Il ruolo degli spazi collaborativi nel mondo del lavoro a Milano

Scarica come pdf

Scarica l'articolo in PDF.

Per scaricare l’articolo in PDF bisogna essere iscritti alla newsletter di cheFare, completando il campo qui sotto l’iscrizione è automatica.

Inserisci i dati richiesti anche se sei già iscritto e usa un indirizzo email corretto e funzionante: ti manderemo una mail con il link per scaricare il PDF.


    Se inserisci il tuo indirizzo mail riceverai la nostra newsletter.

    image_pdfimage_print

    La diffusione del Covid-19 ha influenzato in modo repentino il modo in cui le persone lavorano, accelerando una serie di cambiamenti che erano già in essere prima della pandemia. Tra questi, il cambiamento legato al luogo da cui lavorare è stato senza dubbio uno dei più evidenti e improvvisi (Kniffin et al., 2021; Mariotti et al., 2021a). Per molti lavoratori, infatti, la scoppio della pandemia ha coinciso con la trasformazione delle proprie abitazioni in spazi di lavoro. In Italia, siamo passati da 570.000 lavoratori a distanza, prima della pandemia, a più di 6 milioni nel marzo 2020, in pieno lockdown, e a 5 milioni nel settembre 2020 (dati dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano). Questo incremento notevole ha fatto risalire il nostro paese nella classifica europea del lavoro da casa: nel 2019 solo l’8% lavorava da casa, mentre durante il lockdown la percentuale è arrivata al 40% (dati di Eurofound 2020).

    Questa dinamica è stata particolarmente evidente a Milano dove, a partire da marzo 2020, si è assistito allo svuotamento delle aree più centrali del capoluogo lombardo a causa del progressivo incremento del numero di lavoratori che hanno intrapreso il remote working da casa. Questo “esodo” è stato anche dimostrato da una sostanziale riduzione del traffico telefonico nelle zone più centrali della città (Mariotti et al., 2021b)1Nel mese di aprile 2020, tale traffico si è ridotto fino al 63% rispetto all’aprile del 2019.. Anche il Comune di Milano ha progressivamente messo i propri dipendenti (ad oggi più di 14.300 divisi in 474 sedi) in regime di lavoro da remoto2Uno degli obiettivi a tendere del Comune è ridurre l’impatto ambientale degli spostamenti effettuati quotidianamente dal domicilio alla sede di lavoro da parte dei dipendenti comunali (in media 14,58km per chi vive e lavora in città e 24km per dipendenti fuori città che spesso arrivano anche da fuori regione)., a esclusione ovviamente di alcune categorie come, ad esempio, la polizia locale, per il quale il lavoro da remoto non è possibile. 

    Se questa forte riduzione nelle presenze lavorative sta avendo impatti significativi su diversi servizi e attività commerciali della città, è possibile chiedersi anche quali conseguenze produrrà sugli spazi collaborativi del capoluogo lombardo. Gli spazi collaborativi, così definiti in virtù della forte vocazione alla collaborazione che li contraddistingue, ospitano lavoratori con provenienze eterogenee sia dal punto di vista formativo, sia per attività svolta e settore di competenza, offrendo loro uno spazio di lavoro condiviso (Capdevila, 2015; Montanari et al., 2021). Oggigiorno queste realtà rappresentano in Italia un fenomeno pervasivo: sono 1.161, di cui 255 in Lombardia, prima regione italiana per numero di spazi. Milano è la “capitale” degli spazi collaborativi in quanto ospita 167 realtà di questo tipo, che si sono moltiplicate a partire dal 2008, anno di apertura del primo spazio di coworking milanese (nato a non troppa distanza dal primo coworking fondato a San Francisco nel 2005). 

    Secondo una nostra recente analisi3L’analisi si basa su una ricerca desk effettuata su dataset esistenti (e.g., Italiancoworking) e integrati con una ricerca per parola chiave su Internet, volta a identificare gli spazi esistenti e attivi. Informazioni utili all’analisi sono state raccolte anche contattando direttamente gli spazi. Alla raccolta dei dati hanno contributo gli studenti del corso di Comportamento Organizzativo del Dipartimento di Comunicazione ed Economia dell’Università di Modena e Reggio Emilia. I ringraziamenti vanno i particolar modo a Lorenzo Ambrosi, Anna Bucciarelli, Giulio Casadei, Arianna Cerri, Elena Ingrami e Maria Ilaria Vitagliano. Si ringrazia anche Stefano Rodighiero per l’aiuto nel coordinamento degli studenti., la maggior parte degli spazi milanesi è rappresentata da coworking (119), ossia spazi fisici di lavoro condivisi da professionisti di diverso tipo (imprenditori, liberi professionisti, lavoratori dipendenti in remote working) che offrono agli utenti affiliati postazioni di lavoro e risorse condivise, quali sale riunioni, attrezzature e tecnologie.

