Le cinque sfide del fintech nell’Italia “debancarizzata”

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    Presenza sul territorio, creazione di una comunità locale di clienti e partecipazione di questi ultimi, personalizzazione dei servizi e denaro digitale: cinque aspetti critici per le fintech che aspirano a prendere il posto delle banche, nei territori in cui queste ultime stanno progressivamente riducendo la loro presenza.

    Per  chi, come il sottoscritto, lavora nel mondo fintech, la chiusura di filiali bancarie e ATM nei comuni di provincia dovrebbe essere vista come il segno dell’ormai imminente “rivoluzione”. Via libera, finalmente, alla diffusione di servizi di risparmio e pagamento digitale, di “roboadvisor”, di piattaforme di prestito p2p tra privati, con un’assistenza interamente a distanza – tramite chatbot, mail, o al più videoconsulti in diretta streaming – e un significativo risparmio in termini di costi legati al personale, alle sedi, al mantenimento di una presenza fissa sul territorio. Eppure, questa promessa sostituzione delle banche con le fintech non sembra essere sul punto di avverarsi, almeno non nel breve periodo: come mai?

    Il centro della periferia

    Per secoli le banche hanno occupato un posto centrale nella geografia dei centri urbani: anche la vita quotidiana del più piccolo comune di montagna si è svolta attorno a una piazza centrale in cui “la banca” occupava un posto di primaria importanza. In questo contesto, la sede o la filiale di una banca era espressione del potere finanziario locale allo stesso modo in cui il municipio è espressione del potere politico della comunità. Il “vuoto” lasciato dalla chiusura dell’ultima filiale bancaria non è solo una questione urbanistica: le startup fintech che ambiscono a ereditare il ruolo (e la clientela) delle banche tradizionali devono occupare uno spazio fisico e digitale che non può essere compensato solo da un sito web o una pagina Facebook.

    La comunità e la community

    La banca è un esempio di istituzione privata che, nella sua accezione originaria fornisce un servizio pubblico essenziale: la raccolta, la custodia e la redistribuzione della ricchezza prodotta dalla comunità. Per quanto il legame tra le banche e le comunità sia andato sempre più affievolendosi, nondimeno questo non è mai venuto meno del tutto: le banche sono ancora oggi molto attente nel comunicare il loro sostegno all’economia reale di una provincia, una regione, una nazione, in misura proporzionale alla loro scala dimensionale. L’identificazione con un territorio e i bisogni finanziari della sua gente, che ha fatto la fortuna di molte banche locali diventate poi campioni nazionali, viene spesso ignorata dalle fintech che privilegiano l’acquisizione di clienti “giovani”, ovunque essi si trovino, privandosi così della possibilità di acquisire una “community” di clienti ben più omogenea in virtù della comune appartenenza territoriale.

    L’invecchiamento della popolazione

    Allo stesso modo, è evidente come l’insistenza su un pubblico di clienti giovani, digitalizzati e istruiti da parte delle fintech sia del tutto privo di un legame con l’evoluzione sociodemografica del Paese degli ultimi anni. A fronte di una emigrazione giovanile che in certi territori sembra ormai aver raggiunto il suo culmine, i potenziali “clienti” delle fintech al di fuori dei grandi centri urbani sono per lo più adulti, o anziani, caratterizzati da una scarsa dimestichezza con gli strumenti digitali. Malgrado tutte le fintech si propongano come strumenti “personalizzabili” a piacere dall’utente, non esistono oggi aziende che offrano servizi pensati per diverse fasce di età, di reddito, di bisogni e di alfabetizzazione digitale e soprattutto finanziaria: l’omologazione dei servizi come della comunicazione pubblicitaria di questi ultimi è a tratti desolante, e non fa rimpiangere le attese in filiale per parlare con un consulente dotato di maggior empatia e varietà di linguaggio di un chatbot su Facebook Messenger.

    La partecipazione non è un gioco

    Non sfugge a chi scrive, infine, l’insistenza troppo spesso accentuata con cui le startup fintech si propongono ai propri clienti come strumenti facili da usare e da comprendere, a tratti giocosi: esito di una “gamificazione” dei servizi digitali che ha raggiunto il suo culmine nei social media, ma che non è altrettanto semplice riproporre in ambiti così critici come quello della gestione del denaro. Nessuna, tra le fintech che operano in contesti locali, sembra riconoscere ai propri utilizzatori la possibilità di diventare qualcosa di più di un utente desideroso di intrattenimento: nessuna, in poche parole, prevede fin da subito la possibilità di coinvolgere sempre più i clienti nelle decisioni riguardanti il futuro della società, trasformando le migliaia di “user” in soci di fatto e di diritto dell’impresa finanziari. Confondendo intrattenimento con coinvolgimento, molte startup corrono il rischio di arrestarsi in una condizione di perenne immaturità: tanti utenti disposti a depositare o investire piccole somme di denaro, nella prospettiva di uno svago o di un esperimento momentaneo ma che non aspira a diventare qualcosa di più in assenza di qualsiasi “livello superiore” da raggiungere.

    Le forme del denaro

    Il mondo, e l’Italia con esso, si muovono spediti verso la riduzione degli scambi basati sull’utilizzo di denaro contante. Una tendenza, in atto da diverso tempo, e che il lockdown non ha fatto altro che consolidare anche al di fuori delle grandi città. Eppure, mai come oggi appare chiaro che le fintech non possono più basare il proprio successo su una sola “forma” di denaro, quella elettronica: il contante non sta scomparendo, non esistono Stati o città al mondo che possano farne del tutto a meno, perché i vantaggi in termini di anonimato e accessibilità ne fanno ancora un mezzo di pagamento da preferirsi in determinate situazioni (legali) in luogo di altre.

    Non è un caso, come abbiamo visto nella prima parte di questo approfondimento, che le proteste delle persone esplodano quando dopo l’ultima filiale viene chiuso anche l’ultimo ATM in città: il futuro è nella moltiplicazione delle forme del denaro (dalle criptovalute alle monete complementari, dal denaro di plastica a quello elettronico, dai pagamenti con lo smartwatch a quelli in monete) piuttosto che nella sua “reductio ad unum”. L’insistere delle fintech sulla “evangelizzazione” delle masse al denaro elettronico, senza se e senza ma, non trova alcuna conferma nei dati provenienti dallo scenario internazionale e tantomeno italiano.

    Note