Per NemO’s le opere appartengono ai luoghi in cui nascono

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    Serve una nuova legge per proteggere le opere poste negli spazi pubblici? cheFare ha aperto un confronto sul tema stimolato dal convegno Street art o arte pubblica? dello scorso 7 novembre a Roma presso lo Studio Legale E-Lex sul rapporto tra street art e arte pubblica promosso dal giurista Giovanni Maria Riccio. Da questo incontro è nato il progetto ExP, lanciato, oltre che da E-Lex con Giovanni Maria Riccio, da M.U.Ro. (Museo di Urban Art di Roma) con David Daviù Vecchiato e YoCoCu (YOuth in COnservation of CUltural Heritage) con Laura Rivaroli.

    Proseguiamo incontrando NemO’s uno degli artisti italiani più noti a livello internazionale i cui lavori compaiono sui muri e per le strade delle città. (qui e qui i precedenti interventi)

    Quando hai iniziato a fare lo street artist? Perché e come ti sei avvicinato alla street art?

    Quando nel 2003 ho iniziato a dipingere per strada il termine “street art” non esisteva ancora o comunque non era così diffuso come lo è ora. Per lo più si parlava ancora di writing, anche se le “scritte” non erano gli unici segni a comparire sui muri
    Sicuramente non aveva l’accezione contemporanea né veniva usato come oggetto di discussione in ambito sociopolitico, accademico e artistico essendo i graffiti catalogati come atti vandalici sia dagli accademici sia dalle istituzioni che ora, troppo spesso, si appropriano di questo termine per farne propaganda spiccia e di basso contenuto speculando e confondendo storia, significati e origini, utilizzandoli come una politica culturale spiccia e pronta all’uso

    Questo per dire che fare lo “street artist” non ha mai significato molto tranne che in questo ultimo periodo e solo per alcune persone.

    Per rispondere indefinitava alla tua domanda ho sempre disegnato fin da piccolo e i muri erano l’ennesimo supporto dove potevo esprimermi liberamente. Più liberamente di qualsiasi altro luogo e a me questo è sempre bastato.

    Che rapporto hai con il paesaggio urbano? Come ti relazioni con lo spazio pubblico?

    Dipende molto da dove mi trovo, ci sono città o metropoli che sono ben progettate e costruite a misura d’uomo, dove vivere lo spazio pubblico è un’esperienza positiva, altre invece, sembrano fatte per alienare le persone e chi vive la città. Ovviamente l’Italia non spicca come esempio positivo per quanto riguarda il paesaggio urbano.

    Con il boom economico del secolo scorso le principali città sono state prese di mira dagli speculatori edilizi e dai palazzinari incoraggiati da una politica corrotta che così contribuito a trasformare i centri abitati e le periferie in luoghi invivibili.
Ora forse le cose stanno migliorando, forse…

    Come credi che sia cambiato il tuo lavoro negli anni?

    Il mio lavoro è in costante mutamento. Come per tutto quello che esiste, l’evoluzione e il cambiamento sono una costante che appartiene a tutte le cose della vita.

    I cambiamenti sono spesso dovuti alle interazioni che un soggetto/oggetto ha con quello che lo circonda e nel mio caso tutto quello che mi sfiora modifica pezzo per pezzo quello che sono, quindi, ciò che disegno.

    L’unica costante – in cambiamento – è la ricerca del “brutto”. Brutto per i canoni sociali contemporanei. Cerco di avvicinarmi sempre di più ad una istintività che mi allontani dai parametri quotidiani di estetica e morale che abitano questi tempi, non ragiono per ideologia o partito preso ma credo che in un mondo dove le immagini ci rendono bulimici cronici della comunicazione usa e getta allora è per me più che doveroso riflettere e proporre punti di vista alternativi.

    Cosa ti spinge a scegliere un luogo e di conseguenza un soggetto?

    La scelta di un luogo è determinata principalmente dalla voglia di disegnare. Spesso il mio è un discorso più istintivo che ponderato. Ci sono tanti aspetti e tante caratteristiche che al momento tengo in considerazione o che scarto, è come portarsi dietro un quaderno: quando ho voglia lo apro e disegno quello che voglio.

    Per la tematica stesso discorso, ci sono volte che mi piace improvvisare e volte che desidero rappresentare un’immagine che sia legata al contesto che mi circonda.

    Che rapporto hai con le tue opere?

    Ho un rapporto molto conflittuale. Se fosse per me le cancellerei tutte, ma questo è un altro discorso. I disegni che realizzo appartengono al luogo in cui nascono, credo che come ogni bene comune anche queste cose debbano appartenere alla collettività e al luogo in cui sono nate invecchiando e scomparendo come tutto ciò che esiste

    “Street art o arte pubblica” sono due azioni parallele o in contrapposizione?