    Oltre ai servizi base, i coworking offrono servizi aggiuntivi che concorrono allo sviluppo della socialità e di un ambiente di lavoro stimolante, quali la caffetteria o il ristorante e la presenza di zone relax (cucina o area lounge) e aree per ospitare eventi. Gli spazi di coworking milanesi offrono in media 45 postazioni di lavoro (si va da un minimo di 4 per gli spazi più piccoli a un massimo di 250 postazioni) e hanno una dimensione media di 850mq (la dimensione più diffusa per gli spazi più “piccoli” è circa 300mq, mentre risulta raro trovare spazi superiori ai 1.000mq).

    Negli ultimi anni in città si è assistito anche alla nascita di spazi di coworking specializzati, ossia dedicati a professionisti che gravitano intorno a un’industria specifica. A Milano, i settori maggiormente rappresentati nei coworking specializzati sono il digitale, il design e l’architettura, l’innovazione e tecnologia, arte, cultura e comunicazione. La tendenza alla specializzazione è in qualche modo ricercata dagli utenti, in quanto i potenziali coworker non sono più interessati solo al tipo di servizio offerto e al prezzo di una postazione, ma anche (e soprattutto) a entrare in contatto attraverso l’affiliazione a un coworking con un certo tipo di professionisti. È in questa direzione che sono nate anche esperienze di coworking dirette principalmente a un’utenza femminile (come nel caso di QF, coworking con servizio di micronido pensato per lavoratrici mamma).

    Oltre ai coworking esistono anche 22 incubatori e acceleratori, ossia spazi che supportano le start up in fase di nascita e sviluppo del progetto imprenditoriale, 11 fab lab, ossia laboratori tipicamente dedicati ai makers, che offrono strumenti e tecnologie digitali (ad esempio stampanti 3D) a supporto della fabbricazione di prototipi, 8 spazi ibridi, ossia spazi che ibridano a loro interno due o più tipi di spazio collaborativo e 7 hub culturali e creativi, ossia uffici e studi condivisi destinati ad artisti e professionisti delle industrie creative, solitamente accompagnati da spazi dedicati a mostre ed eventi culturali. Anche se gli spazi collaborativi milanesi sono prevalentemente di natura privata, un po’ meno del 30% riceve una qualche forma di supporto pubblico, come, ad esempio, l’utilizzo gratuito o a prezzo calmierato degli edifici che li ospitano. 

    La pandemia sta ponendo importanti sfide agli spazi collaborativi milanesi. Le principali difficoltà sono legate alla necessità di riorganizzare gli spazi per assicurare agli utenti il distanziamento sociale e la sicurezza. Molte realtà, principalmente per la riduzione del traffico di utenti, sono state costrette a chiudere lo spazio temporaneamente e in alcuni casi definitivamente. In realtà però sono solo otto gli spazi che risultano chiusi a febbraio 2021 a conferma della solidità di questi progetti e della domanda presente sul territorio milanese, anche ad opera dei lavoratori a distanza che in molti casi sono i nuovi utilizzatori dei coworking (Mariotti et al., 2021b; Pais et al., 2021).  

    Di fatto, la pandemia sembra portare gli spazi collaborativi milanesi a evolversi lungo tre direzioni: ampliamento delle categorie di utenti; maggiore flessibilità dell’utilizzo degli spazi; svolgimento del ruolo di coworking di prossimità. 

    Per quanto riguarda il primo aspetto, gli spazi si stanno evolvendo rivolgendosi a nuove categorie di utenti quali soprattutto i lavoratori dipendenti che lavorano da remoto e sono in cerca di uno spazio da cui lavorare diverso dall’abitazione (Pais et al., 2021). Diversi spazi di coworking hanno segnalato l’aumento di richieste di postazioni pervenute da potenziali nuovi utilizzatori che, avendo sperimentato il lavoro da casa per tutto il lockdown e non potendo (o non volendo) ancora recarsi in ufficio necessitano per uno o più giorni alla settimana di un luogo di lavoro diverso dalla propria abitazione.

    Se infatti il remote working casalingo consente di evitare spostamenti quotidiani, non sempre risulta essere la scelta più adeguata a causa della mancanza di uno spazio di lavoro specifico, della carenza di tecnologie adeguate, e della sensazione di essere sempre connessi, con la conseguente difficoltà di definire in modo chiaro i confini tra la vita lavorativa e quella personale. Gli spazi milanesi stanno quindi iniziando a rivolgersi non più solo a liberi professionisti e “digital nomads”, ma anche ai lavoratori dipendenti che decidono di svolgere la propria attività in questi spazi per ricercare soluzioni più congeniali rispetto alla propria abitazione e anche per riempire il vuoto sociale causato dalla distanza dai colleghi. 

