Qualcuno vi guarda: weirdcore, dreamcore, traumacore, corecore

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    Pubblichiamo un’anticipazione da Exit Reality (Produzioni Nero), l’ultimo saggio di Valentina Tanni. In libreria dal 13 settembre e in preordine sul sito dell’editore. Ringraziamo L’autrice e l’editore per la disponibilità.

    La parola core deriva dal francese cœur, che significa «cuore». Tuttavia, l’uso di core come suffisso deriva dall’espressione hardcore, una parola degli anni Trenta del Novecento che significa «un nucleo o un residuo irriducibile; oppure una minoranza ostinata e inflessibile». Nelle estetiche che terminano in -core, il suffisso significa che la parola principale è il tema dell’intera estetica, ad esempio tutte le immagini Lovecore riguardano l’amore. The Aesthetics Wiki1The Aesthetics Wiki; https://aesthetics.fandom.com/wiki/Aesthetics_Wiki.

    Immaginate la fotografia sgranata di un paesaggio. I suoi tratti sono essenziali e stereotipati: prato verde in primo piano, cielo azzurro sullo sfondo; una specie di rivisitazione surrealista del desktop di Windows XP. All’orizzonte si staglia una nuvola bianca un po’ troppo grande; se ne sta appoggiata sul crinale della collina, come se stesse sorgendo alle sue spalle. Al centro della nuvola si apre un buco nero rettangolare dai contorni perfetti, aggiunto digitalmente: una porta che affaccia sul nulla. Di fianco, una scritta che recita «don’t you wonder whats inside?» («non volete sapere cosa c’è lì dentro?») rafforza il senso di mistero.

    Si tratta di una composizione tipica dell’estetica weirdcore, un genere che, assieme al fratello dreamcore, ha vissuto il suo primo picco di popolarità tra la fine del 2020 e l’inizio del 2021, sebbene alcuni germi fossero già individuabili in contenuti precedenti, soprattutto nell’ambito dei liminal spaces. Dal mondo liminal, infatti, il weirdcore prende a prestito molte delle ambientazioni: stanze vuote, strade notturne, parchi giochi e camerette dallo stile rétro. Le fotografie sono sempre in bassa risoluzione, scattate con macchine fotografiche digitali di prima generazione e vecchi cellulari, particolare in grado di innescare sentimenti nostalgici soprattutto nelle persone che sono state bambine e adolescenti tra la fine degli anni Novanta e la metà degli anni Duemila. L’illuminazione è scarsa o di bassa qualità, danneggiata da un uso improprio del flash automatico. Le immagini, spesso trovate online, vengono poi editate, accentuando i contrasti e aggiungendo testi, segni e buchi per aumentare il senso di straniamento; in qualche caso attorno agli oggetti viene apposto un effetto glitterato che richiama l’estetica di Blingee, una app molto popolare tra gli adolescenti degli anni Duemila.

    L’effetto weird («strano, bizzarro») è raggiunto tramite l’utilizzo cosciente di tre strategie principali: la vaghezza di luoghi e oggetti, il contrasto tra elementi incongrui, e il messaggio criptico o insensato. Gli ambienti rappresentati sono quasi sempre universali: paesaggi, costruzioni anonime, piscine, interni, parchi e corridoi; come accade negli spazi liminali, nel weirdcore la presenza umana è rarissima. Se ci sono delle persone, i volti sono oscurati o cancellati. Anche gli elementi simbolici sono semplici: strade, scale, porte, finestre, raggi di sole, fiori e arcobaleni. L’associazione delle immagini alle scritte, invece, è volutamente enigmatica, con l’obiettivo di innescare domande e moltiplicare le interpretazioni.

    Un’elaborazione grafica in stile weirdcore, immagine trovata.

