Costruire futuri: stakeholders engagement e community building

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    Nella costruzione di comunità capaci di immaginare e attrarre futuro è indispensabile coinvolgere il maggior numero possibile di soggetti, siano essi istituzioni, attori economici, enti del terzo settore o individui. In sintesi, tutti coloro i quali, più o meno consapevolmente, sono portatori di interesse rispetto ai futuri che si vanno costruendo.

    Le comunità abitano luoghi e i futuri sono luoghi che non esistono ancora, dunque possono essere immaginati e “costruiti” insieme. Anche le comunità non esistono ma richiedono di essere attivate; i territori sono infatti luoghi complessi in cui in modo frammentato e non connesso operano attori con interessi, competenze e capacità diversi, i quali svolgono funzioni e attività differenti, con scopi ed interessi altrettanto diversi. Per queste ragioni, nell’attivare processi di engagement e community building è fondamentale adottare un approccio multistakeholder, ecosistemico, capace di coinvolgere e abbracciare punti di vista ampi in grado di includere sguardi, idee, attitudini mentali, interessi differenti, a volte anche apparentemente contrastanti.

    Affinché un percorso di costruzione di futuri all’interno della comunità riesca a uscire dall’astrazione teorica precipitando nel concreto i propri risultati, deve quindi contribuire alla costruzione e al rafforzamento delle comunità stesse. Lo stakeholder engagement è un primo passo in questa direzione: un processo che si nutre sì, di imprescindibili aspetti tecnici ma, soprattutto, di ascolto, costanza e attenzione. Teoricamente e tecnicamente le fasi del processo sono riassumibili in quattro passaggi. Il primo consiste in un’attenta mappatura degli attori in campo, organizzandoli in categorie e per grado di interesse e di potere rispetto all’obiettivo. Il secondo è il momento di vero e proprio coinvolgimento attraverso il contatto diretto e la “cooptazione” (azione svolta tramite vari canali, digitali e interpersonali). Qui fa la differenza il piano “one-to-one”, cioè l’attivazione di un rapporto diretto con gli interlocutori (“andare a prenderli a casa”), per far nascere relazioni autentiche da coltivare con cura. Con il terzo passaggio costruiamo relazioni coesive di gruppo attraverso visioni condivise, scopi alti aggreganti, slancio comune verso futuri auspicati e azioni intraprese insieme. Il quarto e ultimo passaggio è il momento della restituzione, fase in cui i risultati emersi e le azioni progettate e intraprese diventano narrazione diffusa. Le “storie di futuro” vengono raccontate e condivise con l’intera comunità locale (cittadinanza, istituzioni, mondo delle imprese, organizzazioni sociali e mondo dei media).

    Le narrazioni prodotte hanno il potere di innescare processi innovativi che trasformano la comunità e accrescono la partecipazione, stimolando un circolo virtuoso di coinvolgimento di ulteriori stakeholders portatori di idee ed energie e generando, di conseguenza, continuità e concretezza all’intero percorso.

    L’attenzione all’altro, orientata a generare relazioni significative e disinteressate, è il cuore di tutto. E l’assenza di fini utilitaristici consente di far emergere esigenze, idee e progettualità che a loro volta saranno le fondamenta su cui innestare obiettivi comuni e concreti. Per mettere in moto questi percorsi partecipativi di progettazione del futuro servono tuttavia attitudini specifiche quali capacità relazionali, pro-socialità e attenzioni comunicative. Competenze sociali troppo spesso date per scontate oppure trascurate che invece sono il fulcro di processi collettivi così importanti per il nostro futuro.

    Dopo “l’aggancio individuale” segue la “costruzione gruppale”, il community building. Non è un mettere insieme, aggregare gli attori ingaggiati: si tratta piuttosto di adottare “acceleratori di processo” funzionali alla coesione, alla vicinanza relazionale, al desiderio di immaginare e agire insieme. Un tessuto relazionale autentico e significativo, capace di catalizzare l’energia vitale del gruppo e nutrire motivazione e interdipendenza cooperativa. Questa fase di tessitura relazionale è delicata e strategica perché costruisce l’humus, il “sentimento del noi” da cui è poi possibile innescare processi collettivi futurizzanti.

    Non esistono indicazioni operative generali o procedure standard da seguire perché il lavoro del facilitatore di comunità è simile a quello dell’artigiano. Deve confezionare attivazioni di gruppo “su misura”, dopo aver compreso il clima, i bisogni individuali, i reticoli relazionali e di potere che si sviluppano all’interno del gruppo. È importante che chi facilita guidi utilizzando un mix tra direttività del processo e modalità partecipative e metta in campo strategie di intervento capaci di valorizzare-integrare le differenti sensibilità, competenze, professionalità ed esperienze.

    Il nutrimento delle relazioni interpersonali non si esaurisce qui, ma deve permeare costantemente i processi di immaginazione, costruzione culturale e azione della comunità. Le reti sociali sono, infatti, caratterizzate facilmente da processi dissipativi perché i legami tra i soggetti sono deboli e, a ciascun stakeholder, è richiesta una duplice adesione: alla propria organizzazione e alla rete. Spesso questo doppio legame è fonte di conflitti e genera facilmente un vissuto di scarsa comprensione e utilità dello sforzo collaborativo. È importante intrecciare questi momenti di community warming con spazi dedicati ai processi di costruzione culturale (condivisione di visioni future, individuazione di obiettivi comuni, messa in campo di pratiche co-progettate ecc).

    La cura del clima e del desiderio del “noi” passa attraverso azioni relazionali nutritive e riscaldanti e, in parallelo, attraverso spazi dedicati alla dimensione riflessiva e futurizzante del gruppo. Spazi in cui si intrecciano e confrontano interessi, rappresentazioni e percezioni, e in cui si viaggia insieme verso futuri desiderati per poi orientare l’azione comune verso la risoluzione di nodi critici del presente. Un processo di costruzione culturale collettiva che implica partecipazione emotiva e cognitiva e in cui possono prendere vita la collaborazione, la fiducia, la co-generazione di significati condivisi.

    In sintesi, l’azione di community building tiene insieme lo “stare” – la cura intra-gruppo per le relazioni e il clima, l’“andare” – la  tensione progettante alimentata dal dispositivo del futuro – il “fare” , gli agiti intrapresi insieme per spingere il presente verso il futuro desiderato.

     

    Immagine di copertina di Irene Coletto

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