    Non so né cosa sia l’una né cosa sia l’altra, o meglio non mi sono mai posto il problema di dare una definizione a chi disegna per strada. Sinceramente non la trovo una cosa essenziale.
Questi termini sono molto utilizzati dai giornali e dalle istituzioni (per altro a volte sbagliando a pronunciarle o addirittura a scriverle) per collocare, definire, catalogare un’espressione sociale che rompe gli schemi entrando spesso in contrasto con le stesse regole sociali.

    Bisognerebbe chiedere a chi usa questi termini (adottati da poco) che differenza c’è tra i cosiddetti atti vandalici che io preferisco definire spontanei e una facciata dipinta e patrocinata dal Comune di turno. Mi spiego meglio, chi definisce e con quali parole l’azione di un individuo? La “legalità” di un intervento è sufficiente perché possa definirsi “arte”? Tutto quello che accade fuori da una commissione va buttato via? Un disegno o la forza di un segno prescinde dal suo termine e quindi dalla sua collocazione.

    Ha senso secondo te che un azione artistica venga regolata legislativamente?

    Se ne limita l’azione no. I cosiddetti vandali o atti vandalici prodotti in passato ora vengono riconosciuti da tutti. Da un giorno con l’altro siamo passati da vandali ad artisti. Credo che l’aspetto più importante di questo sia la totale libertà e spontaneità che ha sempre caratterizzato questo “movimento”. La legalità e il valore artistico vengono siconosciuti solamente se possono produrre un opportunità per l’amministrazione di turno. 
Il passaggio schizofrenico da illegale a legale e vice versa, è stato spesso usato come rubinetto per attingere o meno da un serbatoio che, a seconda delle occasioni, genera consenso o polemica

    Possiamo davvero distinguere il vandalismo da street art? Non riguarda anche la posizione e la sensibilità culturale di una società?

    Sì, è il discorso che facevo prima. C’è molto meno “decoro urbano” in un manifesto pubblicitario di una marca di mutande che copre un edificio storico che in un segno su un muro fatto da un ragazzino

    Come è messa la legislazione Italiana? 

    La legislazione Italiana non credo abbia mai definito parametri normativi per regolare queste cose. C’è ancora una grossa superficialità e ignoranza riguardo a queste dinamiche. Ci sono città che denunciano per imbrattamento chi dipinge i muri e altre città che prendono queste forme di espressione come una politica di rigenerazione urbana.

    In entrambi i casi credo ci sia una forte schizofrenia da parte delle istituzioni che spesso sono d’accordo o meno a seconda delle occasioni e del colore politico a cui appartengono.

    Coincide una forma di vivacità artistica con una regolamentazione aperta o più adeguata?

    Assolutamente no. Già se parliamo di regolamentazione vuol dire che si definiscono dei margini nei quali uno può o non può muoversi o esprimersi. Le regolamentazioni non hanno mai, o comunque molto poco favorito vivacità artistiche o stimoli espressivi particolari.

    Paradossalmente la cosiddetta arte urbana è nata nella clandestinità senza regole e con poca teoria. Ed è proprio questo ingrediente che ha alimentato questa modalità di espressione e che la distingue da molte altre forme artistiche.

    Che consigli daresti a chi volesse intraprendere un percorso artistico come il tuo?

    Non saprei, semplicemente iniziare.

    Come si può favorire la street art? 

    La questione è molto complessa. Come ho detto prima bisogna prima chiedersi cosa sia la “Street Art” e di conseguenza dove e come la si può collocare.

    Favorire molto spesso non significa dare un palazzo da dipingere sotto progetto, tanto meno usare questo strumento per opportunità politiche o perché semplicemente qualche esperto d’arte ci dice che dipingere i muri fa figo.

    Semplicemente bisognerebbe capire, studiare, e accettare questa forma d’espressione anche nelle sue forme più radicali senza confinarla nel bello o nel brutto, nel legale o illegale, nella riqualificazione o nel degrado e così via. Mentre sarebbe da favorire e incentivare tutto quello che permetta ad una persona di esprimersi liberamente.

    La street art Può essere insegnata?

    No, la Street Art non può essere insegnata, ma come credo tutte le altre forme artistico/espressive. Vedi, è proprio qui che sta il problema, si pensa alla Street Art come una cosa, come uno stile con dei canoni e delle regole, come una tecnica. Credo che non si possa insegnare a vivere un’esperienza astratta che non ha regole e che spesso è fatta di improvvisazione. Si possono spronare però le persone ad esprimersi, a usare le proprie capacità per poter raccontare una storia o per parlare di quello che vogliono, liberamente, dove e come credono sia meglio.

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