     

    «Spesso lo scopo di queste immagini è a far entrare l’osservatore in un’ambientazione sconosciuta, progettata per suscitare una certa idea nella sua mente, ma allo stesso tempo non forniscono abbastanza informazioni per permettergli di creare una storia»2Malavika Pradeep, «Inside Weirdcore, an internet-born art movement triggering nostalgia of the unknown», Screenshot, 2021; https://screen- shot-media.com/culture/internet-culture/weirdcore-explained., spiega Sanfor, admin del subreddit r/weirdcore e del relativo canale Discord. Le frasi che vengono inserite, talvolta sgrammaticate e composte con font elementari, non aggiungono informazioni e non offrono chiavi di lettura. Semmai, rendono il contenuto ancora meno comprensibile. L’amore per la bassa risoluzione e un gusto molto specifico per il nonsenso e l’assurdo caratterizzano numerose forme espressive delle nuove generazioni3Per l’analisi di queste tendenze si rimanda a: Valentina Tanni, Memestetica. Il settembre eterno dell’arte, NERO 2020., soprattutto in ambito memetico. Quello che non sempre viene compreso, tuttavia, è che si tratta di un codice che può essere orientato verso sfumature emotive sempre diverse: divertimento, inquietudine, nostalgia, conforto.

    Uno dei primissimi esempi di estetica weirdcore, immagine pubblicata su Tumblr dall’utente ki55ed.

     

    Il contrasto tra elementi benevoli – o quantomeno neutri – e dettagli minacciosi è un’altra strategia ricorrente. È il caso, per esempio, della frase «Have you experienced a strange and inexplicable event?» (vi è capitato qualcosa di strano e inspiegabile?), impressa sull’immagine di due palloncini gialli che sorridono; oppure, ancora della scritta «Jump in! The atmosphere is fine» (Salta dentro! L’atmosfera è piacevole) accostata alla fotografia di una piscina in un giardino suburbano. A un primo sguardo la foto sembra ordinaria, ma osservandola con attenzione ci si accorge che cielo e acqua si sono scambiati di posizione. Niente è davvero a posto, e tuffarsi nella piscina potrebbe avere effetti imprevedibili.

    La scritta in molti casi è interpretabile come una voce, espressione di una misteriosa entità in grado di comunicare subliminalmente. Di questa entità non conosciamo la natura né tantomeno gli scopi; potrebbe essere angelica o demoniaca, oppure un miscuglio delle due cose; sussurra messaggi come «it’s kind of lonely here»; «recognize this place?», «why are you here?», «do you see me?» («è un po’ solitario questo posto»; «riconosci questo luogo?», «perché sei qui?», «mi vedi?»). A pensarci bene, però, potrebbe anche essere una voce interiore, intrappolata in un angolo remoto dell’inconscio e pronta a riemergere insieme a un bagaglio di ricordi rimossi. Dopotutto, come recitava l’anthem vaporwave «Lisa Frank 420 / Modern Computing» di Macintosh Plus, «è tutto nella tua testa».

    Esprime bene ciò che prova la mente di una persona che lotta contro la dissociazione. È impossibile da descrivere a parole e fin troppo familiare. Sono stata lì, in quelle immagini, nelle case, nei cieli e nei prati verdi. La periferia degli anni Duemila è surreale. Tutti proviamo la stessa meravigliosa e misteriosa sensazione quando guardiamo il weirdcore. È incredibile. Il weirdcore è puro e bellissimo. tenuousgriponreality, post di Tumblr, 2022

    A riprova del fatto che i videogiochi per le nuove generazioni sono solo un altro piano della realtà, le domande a volte vengono espresse direttamente sotto forma di finestra di dialogo. «Exit reality: yes or no?» «Do you want control? Yes, no»; «Having strange dreams: stop or continue»: Vuoi uscire dalla realtà: sì o no? Vuoi prendere il controllo? Sì, no. Fare sogni strani: fermati o continua.

    Come accade per le Backrooms, anche nel weirdcore il tema dell’uscita dalla dimensione reale (noclipping) è fondamentale: le porte che compaiono nelle immagini sono sempre aperte su mondi sconosciuti; le scale portano in mezzo alle nuvole, i pavimenti si aprono, in fondo ai corridoi c’è sempre una nube scura. Le pareti, quando ci sono, hanno l’aspetto di membrane sottili, sempre sul punto di scomparire, visibilmente vulnerabili, pronte ad accogliere crepe e squarci. Il mondo weirdcore è quello in cui luoghi e oggetti familiari mostrano improvvisamente un lato oscuro. Diventano lontani, si trasformano, si scompongono, si squagliano. E con loro, la realtà intera.

