Pubblichiamo un estratto, scritto da Massimiliano Viel, di “Ascoltare. Tra musica, percezione e cognizione”. Edito da ShaKe. Ringraziamo l’autore e l’editore per la disponibilità.
Dopo essere stata per secoli il retaggio pressoché esclusivo dei discorsi sulla Parola di Dio o, al più, un aspetto secondario di discorsi sull’estetica musicale, si può oggi dire che il tema dell’ascolto ha finalmente raggiunto il rispettabile status di tema di ricerca, anche se non ha ancora ricevuto l’onore di essere esplicitamente menzionato nel nome di una vera e propria disciplina accademica. E non c’è da stupirsi: oggi le ricerche sull’ascolto e sui temi ad esso connessi si pongono al crocevia di una miriade di discipline legate alla musicologia, alla (neuro-)fisiologia, ai cosiddetti cultural studies e all’intelligenza artificiale, e di conseguenza sono coinvolte in un’intensa attività di pubblicazione. Le ragioni dell’emergente interesse verso i temi dell’ascolto vanno ricercate nella complessa articolazione di una molteplicità di fattori che sono legati alle singole discipline e sono coinvolti nell’innovazione tecnologica e nel progresso teorico. È poi evidente che vi sono anche aspetti della conoscenza, più legati alle sue attività di supporto, che hanno finito col favorire l’espansione di questo campo di indagine: si pensi, ad esempio, alle possibilità di ottenere fondi di ricerca o di rivolgersi a un mercato sempre in ascesa legato ai temi dell’assistenza vocale, delle nuove didattiche eccetera. Tuttavia, vi è anche un’altra possibile ragione di questo accresciuto interesse per l’ascolto, e cioè l’emergenza di una nuova sensibilità verso il sensoriale, tesa a superare l’approccio tradizionale e la sua predilezione verso la visione con le sue metafore sensomotorie.
Il filologo e fondatore della Teoria dei Media, Marshall MacLuhan parla di uno “spazio uditivo” (1960), cioè di una regione dell’esperienza che non è toccata dai concetti di confine e prospettiva, ma sembra essere piuttosto connessa alla polifonia, alla presenza articolata di una molteplicità di fonti in uno spazio sferico non direzionale, verso la quale ci poniamo in modo essenzialmente emotivo. Ecco allora che lo “spazio uditivo” sembra anticipare la “sfera di internet” e in particolar modo la sfera virtuale dei social network, per come viene costruita dalle tecnologie della telepresenza, in senso generale. E dunque, si potrebbe quasi dire che l’attuale interesse verso i temi dell’ascolto, risponda all’esigenza di individuare una cornice concettuale che sia in grado di rendere conto delle peculiarità di come costruiamo i significati e delle implicazioni che derivano dal controllo dei media, nell’era dell’ipertestualizzazione globale.
