Venerdì 21 giugno 2024 è stato un giorno storico per l’Europa e, in qualche modo, il mercato: il sindaco di Barcellona Jaume Collboni ha dichiarato che la città smetterà di dare nuove licenze e non rinnoverà quelle esistenti in modo che nel 2029 nessuna casa potrà essere messa sul mercato degli affitti per vacanze. Da quell’anno, insomma, per visitare la città catalana sarà necessario prenotare una stanza di hotel.
Il motivo di questa scelta, che può apparire radicale ma anche giustificata, è che Barcellona sta vivendo, da anni, una delle più gravi crisi abitative del mondo. Soltanto negli ultimi dodici mesi, si legge nella sezione CityLab del sito Bloomberg, gli affitti sono saliti del 14 per cento. Se guardiamo a un periodo più ampio, cioè gli ultimi dieci anni, il prezzo di un affitto è aumentato del 68 per cento, mentre il costo di una casa da acquistare del 28 per cento (i dati sono di Collboni). Come accade in molte altri luoghi del mondo, molti residenti non possono più vivere nella loro stessa città.
Da diversi anni, ormai, diverse organizzazioni, sindaci, amministrazioni stanno discutendo su come limitare il fenomeno degli affitti brevi, che sta rendendo impossibile la vita dei residenti. Non parliamo solo di borghi d’arte, ma anche di metropoli come New York. Nel 2023 la città ha introdotto la Local Law 18, che impone agli host di Airbnb di aderire a tre condizioni: il proprietario deve vivere nella casa messa in affitto; deve essere in città durante il periodo di affitto; non può ospitare più di due ospiti per volta. L’introduzione della legge ha fatto scendere l’offerta da 22.500 appartamenti sulla app a 3.227.
Berlino, ex Mecca degli affitti bassi ora radicalmente cambiata, ha nel 2016 vietato gli affitti brevi di interi appartamenti. Il problema: le piattaforme si sono rifiutate di dare alla municipalità le informazioni sulle case e sui loro host (se affittassero intere case o stanze singole, insomma), rendendo di fatto impossibile, o molto difficile, il controllo e l’applicazione della legge.
Parigi ha lo stesso problema di Berlino, cioè il controllo dell’applicazione delle norme (va detto, non così stringenti: tetto di 120 giorni all’anno). C’è una squadra di agenti che gira casa per casa per il controllo, e dal 2017 hanno multato quasi 14mila appartamenti. A Montreal, in certe zone, sarà vietato completamente l’affitto a breve termine. È una proposta su cui sta ragionando anche Firenze tramite il sindaco Nardella: fermare le licenze nella zona del centro storico sottoposta a vincolo Unesco.
Da luglio 2024, anche Vienna introdurrà un “cap”, un tetto al numero di notti massime, stabilito in 90 all’anno. Se recentemente avete viaggiato a Lisbona, e l’avevate fatto anche, diciamo, una decina di anni fa, avrete sicuramente notato il cambiamento. La capitale portoghese è forse il manifesto dei danni dell’overtourism, e per questo il governo ha deciso di non fornire più licenze per affitti brevi nelle città. Le licenze esistenti saranno sottoposte a controlli per rinnovi ogni 5 anni.
Non solo l’Occidente si muove: l’isola di Penang, in Malesia, molto popolare tra i turisti, ha vietato completamente gli affitti brevi. A Singapore non è propriamente illegale ma quasi: non si può affittare una casa per un periodo inferiore ai tre mesi. A Tokyo, in certi quartieri e in certi mesi, è vietato affittare case tramite le piattaforme.
Il panorama è variegato e tutte le informazioni raccolte qui sopra cambieranno, probabilmente, nei prossimi mesi. L’allarme è stato recepito più o meno da tutti e in modo abbastanza bipartisan: la turistificazione rende invivibili le città proprio per i local, e questa è un’istanza che può unire uno spettro che va dal socialismo al sovranismo, senza soluzione di continuità. Speriamo bene.
Immagine di copertina di Moosa Moseneke su Unsplash