La candidatura di Roma per l’Expo 2030 e il ruolo della cultura di prossimità

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    Il 21 luglio si sono svolti a Roma gli Stati Generali, il primo importante appuntamento dedicato a illustrare il progetto con il quale la Capitale si candida a organizzare e ospitare l’Esposizione Universale 2030.

    L’iniziativa ha previsto un tavolo centrale e cinque tavoli tematici contemporanei distribuiti sul territorio con l’obiettivo di creare un momento di proposta ma anche di ascolto  per far emergere i punti di forza e le criticità in vista della definizione del dossier di candidatura che il Comitato promotore sta elaborando e consegnerà il 7 settembre. 

    Il progetto di Roma per l’Expo 2030 ha, infatti, l’ambizione di porsi come un vero e proprio progetto sociale per esplorare un nuovo modello di città che possa offrire ad ogni suo abitante le stesse opportunità. Persone e territori: rigenerazione urbana, inclusione e innovazione il titolo della proposta, una porta aperta sul mondo l’immagine che la rappresenta, simbolo di accoglienza, scambio e integrazione di culture diverse.

    Logo Roma Expo 2030

     

    Al Tavolo Istituzionale in Campidoglio – al quale ha partecipato il Sindaco di Roma, Roberto Gualtieri con il Presidente del Comitato Promotore Giampiero Massolo e alcuni esponenti del Governo – si sono affiancati cinque tavoli tematici “Sviluppo, Università e Innovazione”, “Architettura e Urbanistica”, “Media”, “Terzo settore” e “Cultura, Turismo, Grandi Eventi, Sport e Moda”. 

    Quest’ultimo, presieduto dall’Assessore alla Cultura Miguel Gotor e dall’Assessore ai Grandi Eventi e allo Sport Alessandro Onorato e moderato dalla scrittrice Maria Pia Ammirati, ha posto al centro della riflessione i grandi attrattori di Roma – il Parco Archeologico del Colosseo, il MAXXI – Museo nazionale delle Arti del. XXI secolo, Cinecittà per fare alcuni esempi –  ma anche le espressioni artistiche indipendenti i festival letterari diffusi e le biblioteche/centri culturali. Qualcosa di inconsueto e profondamente significativo rispetto al concept del progetto.

    È di questo messaggio potente che voglio parlare. 

    Il patrimonio custodito e valorizzato dalle biblioteche a Roma parla di Roma tanto quanto ne parlano i suoi monumenti, i suoi musei, le sue chiese, i suoi teatri. Subito pensiamo alle biblioteche straordinarie punto di riferimento ancora oggi per studiosi di tutto il mondo: la biblioteca Angelica – una delle prime biblioteche europee aperte al pubblico – la biblioteca Casantense, la  Biblioteca dell’Accademia Nazionale dei Lincei e Corsiniana solo per citarne alcune. 

    Pur riconoscendone il prestigio straordinario al centro dell’attenzione sono state le biblioteche pubbliche/centri culturali dislocate sul territorio cittadino, ovvero 40 biblioteche di quartiere a cui si aggiungono 16 punti di servizio nelle carceri e 48 nelle scuole, nodi fondamentali di una infrastruttura per una formazione inclusiva e di qualità, una partecipazione culturale attiva, per lo sviluppo di competenze e di creatività, per il dialogo interculturale. In sintesi per l’idea di educazione inclusiva, di qualità e su scala globale che il progetto per l’Expo2030 di Roma esprime.

