Il Covid-19 non è solo un virus, ma un oggetto culturale e politico

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    I nuovi centri culturali sono spazi di confronto, di scontro e di trasformazione. Il lavoro che svolgono è inestimabile ma è necessario fare di più per sostenerli. Farlo significa superare gli ostacoli economici e pratici che li hanno limitati fino ad ora: dobbiamo condividere strumenti, conoscenze ed esperienze. Abbiamo bisogno di una presa di coscienza collettiva. Vogliamo unire le forze con tutti i nuovi centri culturali d’Italia. Compila il nostro questionario e raccontaci chi sei.


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    Ciò che affascina delle emergenze – intese come quegli eventi inattesi e indesiderati che fanno irruzione nella vita di una società e ne interrompono il regolare flusso – è la loro capacità di mettere a nudo i tratti più autentici della normalità. Ossia le caratteristiche, le relazioni e i tic propri del quotidiano nei tempi di pace. L’insieme di quei rapporti, insomma, che finiscono con l’essere occultati dal fluire ordinario del tempo. Un po’ come nel caso di quell’antropologo che per comprendere la vita nascosta di una comunità interroga con interesse lo scemo del villaggio normalmente relegato ai margini della vita sociale e ritenuto incapace di dire alcunché di sensato. Oppure in quello dello sperimentatore che causa incidenti relazionali per trarre delle indicazioni sulle aspettative comuni nella vita associata. I tempi di sospensione della normalità sono quelli che meglio di altri illuminano l’ordinario.

    Covid-19, com’è stato recentemente rinominato quel virus-specchio anamorfico della normalità che tanto sta turbando la vita del nostro paese, è ancora più interessante perché è posto a un livello di intersezione tra livelli politici. È cioè un fenomeno globale che, in quanto tale, getta luce non soltanto sull’impatto e la ricezione locale di un fenomeno emergenziale, ma sugli intrecci e le fughe di un piano dall’altro. Ciò, in altri termini, che costituisce l’adattamento locale a un fenomeno globale.

    Il primo banale aspetto che è possibile intravedere è relativo al fallimento della comunicazione del rischio. Se con questa dobbiamo intendere una presa di posizione e una definizione della situazione di matrice istituzionale ed esperta, univoca nei suoi tratti, precisa e comprensibile per un pubblico quanto più generale, ciò che si è visto in azione è l’esatto contrario. In ragione probabilmente della mediazione garantita dai canali generalisti di informazione – quelli, cioè, che si interpongono tra la fonte istituzionale e il pubblico – nel corso del tempo i destinatari finali delle notizie sono transitati attraverso registri e messaggi contraddittori, in cui a prevalere sono stati sempre e comunque i toni allarmistici. Il principio dell’univocità e della non-contraddizione dell’informazione sul rischio è stato dunque sistematicamente disatteso da parte dei media, in modo esplicito o attraverso la compresenza, negli stessi spazi o in quelli concorrenti, di contenuti contraddittori, volti a produrre climi morali per mezzo di narrazioni coinvolgenti incentrate essenzialmente sul pathos.

    Note

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