In una visione non anestetizzata, né cinica o nostalgica del futuro, industria e arte, produzione e creazione, sono energie complementari.
Ecco perché, a dispetto dell’attuale fantasmagoria ricreativa in cui bellezza e bruttezza perdono ogni referenziale e in cui contenuti artistici nascono già come format sin dallo stato embrionale, è rigenerante ritrovare nel mondo culturale italiano sacche di realtà e resistenza che puntano a ricentralizzare il discorso sul valore, in rottura con la perenne e compiaciuta tendenza alla visualizzazione ininterrotta, senza scopo e a somma zero.
Il gruppo di ricerca GMG Progetto Cultura è formato da Sabrina Fiorino, Claudia Canalini, Caterina Salvagno e Nicoletta Provenzano, e nell’ottica del riposizionamento del valore in una costellazione di senso entro cui sia rintracciabile il continuum culturale tra passato, presente e futuro, il loro lavoro di gruppo riemerge con forza, e così il potere connettivo dell’arte come luogo tradizionale dell’aura, intesa non solo nel senso classico di Walter Benjamin (autorità, unicità e autenticità dell’opera d’arte), ma anche come vettore ricombinante di alcune separazioni storiche novecentesche: arte come unica vera forza capace di assorbire, marchiare, valorizzare e d’impadronirsi anche di settori come l’industria, ontologicamente orientati al pragmatismo.
Sorprende, allora, tornando indietro di mezzo secolo o poco più, scoprire un’Italia profondamente diversa da quella odierna, immersa in una sorta di utopia produttiva che appariva eterna (così come si sentiva la borghesia illuminata che la inseguiva), e che forse, proprio in questa utopia/illusione di eternità aveva ripreso a considerare l’arte un valore centrale e alieno al meccanismo produttivo. Già lavorando a Invisibile è la tua vera patria, mi era stato possibile scorgere e rilevare tale contiguità nelle esperienze di Adriano Olivetti, delle famiglie Crespi in Lombardia e Florio in Sicilia, e persino nel lavoro culturale nato intorno all’Italsider. Ma il concetto di metamateria elaborato dalle ragazze di GMG attualizza nel contemporaneo una necessità ancora viva, tracciando una linea di continuità con il passato.
“Metamateria è stato il superamento di ciò che pensiamo relegato ad un particolare tipo di produzione, ad un preciso e invalicabile ambito in cui la creatività, il mondo artistico, lo spirituale, sembrerebbe non poter entrare. Il superamento di questa idea, di questa distanza illusoria, è stata anche la mostra Metamateria. Da materia d’industria a materia d’arte, attraverso cui abbiamo voluto presentare l’ingresso dell’arte – in particolare artisti scultori come Beverly Pepper, Arnaldo Pomodoro, Eugenio Carmi, Sinisca e Luigi Gheno – nei settori dell’industria. Erano gli anni del boom economico e l’arte entrò all’interno delle fabbriche nutrendosi e nutrendo il mondo del lavoro, rigenerando i rapporti, l’organizzazione, sperimentando e scoprendo nuove possibilità per la materia trattata e nuove soluzioni da utilizzare nei circuiti di produzione. E’ stata forse una utopia, molto vicina al concetto di speranza, che ha caratterizzato concretamente gli anni del dopoguerra italiano. Ma le utopie non devono essere identificate come illusioni: piuttosto come spinte propulsive per una realtà che aspetta il cambiamento attraverso il sentire di ognuno di noi, attraverso i sogni o le speranze, che appartengono a tutti. Il modello lungimirante intrapreso negli anni ’50 e ’60 da industriali come Olivetti e l’industria statale I.R.I. può trovare una linea di continuità in quelle aziende che mettono il proprio sapere tecnologico e il proprio “fattore umano” a sistema, facendolo dialogare con l’arte. Molte aziende condividono oggi questa visione e sono interessate ad orientare il proprio development model e il proprio management d’azienda verso i valori e la sensibilità dell’arte.
Siamo a piene mani nel campo di un’idea adombrata ma pulsante di “restituzione” da parte dell’industria: un’idea che ai tempi di Adriano Olivetti e dell’I.R.I. illuminata era invece viva e prodiga. Olivetti, in particolare insisteva molto sul principio che l’industria, poiché assorbiva molte risorse tutt’altro che infinite dalla vita dei lavoratori e all’ecosistema, finiva per accumulare un debito morale, che doveva essere ripagato attraverso la creazione della bellezza. Una forma di restituzione che oggi, nel tempo del proliferare caotico dei segni, si sdoppia in un ulteriore canale di rendita, in quanto arte e bellezza sono efficaci (perché indiretti) propulsori di marketing.