    Anche il Comune di Milano ha intravisto delle potenzialità legate agli spazi collaborativi e sta, ad esempio, attuando una serie di politiche volte all’identificazione di spazi di lavoro alternativi per i propri dipendenti in smart working. Le soluzioni identificate vanno dalla definizione di accordi per l’utilizzo di spazi di coworking privati, alla valorizzazione di spazi comunali disponibili in città o all’utilizzo di spazi di aziende partecipate dal Comune. D’altronde, se per i lavoratori gli spazi collaborativi propongono una soluzione più funzionale e rispettosa del work-life balance rispetto sia al lavoro da casa, sia al pendolarismo quotidiano, anche per il Comune la possibilità di integrare i propri dipendenti in questi spazi può rappresentare non solo una modalità di lavoro più sostenibile, ma anche un modo per sviluppare innovazione e contaminare le competenze dei propri dipendenti.

    La seconda direttrice lungo la quale sembrano muoversi gli spazi collaborativi milanesi riguarda la maggiore flessibilità di utilizzo offerta ai propri coworker. La tendenza a Milano, riscontrata anche da uno studio sugli spazi collaborativi in tempo di Covid-19 in Emilia-Romagna (Montanari et al., 2020), è quella di un utilizzo più “temporaneo” dello spazio da parte dei coworker già affiliati, molti dei quali hanno dichiarato ai gestori di avere meno volume di lavoro o di dover continuare a lavorare da casa per poter meglio gestire le esigenze familiari, come la presenza di figli in età scolare. 

    Il terzo cambiamento che la pandemia sembra in qualche modo agevolare riguarda il ruolo che gli spazi collaborativi possono svolgere nelle aree semi-periferiche di Milano, dove vi è attualmente una minore presenza di tali spazi. È ragionevole ipotizzare, infatti, che nel prossimo futuro possa aumentare la necessità di coworking di prossimità, ossia di spazi integrati nel territorio urbano che possono essere raggiunti al massimo in 15 minuti di bicicletta dai lavoratori e che, almeno potenzialmente, rappresentano un’occasione di sviluppo e rigenerazione urbana delle zone più periferiche di Milano (Mariotti et al., 2021b).  

    Alla luce delle evoluzioni in atto, che vedono crescere a Milano la domanda di spazi collaborativi da parte non più solo di liberi professionisti ma anche di lavoratori dipendenti che, utilizzando tecnologie digitali, possono svolgere il loro lavoro anytime and anywhere, si rende utile pensare a quali policy pubbliche possano supportare la domanda di spazi collaborativi, in particolar di coworking di prossimità. Un potenziale strumento può essere rappresentato sia da un sostegno diretto ai lavoratori, ad esempio mediante voucher o tramite accesso gratuito a spazi di coworking in luoghi pubblici, o da un sostegno indiretto, tramite l’istituzione di agevolazioni per i datori di lavoro che incoraggiano e supportano i propri dipendenti nella scelta di lavorare presso uno spazio collaborativo.

    Riferimenti bibliografici

    Capdevila, I. (2015). Co-working spaces and the localised dynamics of innovation in Barcelona. International Journal of Innovation Management, 19(3): 1-25.

    Kniffin, K. M., Narayanan, J., Anseel, F., Antonakis, J., Ashford, S. P., Bakker, A. B., … & Vugt, M. V. (2021). COVID-19 and the workplace: Implications, issues, and insights for future research and action. American Psychologist, 76(1), 63.

    Mariotti, I., Di Vita, S., Akhavan, M., (Eds.). (2021a), Shared Workplaces in the Knowledge Economy. Springer International Publishing. 

    Mariotti, I., Manfredini, F., Giavarini, V. (2021b). La geografia degli spazi di coworking a Milano. Una analisi territoriale. Milano Collabora. Comune di Milano, in corso di pubblicazione.

     Montanari F, Scapolan A., Leone L. (2020). Gli spazi collaborativi. Quale futuro dopo l’emergenza Covid-19? Personale e Lavoro, vol. 628, p. 20-26

    Pais I., Manzo, C., Gerosa, A. (2021), I coworking di Milano nell’emergenza pandemica. Milano Collabora. Comune di Milano, in corso di pubblicazione.( https://www.comune.milano.it/-/lavoro.-milano-sperimenta-nuovi-spazi-e-modi-di-lavorare-per-una-citta-a-15-minuti)

    Note