Airbnb: verso un community-washing?

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    Dal suo lancio nel 2008 a San Francisco, Airbnb è stata oggetto di grande entusiasmo tra viaggiatori, proprietari di case e sostenitori del carattere disruptive (dirompente e di rottura) delle novità imprenditoriali peer-to-peer rese possibili dall’ambiente digitale. Ma con lo sviluppo esponenziale e su scala globale – 3 milioni di alloggi resi disponibili in 190 paesi secondo un report del marzo 2017 – , oltre ad essere emerse le ambiguità legali del servizio, sono comparse anche le prime analisi critiche degli impatti socio-economici e spaziali generati dalla più nota piattaforma per l’affitto disintermediato di alloggi privati a breve termine.

    Se da un lato Airbnb si prodiga a pubblicare report che dimostrano i benefici sul “benessere economico locale”, dall’altro guadagnano spazio strumenti (ad esempio il sito Insideairbnb che offre controvisualizzazioni del fenomeno) e analisi (in Italia ha avuto una certa eco quella del Laboratorio Dati Economici Storici Territoriali dell’Università di Siena) volti a mettere in discussione l’orizzonte edulcorato proposto dall’azienda e mostrarne alcuni effetti perversi: dalla concentrazione della ricchezza prodotta nelle mani di soli pochi utenti che possiedono e gestiscono (o fanno gestire) professionalmente più proprietà immobiliari, al ruolo di acceleratore dei fenomeni di iperconcentrazione turistica in alcune aree urbane con la conseguente perdita di alloggi residenziali di lungo termine proprio dove ce ne sarebbe più bisogno.

    Cosa propone allora Airbnb come contromossa? Un bando che mette a disposizione fino a 5 milioni di euro di investimenti “in progetti per la promozione di un turismo locale in tutta Europa fino al 2020”. Si chiama Community Tourism Programme e il primo round si è chiuso il 4 agosto 2017. Il bando finanzia progetti orientati da tre categorie:

    Placemaking: ridisegno e riprogettazione degli spazi pubblici per la creazione di comunità sia per le persone del luogo che per chi lo visita;

    Innovazione: riprogettazione del turismo e degli spazi turistici, incoraggiando iniziative imprenditoriali e rafforzando le economie locali;

    Festival ed eventi: salvaguardia o celebrazione di festival locali ed eventi rendendoli accessibili a un pubblico interessato più ampio. (per maggiori dettagli: https://italy.airbnbcitizen.com/it/community-tourism-programme-faq/)

    In attesa di vedere quali saranno i progetti premiati, proviamo a scandagliare il bando a partire dal tipo di turismo che vorrebbe stimolare. Per questa operazione parto da un presupposto: guardare al turismo, e alle dinamiche che esso stimola sui territori, in bianco o in nero – condannandolo o osannandolo a priori – non porta da nessuna parte.

    Qui propongo di considerare il turismo sia come processo (economico, sociale, culturale, spaziale) sia come pratica discorsiva.

    Come processo il turismo è sempre più difficile da circoscrivere perché investe identità collettive e individuali, forme di mobilità varie e territori dalle caratteristiche molto diverse. Pertanto è sempre meno circoscrivibile. Inoltre il turismo non solo è nella pratica di (quasi) tutti, ma di tutti è anche sulla bocca e nei pensieri: allora delimita un insieme di narrative e rappresentazioni attraverso le quali il suo stesso significato viene modulato, negoziato, contestato.

    Partiamo dunque dal titolo del bando che richiama il turismo di comunità (community tourism), termine con il quale, in senso tecnico, si indicano una serie di forme di sviluppo turistico che attribuiscono un ruolo centrale alla cosiddetta comunità locale nella programmazione e gestione del turismo, consentendole di prendere parte alle decisioni sul turismo e incentivando ricadute economiche eque.

    Questa è una riflessione ormai trentennale, che si basa anche sul fatto che la comunità locale è fondamentale per il turismo stesso: è ciò che quando viaggiamo ricerchiamo in quanto elemento in grado di autenticare l’esperienza del luogo che stiamo visitando. Ma la buona salute della comunità locale – nelle migliori intenzioni intesa come collante multidimensionale del territorio – rimanda anche alla qualità ambientale e del patrimonio culturale, nonché delle sue strutture sociali.