“Bisognava restituire e agire positivamente all’interno della società, perché la società siamo noi, l’esercito di piccole formiche che danno vita alle città, al mondo dei rapporti, del lavoro. L’industria cambiava il paesaggio, cambiava l’uomo, le sue relazioni, la società in cui operava. Per Olivetti era essenziale l’equilibrio, che si traduceva all’interno delle sue fabbriche anche attraverso il famoso “principio delle terne” che faceva corrispondere all’assunzione di personale tecnico l’assunzione di personale con formazione umanistica, nonché unità con formazione legale ed economica. La sfera umanistica così era davvero inserita all’interno delle dinamiche industriali e la cultura veniva vista come un tutt’uno che viveva del prolifico scambio tra formazione tecnico-scientifica e intellettuale-artistica. In quanto all’I.R.I., sin nelle prime pagine del primo numero di “Civiltà delle macchine” – l’house organ delle controllate del gruppo I.R.I. prima Finmeccanica poi Edindustria – Leonardo Sinisgalli (non a caso direttore dell’Ufficio Sviluppo e Pubblicità dal 1937 al 1940 per Olivetti) chiedeva a Giuseppe Ungaretti che tipo di influenza e di conseguenze ci si poteva aspettare dall’industria, dallo sviluppo della tecnologia per la società. Ungaretti rispondeva mettendo in evidenza una necessità per il genere umano: quella di far corrispondere la “Forza Morale” al progresso scientifico e al dilagante ingresso delle macchine nella quotidianità e nel lavoro. L’uomo, la sua misura, il suo appartenere alla natura, la coscienza e la consapevolezza del valore del suo agire, per Ungaretti erano in grado di guidare il mondo delle macchine verso uno sviluppo che le qualificasse come reali strumenti morali del progresso della civiltà. Era il 1953.
Dal lavoro del gruppo GMG nascono così due mostre, che scavano nella profondità della storia recente d’Italia, e che ai miei occhi sono apparse come una magnifica caccia al tesoro, avventurosa e un po’ magica: la succitata Metamateria, appunto, e Arte sulle Motonavi, realizzata con il supporto di realtà illuminate del mondo produttivo come Fintecna, Fondazione Ansaldo, e Fondazione Maimeri (assoluta eccellenza italiana nel mondo in fatto di produzione di colori e vernici per Belle Arti).
Origine del tutto, la rivista Civiltà delle macchine e l’immenso patrimonio culturale che ha lasciato.
“La nostra è stata una caccia al tesoro entusiasmante che ha permesso di riappropriarci di una storia incredibile, che vede l’Italia protagonista di un modello di crescita economica, intellettuale, artistica e tecnologica senza pari. “Civiltà delle macchine” è stata una lezione, uno sguardo lungimirante lanciato verso il futuro che ha saputo leggere nella contemporaneità di allora e prefigurare le trasformazioni e le scoperte che caratterizzano la contemporaneità. È stata la rivista, unica in Italia, che è riuscita ad unire le diverse branche del sapere in un percorso comune, è stato il luogo in cui le Due Culture potevano dialogare, trovando unione e sviluppo reciproco. Leonardo Sinisgalli ne è stato il Deus Ex Machina. “Civiltà delle Macchine” lascia un grande patrimonio, specie come modello replicabile in grado di mettere a sistema le diverse identità, i diversi percorsi e la summa dell’Intellighenzia mondiale a favore dell’analisi e del tentativo di risposta ai problemi e agli interrogativi essenziali/esistenziali dell’uomo”.
Arte sulle motonavi (visibile fino all’8 gennaio 2017 tra Galleria Nazionale d’arte moderna e contemporanea e Auditorium Via Veneto) è la raccolta di un patrimonio artistico straordinario, che diviene il simbolo di una stagione dorata, con le grandi motonavi costruite e progettate da italiani che portavano ovunque, nei porti in giro per il mondo, le magnificenze nazionali. Splendidi interni di Giò Ponti, arazzi di Sironi e Aloi, le sculture di Mascherini, le polene di Assia Busiri Vici Olsufieff, i quadri astratti di Dova, erano tesori a bordo de grandi transatlantici italiani come il Conte Biancamano, che nel 1925 fu arredato da Coppedè e poi ristrutturato nel dopoguerra, la Leonardo da Vinci, la Raffaello, la Michelangelo. Addirittura, nel 1964, sulla Cristoforo Colombo viaggiò proprio la pietà di Michelangelo, che fu portata a New York.