    Lo stesso concetto fortemente espresso dal nuovo Public Library Manifesto presentato il 27 luglio al Congresso IFLA di Dublino:

    The public library, the local gateway to knowledge, provides a basic condition for lifelong learning, independent decision- making and cultural development of the individual and social groups. It underpins healthy knowledge societies through providing access to and enabling the creation and sharing of knowledge of all sorts, including scientific and local knowledge without commercial, technological or legal barriers.1L’ultimo Manifesto risaliva al 1995. Ora è stato pubblicato un aggiornamento. Qui sono segnalate le novità: https://www.ifla.org/news/ifla-and-unesco-launch-an-updated-public-library-manifesto-at-the-87th-world-library-and-information-congress-wlic/

    Biblioteca Laurentina (Foto: Biblioteche di Roma)

     

    Sono biblioteche di quartiere dislocate nei 15 municipi della Capitale con oltre 30.000 metri quadrati di spazio pubblico spesso collocate in parchi e con ampi giardini che rappresentano a Roma una realtà culturale attiva e riconosciuta dai cittadini e che realizzano concretamente quell’idea di prossimità al centro del progetto. Queste biblioteche centri culturali sono “una casa delle opportunità” come dicono i cittadini che le frequentano, “un punto di riferimento per la crescita personale e culturale”.

    Sala studio Biblioteca Giovenale (Foto: Biblioteche di Roma)

     

    Oggi nel promuovere la convivenza urbana e nel voler esprimere un nuovo modello di città –  inclusivo, interconnesso, sostenibile – Roma individua nelle biblioteche/centri culturali uno strumento, un nodo fondamentale della cultura come fattore abilitante, per la realizzazione di un vero “welfare culturale”, inteso come modello integrato di promozione del benessere e della salute e degli individui e delle comunità, attraverso pratiche fondate sulle arti visive, performative e sul patrimonio culturale. A questo proposito è utile ricordare che la partecipazione culturale non ha a che vedere soltanto con l’intrattenimento, con lo svago, il tempo libero o con lo studio e la ricerca, ma che essa determina più in generale il modo con cui organizziamo la nostra comprensione dei fatti e dunque agiamo. In questo scenario trovano spazio le biblioteche come strumenti di studio, ricerca, laboratori di lettura ma anche di contrasto a ogni forma di analfabetismo, funzionale, di ritorno ed emotivo. Grandissimo problema della nostra contemporaneità.

    Importante ricordare anche che in questo scenario grazie ai fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza  prenderanno forma a Roma entro il 2026 altri 9 nuovi poli civici culturali di innovazione a servizio delle comunità a integrazione della rete bibliotecaria esistente. 

    Le sedi individuate toccano tutti i quadranti della città e recuperano alcuni luoghi abbandonati o chiusi da anni, a partire dalla consapevolezza che le biblioteche, specialmente nelle aree caratterizzate da vulnerabilità sociale e materiale, possono essere una “istituzione àncora”, contribuendo alla riduzione delle disuguaglianze sociali e alla valorizzazione del capitale umano metropolitano.

    Le biblioteche/ centri culturali/poli civici di innovazione a Roma sono già oggi e saranno sempre più in futuro una rete di spazi, servizi, attività, relazioni, un nodo del sistema culturale a servizio del sistema della città. Esse si configurano oltre che come laboratori di lettura anche come laboratori di cittadinanza permanente – vicine ai processi della vita reale molto più di quanto possiamo immaginare – e laboratori di innovazione culturale, attraverso spazi di apprendimento collaborativo e di intelligenza collettiva, attraverso programmi di media e information literacy esse concretizzano una visione di cultura in cui fruizione, partecipazione e produzione sono sempre potenzialmente insieme. 

    La pandemia ha portato a superare la vecchia idea di città, a favorire la realizzazione di spazi più prossimi e vicini di creatività e socialità. Questa idea di cultura partecipata, prossima, accessibile, inclusiva che Roma esprime con le sue biblioteche-centri culturali, e in linea con  i valori di sostenibilità, equità, e inclusività che ispirano la candidatura per l’Expo 2030, aiuta a traghettare l’idea stessa di biblioteca bene comune nella contemporaneità come “strumento per la crescita delle persone” e lo fa con una attenzione costante al contesto ma anche e  sempre con uno sguardo proiettato verso il futuro. 

     

    In copertina: Casa delle Letterature (Foto: Biblioteche di Roma)

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