“La torta che fai con gli amici è la migliore”, recita uno degli striscioni che da qualche tempo campeggiano nel quartiere Adriano, estrema periferia nord-est di Milano che da Crescenzago si estende verso Sesto San Giovanni. Ed è un messaggio che, appeso al primo piano di un condominio, assume più di un significato e racconta anche gli obiettivi e le difficoltà del progetto Civic Media Art, curato e prodotto da cheFare in collaborazione con Lacittàintorno della Fondazione Cariplo.
Come si può portare l’arte in un quartiere? Qual è il senso dell’arte civica? Come far sì che questo lavoro faccia emergere nuove relazioni e (inevitabilmente) nuove tensioni tra gli abitanti? Domande che, in quel singolo striscione, ottengono quasi tutte le risposte e danno un senso alla sfida affrontata dall’artista olandese Kevin Van Braak, che si è assunto il compito, quasi impossibile, di calarsi nel quartiere Adriano senza sembrare un alieno precipitato dal Monte Olimpo per “portare la cultura” agli abitanti di una zona sconosciuta di Milano.
Per questo, fin dall’inizio, è stata scartata l’idea di creare una scultura o un monumento – un lavoro che rischiava di escludere gli abitanti e che forse sarebbe rimasto sperduto tra i palazzoni che punteggiano tutta la zona – e si è deciso di seguire un percorso completamente diverso. Prima, era necessario prendere contatto con gli abitanti; organizzare feste ed eventi che coinvolgessero tutti e a cui partecipassero realtà locali come l’orchestra di Crescenzago, ma anche artisti e performer legati a cheFare. Prima di tutto, insomma, bisognava farsi conoscere; uscire dalla dimensione aliena di lavoratori della cultura e mettere entrambi in piedi nella realtà in cui si vuole operare.
E così – mentre una parte del gruppo di cheFare trascorre, per sei mesi, gran parte del tempo nel quartiere e Kevin van Braak si trasferisce in Adriano per tre settimane – inizia a prendere forma l’idea di creare degli striscioni da appendere sui punti di aggregazione del quartiere (lo stadio del Real Crescenzago, la Casa della Carità, il centro giovani e il centro anziani), ma anche sui cancelli, alle finestre degli appartamenti, in cima a palazzi da decine di piani.
Striscioni che raccontino le storie e gli umori del quartiere; senza la volontà di dare un messaggio politico o di altro tipo, ma creando una sorta di diario a cielo aperto ricco di spunti poetici o prosaici, serissimi o ironici, positivi, polemici o negativi; spesso tra loro contrastanti ma in grado di dare voce agli abitanti di Adriano e creare, così, un’arte che sia relazionale nel vero senso della parola.
Facile a dirsi. Con chi parlare nel quartiere? A chi chiedere i permessi? Come montare gli striscioni? Ma soprattutto: chi vorrà gridare dalla finestra di casa propria un messaggio magari pensato da altri? Non è semplice dare il senso dell’impresa titanica che c’è dietro un lavoro di questo tipo. Ma siccome “con un mazzo di brugole ti smonto anche il Titanic” – come recita la frase del rapper Ensi, abitante del quartiere, che compare sullo striscione appeso allo stadio di zona – basta armarsi degli strumenti necessari e mettere in moto quei meccanismi che, col tempo, porteranno 45 striscioni della lunghezza anche di sette metri a fare la loro comparsa in tutto il quartiere Adriano.
Grazie al lavoro svolto nel quartiere, alle strette di mano, alle relazioni attivate dagli abitanti più entusiasti e anche al ruolo dei social network (dalle pagine Facebook di zona fino a quella della Pasticceria Rossella, che – siccome in questa storia i dolci rivestono un ruolo importante – ha creato una torta apposita per diffondere il messaggio), l’opera collettiva inizia a prendere forma; mentre lo scrittore Ivan Carrozzi parla con un centinaio di abitanti per ascoltare i loro spunti, pensieri, sogni e preoccupazioni ed estrarre da tutto ciò le frasi che, alla fine, faranno la loro comparsa sugli striscioni di Kevin.
“Sto da Dio”, “Qui non succede mai niente”, “Prendi tempo prima di rispondere”, “Il senso civico colma i vuoti”, “Il quartiere dev’essere più unito. Punto”, “Vorrei sentire la tromba di Miles Davis alla fermata dell’autobus” o “Olaf di Frozen sindaco”. E, di nuovo, “La torta che fai con gli amici è la migliore”: messaggio recapitato dai vicini favorevoli ad appendere lo striscione a quelli che si erano opposti, per spiegare il senso del lavoro e mostrare che, in fondo, non succede niente di male a dare voce al quartiere dalle proprie finestre.