“Era un’Italia rinnovata. Dopo la Seconda guerra Mondiale si sentiva la necessità di riaffermare la propria identità e il primo passo importante fu la costruzione di nuove navi per la Società Italia di Navigazione. E non ci si limitò solamente all’introduzione di novità meccaniche e strutturali, ma si misero in collaborazione l’ingegneria e l’architettura con la creatività artistica. Giulio Carlo Argan, storico e critico, fu uno dei rappresentanti di spicco della commissione esaminatrice per la scelta degli artisti, architetti, ingegneri e artigiani che avrebbero dato vita agli interni di questi giganti del mare. Una trasformazione quindi che partì proprio dall’allestimento degli interni. Con le grandi turbonavi e motonavi (come ad esempio la Augustus, il Conte Biancamano, la Leonardo da Vinci, le gemelle Michelangelo e Raffaello o la Cristoforo Colombo) la creatività e l’innovazione del made in Italy venivano esportate attraverso gli oceani. Nel 1968 fu ospitato a bordo della turbonave Cristoforo Colombo un evento eccezionale: la tavola rotonda sul futuro. In un luogo sospeso, le menti più poliedriche e illuminate dell’epoca- filosofi, architetti, medici, ingegneri, astronomi e professori di genetica – mediate dal secondo direttore della rivista “Civiltà delle Macchine” Francesco d’Arcais, navigarono per tre giorni discutendo di futuro. L’evento fu poi riportato sulle pagine della rivista.
La ricerca delle sinergie e delle opere è stata ed è un’energia primaria in passato come nel contemporaneo. È questa l’idea base di una progettualità che mira a risultati nel lungo periodo, e nasce da un approccio che crede nella commistione indissolubile tra arte e società: un connubio che genera inevitabilmente nuove visioni di futuro.
“Le sinergie sono la spinta propulsiva per la nascita di un percorso iniziato tre anni fa con lo studio e la ricognizione del patrimonio artistico e industriale della Fintecna S.p.A. Il modo in cui gli artisti, i letterati, i filosofi si legavano al mondo imprenditoriale ci ha particolarmente ispirato, ma soprattutto ci ha coinvolte a tal punto da voler cercare di riportare alla luce questo rapporto così prolifico. Allo stesso tempo queste sinergie non si sono limitate al solo settore privato ma hanno intessuto stretti legami con il settore pubblico, che ha consentito di restituire, promuovere e divulgare il patrimonio. Per quanto riguarda la commistione tra arte e società, il modello è quello di Eugenio Carmi, che credeva nel valore liberatorio dell’arte che agisce nella vita di una comunità analizzando e riattivando rapporti, spazi, creatività, ma soprattutto stimolando il pensiero e la crescita individuale e collettiva.
E oggi? Cos’è l’arte nel tempo attuale, per chi regge l’industria nel paese? Il tempo della restituzione e dell’utopia è finito o sta per ricominciare? Se di certo non è possibile riscontrare nel presente l’identico approccio intellettuale “sistematico” condiviso un tempo, è vero che spesso il problema maggiore è il depistaggio: lo sguardo dell’osservatore/spettatore è convogliato il più lontano possibile da un ‘idea di bellezza e o di creazione come fattori integrati nella vita quotidiana, ed è direzionato verso “arte” e contenuti generati e finalizzati alla logica del consumo. Ma le zone di diversità esistono: soltanto, non rientrano nel fascio di luce principale.
Oggi molte aziende vivono il mondo dell’arte come risorsa imprescindibile per il proprio sviluppo, il proprio impegno, la propria comunicazione, uno strumento che indirizza l’azienda al superamento di diverse problematiche scatenate dalla quotidianità, a favore di una maggiore creatività. L’impegno artistico all’interno delle imprese perde un po’ della sua connotazione materiale e si trasforma in momenti formativi, esperienze innovative che spingono il personale ad attivare visioni e immaginari che stimolano l’innovazione, il team building, le relazioni umane. In queste modalità abbiamo attivato quest’anno il progetto di formazione del personale Fintecna, con due giorni di workshop condotti da Cesare Pietroiusti. Cesare ha sviluppato un interessante percorso artistico sul tema del “cambiamento del punto di vista” sull’opera d’arte, strumento adatto a differenziare o a mutare non soltanto la percezione o il giudizio, ma anche l’attitudine emotiva. Ha proposto una performance sul tema del paradosso, trattando il concetto di “valore” fra il piano simbolico e quello fisico-reale del denaro.
Bisogna crederci. Il tempo dell’utopia stia prendendo una nuova spinta e nuove basi concrete: le aziende che si legano all’arte attivando iniziative d’alto valore sono in costante crescita. Il 24 novembre di quest’anno, per esempio, si è concluso il ciclo di eventi relativo ai Corporate Art Awards, premio che mira a individuare e promuovere il connubio tra il mondo aziendale e quello artistico a livello internazionale. Ai Corporate Art Awards hanno partecipato circa 80 aziende di 22 Paesi, e la Fintecna S.p.A., in sinergia con il nostro gruppo (GMG Progetto Cultura n.d.r.) è stata tra le venti aziende premiate. E non solo. Associazioni come Museimpresa, le partnership tra pubblico e privato e una costante riconfigurazione dell’arte come uno dei fattori trainanti dell’economia ci danno speranze concrete di vivere un nuovo ed entusiasmante corso che sta per caratterizzare il mondo culturale e quello del business.
Due forze coniugabili, due energie compatibili. Arte e industria come fondamenti concreti di un mondo da costruire e rinnovare. Tale visione esiste e resiste. Non resta che renderla maggioritaria.