituzionali e forme di stato di diritto – così come il connettere la logica rappresentativa con la democrazia ‘di tutti’ (e gli approfondimenti attraverso la partecipazione e la deliberazione) con la specifica logica partecipativa dei commons e delle iniziative dei cittadini. Dopo tutto, queste ultime non sono fondate sulla ‘rappresentanza’ ma puntano al contrario ad una nuova logica di partecipazione, mentre la gestione e la scelta decisionale (governance) si basa su caratteristiche contributive.

    É una partecipazione ad un progetto comune, nel processo di co-produzione, che garantisce lo spazio di ‘voice’. Giusto a titolo di esempio, un parco di gestione comune, come il Driemasterpark a Meulestede-Wondelgem non è solo supportato dall’amministrazione o da interessi privati, ma non é tantomeno appoggiato solamente da coloro che abitano nei dintorni del parco; il parco si regge su tutti coloro che contribuiscono materialmente al parco. Infine, come citato in precedenza, i commons rappresentano una sfida nel rispetto dell’inclusione sociale e la riduzione delle diseguaglianze tra I cittadini. Un nuovo ruolo dell’amministrazione potrebbe essere quello di meta-regolazione dei commons, nella misura in cui il potenziale di ogni cittadino o abitante possa essere stimolato.

    É importante menzionare che nello studio ci riferiamo a ’cittadini’ in senso ampio, intesi come tutti I residenti. Il bisogno di adattare tattiche amministrative ai commons ha, inoltre, una forte valenza legale. Dopo la rivoluzione francese, i commons sono in larga parte scomparsi dai libri di diritto e dal pensiero giuridico. Le regolazioni si sono sviluppate nel contesto della generale domanda sociale di poteri di opposizione (dal movimento dei lavoratori fino al 1980, per esempio) e nelle ultime poche decadi si è trattato di un sostanziale contesto di deregulation. L’autogestione di attori che cercano la massimizzazione del profitto rimane fondamentalmente problematica, tuttavia, la grande sfida della regolazione è basata sulla sfiducia dell’individuo privato e della sua capacità come cittadino e in relazione alle società. Le pratiche dei commons, comprese quelle che si basano su economie generative, si fondano su un’attitudine completamente differente, vale a dire che la creazione dei beni condivisi e dei servizi avviene in un contesto di interesse generale. Così, c’è, a nostro avviso, spazio per una riflessione su come la regolazione possa relazionarsi nello specifico ad attività commons.

    I commons come una sfida al mercato

    I commons impongono una sfida per gli attori del mercato mossi da un sistema di profit privato. Innanzitutto, le dinamiche dei commons creano un altro tipo di impresa che è generativa con rispetto dei commons e dei collettivi dei cittadini. Se la città di Gent crea un ‘temporary use’ offrendo, ad esempio, terre ed edifici a disposizione delle iniziative cittadine, e queste iniziative poi producono commons, questo può spesso portare ad un nuovo business. I commons, inoltre, implicano aspetti di impiego in cui la creazione di lavoro può essere anche molto significativa. Si veda ad esempio il potenziale di 1 milione di pasti scolastici all’anno solamente nelle scuole della città di Gent.

    La sfida è inventare e supportare le forme di mercato che rinforzano i commons più che indebolirli. Questi ultimi non solo catturano il valore, ma sono in grado di reinvestirlo nei commons e nelle comunità che stanno attorno ad essi. Il progetto BAST che ha rinnovato le abitazioni operaie a Gent è un buon esempio di questo tipo di imprese.

    I commons immateriali, che sono basati sulla condivisione delle conoscenze, rappresentano un caso speciale, diverso dalla normale forma di privatizzazione delle conoscenze attraverso la proprietà intellettuale. Un problema essenziale qui è il rapporto tra le regolazioni e la cooperazione dell’amministrazione con le economie tradizionali private di profit, e i loro problemi sulle ‘esternalità’ da un lato, dall’altro i commons, spesso imprese socio-ecologiche (che sono più orientate a integrare queste esternalità nei loro modelli economici). Entrambi i settori necessitano di uno spostamento attraverso una transizione socio-ecologica, e questo non può avvenire nello stesso modo. In termini di forme di mercato, i commons stimolano nuove forme generative di mercato che prestano più attenzione ad integrare valori come la sostenibilità, la condivisione delle conoscenze, la mutualizzazione delle infrastrutture e una distribuzione del valore economico più inclusiva.

    Coopkracht e Febecoop hanno giù aperto un cammino e hanno organizzato seminari in cui le cooperative sono viste come una forma ideale di proprietà e gestione per il management dei commons. Questo è qualcosa che è già stato messo in pratica a Gent da EnerGent, la cooperativa delle energie rinnovabili.

    Sul piano internazionale, si è sviluppato un movimento attorno alle piattaforme di cooperativismo, in cui queste sono utilizzate per facilitare mercati distribuiti e considerati come commons (e non proprietà privata) e prendono la forma delle cooperative. Esempi internazionali includono Stocksy United, una piattaforma per fotografi con fotografie royalty-free e FairMondo un mercato gestito dagli utenti locali e alternativo ad Ebay. Nelle Fiandre, e certamente anche a Gent, possiamo osservare un movimento in questa direzione. Imprese sociali, investitori sull’impatto, investitori etici, valute di comunità e crowdfunding sono, inoltre, mezzi potenziali per supportare i commons.

    I commons come sfida per la società civile

    Infine i commons sono una chiara sfida per la società civile tradizionale. I commons portano nuove forme di coordinamento e di management, che sono molto più basate su partecipazione informale, azione volontaria e pratiche di gestione orizzontale, spesso critiche rispetto alle forme esclusive di professionalizzazione e di managerialismo, senza rifiutarle completamente. Tuttavia, a Gent, dove, in accordo con la ricerca, la maggioranza dei collettivi di cittadini non si considera come parte della società civile (tradizionale) si possono incontrare organizzazioni delle società civile, vecchie e nuove, che, di fatto, giocano un ruolo di facilitazione, di supporto, anche infrastrutturale. Si consideri, ad esempio il ruolo cruciale e la condivisione della Samenlevingsopbouw organisation in moltissime delle iniziative locali, e l’esempio di De Site, un progetto di utilizzo temporaneo con una natura sostenibile, nel quartiere a forte diversità culturale di Rabot. Se si riscontra chiaramente un bisogno di una amministrazione pubblica che sostenga di più e che faciliti i progetti, si può anche riscontrare la richiesta di una società civile che sia più inclusiva e che favorisca i cambiamenti. A Gent, questa evoluzione e trasformazione è già in corso.


    Traduzione di Valeria Verdolini, versione originale qui

    Note