Mentre su Milano arriva il gelo del Burian di fine febbraio, inizia l’allestimento vero e proprio: gruppi di tre persone lavorano dieci ore al giorno, per tre giorni consecutivi, chiedendo i permessi ad amministratori non troppo convinti, bussando alle porte delle case ed entrando nell’intimità degli abitanti, osservando impotenti il vento che rovina il lavoro appena fatto e inquilini contrari agli striscioni che li fanno togliere a pochi giorni di distanza. Collaborazione, fiducia e tensione, appunto; tre elementi che danno appieno il senso di un’opera artistica civica e relazionale, che coinvolge un intero quartiere e che, come racconta il responsabile della sezione di zona di Legambiente, ha “creato partecipazione in un quartiere in cui spesso la partecipazione non si vede”.
“Guardo i palazzi con occhi diversi”, raccontano altri durante la riunione conclusiva che si tiene all’Associazione Culturale Villa Pallavicini. Ed è vero; anche per chi, come me, si è limitato a gironzolare una sola volta per tutto il quartiere in cerca degli striscioni è inevitabile fare caso ai palazzi su cui sono appesi e al contesto in cui sono immersi. Spuntano davanti agli occhi appena girato un angolo o vanno cercati in cima a torri altissime; obbligando a spaziare con lo sguardo attraverso l’ampio campo visivo offerto da un quartiere che sarà (e il tempo futuro è voluto) anche molto verde; ma è in parte punteggiato da edifici nuovi di zecca completamente isolati, strutture abbandonate, palazzi in costruzione e un po’ tutti quegli aspetti che spesso caratterizzano i quartieri periferici di nuova concezione.
Ed è anche l’estetica estremamente basilare degli striscioni di Kevin a enfatizzare questo aspetto. Una scelta forse involontaria ma che ha avuto un forte impatto, considerando come alcuni abitanti abbiano osservato che, anche per colpa o merito degli striscioni, sembra di “osservare un rendering del quartiere al computer”.
Un quartiere vastissimo, dove anche 50 striscioni di grandi dimensioni rischiano di smarrirsi (creando però l’effetto “caccia al tesoro”), sparsi come sono in un’area di 15mila abitanti, costituita da due zone ben distinte (il quartiere “vecchio”, anni ‘80, e quello nuovo sorto nei primi anni Duemila), senza veri punti di aggregazione nonostante se ne senta un gran bisogno e letteralmente tagliato in due da un elettrodotto che gli conferisce un’atmosfera vagamente post-atomica. Atmosfera rafforzata da due elementi iconici: un’altissima torre dell’acqua a forma di fungo e il matitone, un rifugio antiaereo risalente alla Seconda Guerra Mondiale che deve la sua forma particolare alla speranza, evidentemente ben riposta, che la punta fosse in grado di deviare le bombe che piovevano su Milano.
Gli striscioni creano una sorta di filo bianco che unisce il quartiere; nonostante qualche messaggio abbia suscitato più di una perplessità (Vorrei un’Europa unita come il mondo arabo), altri siano stati presi con ironia (“Si è messo lo striscione ‘Sto da Dio’ ma mi ha detto che per lui è un periodo del cavolo”) e non sempre il messaggio sia stato colto e accettato.
Ma la missione è riuscita: si sono costruiti rapporti, si è creata coesione e si è costituito un gruppo partecipativo. Che adesso accetta con fatica l’idea di dover smontare tutto (attorno al 20 di marzo), non vede l’ora di passare alla fase successiva (il 14 di aprile inizieranno i lavori per la seconda opera di van Braak, contemporaneamente a un’altra grande festa di quartiere) e guarda già avanti, alle prossime cose che si possono fare.
C’è chi vuole “implementare l’anno prossimo ciò che è stato fatto quest’anno”; chi vuole coinvolgere altri artisti, chi propone di dipingere il Matitone (“anzi no, il deposito ATM”); chi immagina nuove soluzioni per nuovi striscioni e chi, più semplicemente, si vanta degli amici che si lamentano perché “in questo periodo succede tutto in Adriano”. Per chi ha lavorato al progetto per 14 mesi è difficile pensare che tutto possa finire qui. E infatti, a giudicare dalla propositività quasi incontenibile che si respira durante la riunione conclusiva, questa non sarà la conclusione del percorso. D’altra parte, era questo l’obiettivo: stimolare iniziative, collaborazione, volontà di partecipare e anche orgoglio di quartiere. E adesso il processo è partito.