    Torna in mente una delle scene chiave di Time is Out of Joint di Philip K. Dick, quella in cui il protagonista Ragle Gumm osserva un chiosco delle bibite scomparire davanti ai suoi occhi: «Il chiosco delle bibite andò in pezzi. Molecole. Vide le molecole, incolori, prive di qualità, che lo formavano. Poi vide attraverso di esse, lo spazio dall’altra parte, la collina retrostante, gli alberi e il cielo. Vide il chiosco delle bibite perdere la propria esistenza…»4Philip K. Dick, Tempo fuor di sesto, Fanucci 2003.. Come i romanzi di Dick, gli autori delle immagini weirdcore raccontano di un mondo inconoscibile, di una realtà che non possiede alcuna solidità e può dissolversi davanti ai nostri occhi da un momento all’altro – una realtà provvisoria, illusoria, in una parola finta. Non a caso il termine «fake» torna con insistenza nelle immagini, nei commenti e anche nelle canzoni associate alle immagini. È il caso ad esempio del brano «I’d Rather Sleep» della band inglese Kero Kero Bonito (2013): «I feel so funny these days / I’d rather sleep than stay awake / Trees used to talk to me / Now I know what’s real and what is fake» («Mi sento così strana in questi giorni / Preferisco dormire che stare sveglia / Una volta gli alberi mi parlavano / Ora so cosa è vero e cosa è falso»). Un altro esempio è «No Wind Resistance» di Kinneret (2019) in cui la realtà diventa letteralmente «di cartone»: «I’ve been here sixty years and I’m still not bored / There’s absolutely nothing that I can’t afford / And I’ve found that almost everything is made of cardboard / And there’s absolutely nothing I can’t sing with weird chords». («Sono qui da sessant’anni e ancora non mi annoio / Non c’è assolutamente nulla che non possa permettermi / E ho scoperto che quasi tutto è fatto di cartone / E non c’è assolutamente nulla che non possa cantare con degli accordi strani»).

    Il weirdcore è una rappresentazione visiva delle sensazioni di depersonalizzazione e derealizzazione. Non c’è nessuna minaccia reale, ma c’è qualcosa che «non va», qualcosa di «sbagliato», eppure, a quanto pare, questa è la realtà. È terrificante, straziante, e queste immagini colgono esattamente queste sensazioni. ciara skelton, commento di YouTube, 2022

    Molti utenti, nei commenti di YouTube, nei forum di Reddit e nei server di Discord, mettono l’accento sullo stretto rapporto che il weirdcore intrattiene con due condizioni patologiche specifiche: la derealizzazione e la depersonalizzazione. Nel primo caso si tratta di un’alterazione della percezione che porta il soggetto a vedere il mondo che lo circonda come se fosse lontano e irreale: i contorni degli oggetti non sono stabili, i colori perdono la loro brillantezza, tutto sembra sfocato oppure avvolto nella nebbia. La depersonalizzazione, invece – che può essere associata alla derealizzazione ma anche manifestarsi singolarmente – riguarda il rapporto con la propria entità fisica: chi ne soffre tende a «distaccarsi» da se stesso, percependosi talvolta addirittura fuori dal corpo.

    Questi stati di dissociazione possono essere provocati dall’uso di medicinali e sostanze stupefacenti oppure innescati da traumi, situazioni di stress, ansia o privazione del sonno.

    Gli albori della vaporwave: nell’estate del 2009 Daniel Lopatin apre il canale YouTube sunsetcorp, su cui pubblica il video Nobody Here (fig.1). L’anno seguente, ancora Lopatin pubblica l’album Chuck Person’s Eccojams Vol. 1 (nella fig. 2 la versione su cassetta, The Curatorial Club, 2010). Altro disco fondamentale per la definizione del genere è Far Side Virtual di James Ferraro (Hippos In Tanks, 2011, fig. 3).

    All’inizio degli anni Dieci la vaporwave si consolida, sia dal punto di vista sonoro che visivo (vedi elaborazio- ne grafica nella fig. 3 ). Tra i protagonisti, oltre a Vektroid/Macintosh Plus, ricordiamo almeno Blank Banshee (nella fig. 1 la copertina della ristampa su cassetta dell’album Blank Banshee 0, Hologram Bay 2017; versione originale: Post Religion 2012) e 2814, duo formato da HKE e Telepath テレパシー能力者 (nella fig. 2 la copertina della ristampa su cassetta dell’album 新しい日の誕生- Dream Catalogue 2018; versione originale: Dream Catalogue 2015).