A tutto ciò, però, va aggiunto che l’impegno verso questo argomento ha anche una motivazione di carattere personale. Nello svolgere la professione di musicista, di compositore e insegnante di musica, mi è capitato spesso di essere coinvolto in discussioni su tecniche di composizione, ad esempio quelle legate al serialismo, che, essendo esplicitamente basate sulla manipolazione dei simboli grafici della notazione, vengono tacciate di non essere sufficientemente radicate negli aspetti sonori della musica, sia in rapporto all’ascolto che alla performance degli interpreti. Inoltre, quando si tratta di metodi didattici è facile imbattersi in apparati e schemi esplicativi, come quelli dell’idea stessa di armonia, della metafora sensomotoria della tensione tra accordi di dominante e tonica e altri, che spesso rivendicano un’esistenza oggettiva senza che sia stata avviata alcuna discussione sul loro statuto ontologico. Tutto ciò ha provocato l’urgenza di studiare l’esperienza dell’ascolto, alla ricerca di un punto stabile al quale poter ancorare sia discorsi e pratiche legate alla musica, sia le condizioni per poter condividerle. Gli strumenti cognitivi e culturali che utilizziamo per affrontare l’ascolto, infatti, non possono non essere plasmati dai paradigmi emersi prima di tutto dalle pratiche linguistiche, che sono stati poste e sviluppate all’interno dell’accademia. E di conseguenza, i concetti e le parole che usiamo nei nostri discorsi sull’ascolto non sembrano essere quelli più adatti ad affrontare il mondo evanescente ed articolato dell’esperienza uditiva, tanto più se ci si vuole porre in una prospettiva svincolata da estetiche specifiche. È proprio questa inadeguatezza a far sì che i diversi discorsi sull’ascolto che si trovano in pubblicazioni o didattiche spesso appaiono al servizio di paradigmi e assunti, a cui non vogliamo finire con l’essere “abbonati” senza aver dato il nostro consenso. Tuttavia, se si vuole promuovere una comprensione delle pratiche sonore nel senso più generale, che includa anche la musica come la conosciamo, bisogna liberarsi di questi paradigmi o quanto meno occorre metterli in discussione. Solo così, si potrà essere nella condizione di poter studiare il ruolo delle pratiche sonore nel nostro contesto culturale e la loro connessione con musica, linguaggio parlato e quanto vi si trova a metà strada, ma anche di acquisire una prospettiva sulla cognizione in generale, che sia legata all’esperienza dell’ascolto in modo genuinamente originale.
Si può quindi riassumere il problema alla base di questo testo nelle seguenti domande:
- Come possiamo affrontare la varietà dei discorsi sull’ascolto ed eventualmente esporre i paradigmi nascosti al loro interno?
- Come è possibile proporre un discorso sull’ascolto, che possa rendere conto della diversità delle esperienze di ascolto, così da promuovere allo stesso tempo le diverse pratiche ad esse connesse?
Ho dedicato i primi tre capitoli ad affrontare la prima questione e quelli restanti alla seconda. Più precisamente, inizierò a caratterizzare i discorsi sull’ascolto come espressione di specifici punti di vista (capitolo 1) e poi userò gli elementi della grammatica di tipo indoeuropeo, che sono all’origine di lingue come l’italiano e l’inglese, come guida per esplorare alcuni di questi punti di vista (capitolo 2). Infine, cercherò di definire lo statuto di conoscenza dei discorsi sull’ascolto, che individuerò nel paradigma della narrazione (capitolo 3). Dopo queste premesse, passerò a proporre una specifica narrazione dell’ascolto, dapprima introdotta con un excursus (capitolo 4) diretto a presentare intuitivamente e in ambito prevalentemente musicale i temi che saranno sviluppati in modo più analitico nei capitoli successivi. Seguono poi due capitoli in cui vengono trattati i due concetti alla base di questa narrazione dell’ascolto e cioè l’idea di distinzione (capitolo 5) e di pattern (capitolo 6). Questi due capitoli sono un po’ il cuore di questo testo e presentano quindi i concetti di dimensioni percettive, regioni distintive e strutture di pattern che esplicitano la specifica narrazione dell’ascolto che vogliamo qui presentare. Infine, l’ultimo capitolo, il settimo, è volto a sviluppare ulteriormente l’idea di ascolto presentata, in modo da metterla in contatto con temi più vasti come quelli del linguaggio, dell’idea di oggetto e in generale della cognizione.
Va precisato che questo testo è fortemente basato sulla tesi di dottorato (PhD) che ho discusso presso l’Università di Plymouth, Inghilterra, e che è stata pubblicata con il titolo Listening Patterns. From Music to Perception and Cognition (Viel 2019). Tuttavia, il presente testo non è una semplice traduzione dell’originale in inglese, bensì una vera e propria riscrittura che, in alcuni casi, ha anche implicato la risistemazione di alcune frasi e sezioni che nell’originale apparivano particolarmente oscure, l’approfondimento di alcuni temi che nel testo in inglese erano solo accennati e soprattutto un importante lavoro di rimontaggio, con il taglio di ben 4 capitoli, l’aggiunta di un intermezzo tra il quarto e il quinto capitolo e di una conclusione, nonché la divisione di quello che nel testo in inglese era il settimo capitolo in due capitoli della versione italiana, cioè il sesto e il settimo.