    Ora: sappiamo bene che lo stesso termine di comunità goda attualmente di una certa discriminazione positiva, dovuta forse alla nostalgia di qualcosa che sembra esserci sempre meno e alla paura provocata data da una società dei flussi radicale.

    Airbnb mobilita attraverso questo bando un discorso coerente con una sorta di community-washing di contrasto alle più recenti critiche che gli sono state mosse, ovvero di favorire i processi di gentrificazione minando il diritto alla casa degli strati sociali più deboli attraverso forme di rendita immobiliare non regolamentata e di sostenere nuovi tipi di mercificazione dell’esperienza turistica basata sul potersi sentire, almeno per un giorno, un filo nella trama di un tessuto sociale denso e localizzato.

    Non è un caso che il bando voglia sostenere “progetti innovativi dal basso”, volti a incentivare forme di “turismo people-to-people”, “turismo collaborativo”, e – ovviamente – “turismo sostenibile”. Da qualche tempo, peraltro, la piattaforma cerca di andare in questa direzione: ad esempio, nel 2017, ha supportato un evento all’interno del Festival It.a.cà Migranti e Viaggiatori a Bologna organizzato da alcuni partner locali che si occupano di home sharing e innovazione sociale. L’associazionismo gioca infatti un ruolo importante come mediatore tra comunità locale e progetti che mirano a uno sviluppo di tipo sostenibile grazie all’intervento quotidiano in grado di raccogliere e proporre istanze radicate nel territorio.

    In attesa dunque di vedere quali progetti saranno finanziati e capire dove porterà questo riposizionamento del turismo nella sua relazione con la comunità locale, il patrimonio culturale e la sua componente ambientale (in breve, il territorio) – una direzione sbandierata non solo da questo bando – proviamo a porre qualche interrogativo:

    Chi è incluso nella comunità locale che i progetti finanziati identificheranno? Mi riferisco a un chi definito dal punto di vista socio-economico, di genere, generazionale, etnico e del capitale culturale espresso secondo rilevazioni di grana più fine e affidabile di quanto avviene nei report ufficiali di Airbnb. E dove si localizza questa comunità locale? Quanto poroso sarà il suo confine?

    Alcune delle iniziative più significative e vivaci oggi attive in Italia nella promozione del turismo di comunità hanno difficoltà ad assestare la propria sostenibilità economica: quanto saranno in grado di partecipare ad un bando che prevede la dimostrazione di possedere “la presenza di finanziamenti esistenti per soddisfare o superare la richieste indicate nella relativa domanda”?

    Uno dei problemi di capacity building di questi progetti sta nell’implementazione di una rete di attori di piccole dimensioni, resa possibile dal certosino lavoro di lungo termine dei mediatori territoriali. Un finanziamento a pioggia come quello del bando è davvero in grado di favorire ricadute positive su questo aspetto? Naturalmente non si può (non si può?) chiedere un intervento strutturale proprio a un’azienda basata su quello che è stato chiamato “comunitarismo neoliberista”, ma il bando sembra denotare una tendenza più comune.

    Anni fa studiavo cose diverse, mi occupavo di centri commerciali, e ricordo che in un’intervista in cui chiedevo a un manager come mai avesse investito in alcune opere di valorizzazione turistica del patrimonio locale nelle adiacenze dello shopping mall, mi fu risposto che, in quanto rappresentante di una multinazionale proveniente da lontano, voleva restituire qualcosa al territorio che li ospitava.

    Una sorta di contro-dono certamente non disinteressato: nel caso di quel centro commerciale la promozione del patrimonio locale serviva anche a dare un’identità distintiva a un colosso costruito con parametri uguali a quelli dei suoi competitor, in quello del Community Tourism Programme di Airbnb l’incentivo a forme di attivismo culturale e territoriale è volto anche a valorizzare il contesto di cui il patrimonio immobiliare privato ha bisogno per essere più appetibile.

    Inoltre il bando incoraggia idee che sfruttino la piattaforma – il cui uso genera profitto per chi la detiene – e il premio messo in palio può essere erogato anche come “coupon di Airbnb”.

    Eppure, anche negli interstizi dei dispositivi utili a sostenere progetti egemonici di sviluppo e produzione di immaginari dominanti, si può aprire lo spazio per la sperimentazione di pratiche alternative che dall’interno minano e sovvertono un percorso che già sembrava tracciato. E sono queste che aspettiamo con impazienza.

    Note