     

    Ma anche un uso eccessivo di schermi, computer e videogiochi può produrre un simile effetto, il che spiega in parte la facilità con cui migliaia di persone nel mondo entrano in relazione con questo genere di contenuti. La navigazione su internet, i videogame e il binge watching di film e serie tv facilitano il distacco dalla realtà materiale, annebbiando i sensi e distorcendo la percezione. Scrive l’utente 8myoki su Reddit: «Ricordo che in molte occasioni, dopo aver giocato per 17 ore al giorno, mi sono guardato allo specchio e ho provato terrore. Non nel senso che pensavo di essere disgustoso o roba simile, ma perché è come se mi fossi reso conto di essere una creatura vivente. Passando così tanto tempo nei giochi, mi sentivo come se mi stessi fondendo con loro, non so se mi spiego. La mia identità era così persa che praticamente mi sembrava di non esistere al di fuori del gioco.»5«Depersonalization from gaming», subreddit r/StopGaming, 2018; https://www.reddit.com/r/StopGaming/comments/8myoki/deperson- alization_from_ gaming.

    Sono centinaia i videogame designer che hanno lavorato su questi temi. C’è un gioco, tuttavia, che vale la pena segnalare come prodotto specifico dell’estetica weirdcore: si chiama Therapy ed è stato rilasciato da Harper Shen all’inizio del 2023. Si tratta, secondo la descrizione ufficiale, di un «simulatore di camminata che permette di vagare nei propri sogni e nelle proprie illusioni. Un luogo tra passato e futuro, tra memoria e realtà»6HarperShen, Therapy, https://harpershen.itch.io/therapy..

    Una volta scaricato il gioco, l’utente si trova ad attraversare una serie di spazi liminali – stanze, corridoi, scale – fino ad arrivare alla zona chiamata «Mindscape», dove inizia uno strano viaggio nei meandri della memoria. Il «paesaggio della mente» viene visualizzato sotto forma di casa; ogni stanza contiene un ricordo, oppure un sogno, oppure, ancora, un’allucinazione. Il labirinto di stanze sembra non finire mai, e le indicazioni per spostarsi al suo interno sono contraddittorie; anche quando sembra di avere una scelta, in realtà è il percorso stesso a guidarci, come una forza soprannaturale. Qui e là, nei vari ambienti, appaiono le frasi enigmatiche tipiche del weirdcore: «You received a call from the past. Do you want to answer it?»; «Welcome to your personal heaven»; «Nothing here» («Hai ricevuto una chiamata dal passato. Vuoi rispondere?»; «Benvenuto nel tuo paradiso personale»; «Qui non c’è niente»). A un certo punto, immancabile, appare la stanza piena di orologi: «It’s time for you to wake up» – è ora di svegliarsi.

    Un importante precursore che viene citato spesso nei forum weirdcore come fonte di ispirazione è LSD Dream Emulator, un videogame per PlayStation pubblicato per il solo mercato giapponese nel 1998. Progettato da Osamu Sato come opera d’arte contemporanea, si tratta di un gioco sui generis, in cui non ci sono né obiettivi né punti: si può soltanto esplorare, spostandosi nello spazio e toccando oggetti. Le ambientazioni del gioco si ispirano ai luoghi descritti all’interno di un vero diario onirico, tenuto da Hiroko Nishikawa, una dipendente della casa produttrice Asmik Ace Entertainment, per ben dieci anni. Definito spesso come un «sogno giocabile», LSD Dream Emulator mette efficacemente insieme per la prima volta il mondo dei sogni con quello delle esplorazioni interattive su schermo, creando un precedente importante per tutte le sperimentazioni simili avviate successivamente. È il caso, ad esempio, di Yume Nikki (2004), altro videogame amatissimo all’interno di queste comunità, che non solo viene utilizzato come fonte iconografica, ma sfruttato di frequente anche per la sua iconica colonna sonora, composta da due album (Yumenikki Sound Tracks, Vol. 1: Yu Me No Oto e Yumenikki Sound Tracks Yu Me No O to 2). Non è difficile capire il perché: la protagonista del gioco è una hikikomori che vive da sola nel suo appartamento, mentre il giocatore è impegnato nell’esplorazione dei suoi strani e intricati sogni.

     

    Immagine di copertina da Unsplash diMatthew Moloney

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