Bisogna inoltre precisare, che la tesi era divisa in tre parti. La prima, intitolata Words, corrisponde ai primi tre capitoli di questo libro ed era dedicata, come anche qui, all’analisi dei discorsi sull’ascolto.
La seconda parte, Patterns, corrisponde ai restanti capitoli di questo testo e, come questi, è dedicata alla presentazione della nostra narrazione dell’ascolto. L’ultimo capitolo della seconda parte si intitolava Coda: Noise Patterns ed era rivolta ad analizzare un problema percettivo dal punto di vista delle strutture di distinzione. In sostanza si trattava di capire come mai il rumore bianco, pur consistendo in continue variazioni imprevedibili della forma d’onda, dia origine a una esperienza estremamente compatta e omogenea e, in sostanza, altamente prevedibile. Poiché ho presentato varie volte il contenuto di quel capitolo, in conferenze, mi auguro che prima o poi riceva anche una pubblicazione, ancorché tardiva. Tra il quarto e il sesto capitolo vi era poi, come in questo testo, un intermezzo, che però nella tesi era dedicato alla contrapposizione dell’idea di tempo tra i filosofi Gaston Bachelard e Henri Bergson. Qui, ho invece scelto di dedicare quel capitolo a una rapida e sommaria presentazione di argomenti legati al suono, dall’acustica, alla psicoacustica, alla fisiologia dell’ascolto e alla teoria musicale, in modo da poter facilitare, per chi fosse a digiuno di questi argomenti, una maggior comprensione dei concetti introdotti nei capitoli successivi.
La terza parte, Music, che qui manca, era invece rivolta a presentare nei due capitoli finali le possibili applicazioni di questa narrazione. Innanzitutto venivano proposti dei criteri per lo sviluppo di un’analisi estesica, cioè all’ascolto, di brani musicali, con la presentazione dell’analisi prima di Lontano per orchestra di György Ligeti e poi di Nell’alto dei giorni immobili per ensemble di Fausto Romitelli. Quest’ultima analisi è stata pubblicata con maggiori dettagli in Have your trip. La musica di Fausto Romitelli con il titolo Nell’alto dei giorni Immobili. Un’analisi estesica (Viel 2014).
L’ultimo capitolo della tesi era invece rivolto ad applicazioni didattiche e compositive. In primo luogo veniva presentata la realizzazione di un’installazione audiovisiva, intitolata Ordo coelestis, presentata nel 2014 a Milano, in cui la narrazione dell’ascolto era volta a risolvere i problemi della traduzione sonora, ciò a cui in genere ci si riferisce come “sonificazione”, di dati stellari. Poi si passava a una forma di didattica compositiva legata alla “composizione a pattern” che ho avuto modo molte volte di realizzare in corsi e seminari ed è tuttora parte del corso di Didattica della Musica al Conservatorio di Milano. Poi ci si muoveva al tema della realizzazione di software per la performance e infine alla presentazione delle tecniche compositive utilizzate per il brano Cluster, che è possibile trovare online, nel numero 8 del 2021 della rivista di divulgazione audio-testuale d.a.t. (Viel 202ib).
La tesi comprendeva anche una discussione sull’idea di paesaggio sonoro alla luce delle nostre idee sull’ascolto, che si può oggi trovare in Soundscape & Sound Identity con il titolo What we take for granted in the sounds around us (Viel 2017).
Infine, il presente testo, al contrario di Listening Patterns, si chiude con una Conclusione, che torna a riassumere a grandissime linee il percorso svolto, ma vuole soprattutto precisare il senso di questa narrazione dell’ascolto, anche attraverso le possibili linee di ricerca che da essa prendono avvio.
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