San Donato è il quartiere di Bologna dove ho scelto di vivere e, del tutto fortuitamente, uno dei territori con la più alta concentrazione di circoli Arci. Superato il ponte San Donato, si incontra il mercato ortofrutticolo rionale che ormai tutti conoscono come Mercato Sonato.
Fino a qualche mese fa gli anziani andavano ad ascoltare le prove d’orchestra, i più piccoli frequentavano la scuola di musica, i giovani si assembravano la sera per assistere a un concerto. Per oltre 500 giovani musicisti, l’orchestra SenzaSpine rappresenta un’occasione per realizzarsi, una fonte di reddito, e proprio per tutelare e migliorare il loro lavoro, l’associazione sta mettendo a punto a una piattaforma di consulenza, servizi, progettazione, produzione e distribuzione artistica unica nel suo genere.
Nella vecchia portineria delle case popolari di via Gandusio, si trova il Guernelli (partigiano, nome di battaglia Giulio) con la sua palestra popolare e il doposcuola gratuito per bambini adolescenti. Accanto alle torri della Regione disegnate da Kenzo, si trova il Trigari, nato nel ’45 e dedicato a un altro partigiano, con un’immensa bocciofila costruita dai suoi soci e ormai quasi del tutto abbandonata.
Superando il cavalcavia che segna l’inizio di San Donnino, c’è lo storico Casalone, dove si gioca a carte, a biliardo e le sfogline organizzano corsi per imparare a fare la pasta fresca.
Si narra che durante il primo lockdown alcuni soci siano stati multati: chiacchieravano in cerchio, muniti di mascherine, davanti al circolo chiuso perché non conoscono un altro luogo dove darsi appuntamento. Superando ancora una volta un ponte, quello della tangenziale, si trova il Pilastro, una periferia con le sue fatiche ma in grande fermento, culturale e sociale.
Tra i palazzi popolari, che una volta abitavano i meridionali, oggi tante famiglie di origine straniera, resiste il Circolo La Fattoria. Punto di riferimento per gli abitanti della zona, centro di attrazione per bambini e famiglie per via della sua fattoria urbana; tra i promotori della Cooperativa sociale la Formica da cui nasce la pizzeria Porta Pazienza, che dà lavoro a ragazze e ragazzi svantaggiati e utilizza materie prime prodotte nei terreni confiscati alle mafie.
In appena due chilometri si concentra la storia e il futuro di un’associazione che affonda le radici nelle case del popolo e che sperimenta (forse alle volte poco convintamente, quasi timidamente) forme diverse di organizzazione, nuovi linguaggi, pratiche sociali e culturali inedite.
Una comunità di persone che si è trasformata nel tempo, fatta di volontari e volontarie ma anche da tante persone giovani e meno giovani che interpretano l’associazionismo anche come un’opportunità lavorativa, la possibilità di mettere in pratica le proprie aspirazioni, e come occasione di partecipazione politica, laddove i partiti hanno smesso di svolgere ormai da tempo il loro il ruolo di rappresentanza.
La pandemia ci ha chiuso improvvisamente e ci ha restituito la consapevolezza di quanto sia fragile e allo stesso tempo fondamentale ciò che custodiamo, un patrimonio di spazi, persone, competenze che producono lavoro e ricchezza, e che svolgono un ruolo centrale nella cura del tessuto sociale delle nostre città. Spazi di prossimità e luoghi di produzione culturale, centri di educazione popolare e comunità capaci di attivarsi e sperimentare nuove forme di mutualismo e di economia. Alcuni di questi luoghi, di queste comunità non riusciranno a sopravvivere alle conseguenze dell’emergenza sanitaria, altri resisteranno ma dovranno fare i conti con una difficile e ancora ignota fase di ricostruzione.
Non abbiamo certezze su come il Coronavirus ci cambierà, come trasformerà il nostro rapporto con gli altri e il modo di attraversare e vivere gli spazi; possiamo tuttavia porci delle domande, costruire possibili strade da percorrere, visioni inedite e farlo attraverso la cultura.
Nasce così l’edizione straordinaria di Strati della Cultura, con l’intento confrontarci con istituzioni, operatori culturali, ricercatori e fruitori per individuare nuovi strumenti e risorse, innanzitutto economiche, che ci permettano di “curare” i nostri spazi e tutelare il lavoro di chi li anima quotidianamente, di riorganizzarci e ripensarci per rispondere collettivamente alle sfide del futuro.
Ci confronteremo con territori più poveri, attraversati da disuguaglianze e solitudini sempre più visibili, e sarà determinante riavvicinare le persone – a partire da adolescenti e anziani, tra i più colpiti dalla pandemia – alla cultura. Occorrerà ripensare la produzione e la fruizione culturale anche alla luce dei rischi e delle potenzialità che ci ha permesso di sperimentare il digitale e sarà altrettanto importante costruire nuove alleanze con gli attori pubblici, per rispondere ai bisogni e ai desideri dei cittadini, con un approccio sempre più inclusivo e orizzontale. Prendiamoci questo tempo sospeso per parlarci, per studiare e farci trovare pronti quando torneremo ad abitare collettivamente le strade, le piazze, gli spazi culturali delle nostre città.