Streaming Culture: com’è cambiata la cultura durante la pandemia

Il 20 settembre si terrà la giornata evento conclusiva del progetto Streaming Culture: continuity and transformation in cultural production. L’incontro ha lo scopo di presentare e discutere i risultati della ricerca sull’uso del digitale da parte di operatori culturali lombardi e di coinvolgere decisori, policy makers e operatori del settore in un momento di co-creazione di conoscenza sulla produzione culturale in Lombardia, per sostenere strategie future di politica culturale.

 

A causa della crisi sanitaria da Covid-19 che nel 2020 ha portato il governo a imporre restrizioni significative agli incontri fisici, le interazioni sociali e l’uso degli spazi delle città, la produzione e fruizione di cultura hanno subito delle trasformazioni. Capire in che modo e in quale misura è l’obiettivo che si pone Streaming Culture, un progetto di ricerca dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca, in collaborazione con l’Università degli Studi di Milano Statale e finanziato da Fondazione Cariplo.

Il territorio oggetto d’analisi è quello lombardo. Il periodo indagato è compreso tra marzo e settembre 2020, un lasso di tempo nel quale gli agenti culturali hanno dovuto, in tempi brevi e senza precedenti a cui guardare, adattarsi all’emergenza, esplorando nuovi metodi comunicativi e mettendo in atto strategie inedite, senza perdere la propria particolare vocazione e il proprio pubblico di riferimento. Al contempo, i fruitori di cultura hanno in parte dovuto modificare le abitudini di consumo culturale e di intrattenimento.

Quando il progetto ha preso forma ed è stato redatto, a settembre 2020, si era ancora in una fase di pandemia, sebbene non in lockdown. Nel periodo preso in esame le restrizioni hanno costretto operatori culturali a muoversi nello spazio digitale molto più che in quello fisico e la ricerca di Streaming Culture mappa questa trasformazione, chiedendosi se, con quale forma e forza questa si ripercuote sulla produzione culturale oggi.

Per quanto riguarda i metodi di ricerca, si ricorre a una combinazione di dati quantitativi e qualitativi. Se da un lato vengono condotte azioni di ricerca scientifica che comprendono l’estrazione e la gestione di Big Data, l’analisi quantitativa e l’esplorazione qualitativa ed etnografica dei dati digitali, dall’altro lato il progetto prevede una stretta interazione con gli operatori culturali, i decisori politici, gli operatori del settore e i cittadini. Sono previsti incontri con gli stakeholder e i decisori politici del settore culturale, nonché la condivisione dei risultati attraverso l’expertise di Calibro, uno studio di design con sede a Milano specializzato nella realizzazione di strumenti visivi per esplorare e visualizzare dati, informazioni complesse e archivi.

Una delle sfide emerse nel corso della prima fase di lavoro, ovvero quella dell’individuazione degli attori culturali sul territorio lombardo che sarebbero stati oggetto di studio, è stata quella di non farsi “fagocitare” da Milano, data la sua predominanza dal punto di vista dell’offerta culturale e dell’attrattività. Per evitare di concentrare la ricerca sui casi milanesi, sono stati selezionati operatori culturali presenti in tutte le province lombarde, ottenendo un campione in grado di riprodurre gli equilibri territoriali della Lombardia.

Gli attori culturali individuati sono stati 104, divisi in tre macro-categorie: istituzioni culturali (musei, teatri, ecc.), biblioteche e archivi, e quella che è stata definita “società civile” (circoli Arci o Acli, centri sociali, collettivi, ecc.). La visualizzazione dei Big Data ottenuti dall’analisi delle attività digitali di questi 104 attori è stata possibile grazie alle visualizzazioni prodotte da Calibro, consultabili sul sito del progetto.

L’obbiettivo è indagare la complessità dei mutamenti

Una considerazione che emerge chiaramente da questa prima fase di ricerca è che, oltre alla frequenza e al numero di post, la pandemia ha portato a un cambiamento nella presentazione delle pagine agli utenti, con la produzione di contenuti talvolta diversi rispetto all’epoca pre-Covid. La trasformazione si deve al cambiamento di palcoscenico: le piattaforme sono in molti casi diventate lo strumento principale per divulgare contenuti culturali, laddove altri tipi di comunicazione erano preclusi. Questo fenomeno è evidente nell’uso che gli attori culturali hanno fatto delle diverse piattaforme, e quindi nella distribuzione del volume di post tra Facebook, Instagram, YouTube e Twitter.

I grafici sul sito mostrano il numero di post settimanali per piattaforma di tutti gli attori culturali presi in analisi lungo tutto l’arco temporale e permette di identificare i trend di utilizzo dei diversi social media. Ad esempio, si può notare come YouTube sia la piattaforma meno usata mentre Facebook si attesti come il social media più utilizzato. Dal punto di vista della frequenza di pubblicazione si osservano alcune regolarità, ad esempio che nei mesi estivi i posti pubblicati diminuiscono, forse per la fisiologica minor calendarizzazione di eventi e per le chiusure dei luoghi della cultura, in continuità con gli anni precedenti.

Se la tendenza maggioritaria è una più rilevante presenza sulle piattaforme da parte degli attori culturali, non mancano le istituzioni che se ne discostano. Alcune hanno riscoperto l’importanza dei siti web proprietari, in un’ottica più tradizionale, allontanandosi dall’ecosistema dei social network e puntando a dirigere il traffico verso i loro siti, anche per questioni di monetizzazione. Altre hanno scelto di creare reti comuni, in cui il collegamento non è necessariamente basato sulla contiguità territoriale, ma spesso si tratta di reti istituzionali, come nel caso dei cinema.

Tornando alla ricerca, dopo aver esaminato le tendenze a livello macro, la fase in corso è dedicata allo studio di casi selezionati sulla base di una combinazione di fattori quantitativi e qualitativi: il numero di post, ma anche il loro contenuto, l’interazione con l’audience, la loro collocazione territoriale e l’offerta culturale. L’analisi di sfondo ottenuta grazie alla gestione dei big data ha permesso di dare un contesto ai casi studio, comprendendone meglio il contesto e il campo d’azione. Sono stati identificati così alcuni casi studio sui quali procedere con un’analisi approfondita che prevede un’accurata etnografia digitale seguita da interviste, osservazione e analisi del materiale prodotto. Il gruppo di ricercatrici e ricercatori ha scelto di approfondire la produzione culturale di un territorio specifico, con la possibilità di considerare il contesto politico, sociale ed economico, il comportamento delle élite culturali e la risposta dei fruitori. La scelta è caduta su sei casi a Milano e tre tra Bergamo e Brescia, capitali della cultura italiana 2023, trovando interessante indagare quale fosse la situazione culturale che ha preceduto questo riconoscimento.

Un’altra delle attività di ricerca attualmente in corso riguarda i risultati emersi da Who’s your dealer, un questionario autosomministrato e divulgato da cheFare e Canale di Venti, creato per individuare e analizzare le attività digitali dei content creator culturali, quelle personalità o organizzazioni che imprimono un’influenza tangibile sulle abitudini culturali dei grandi pubblici. In un mondo parzialmente disintermediato, appare particolarmente rilevante tracciare una mappatura di quei soggetti che si pongono nel mondo digitale come promotori di libri, artisti, film o serie tv, musica e progetti culturali in genere.

Uno degli aspetti più interessanti riguarda da una parte la percezione che queste figure hanno avuto dello spazio digitale durante il periodo pandemico, come è cambiato, che ruolo ha avuto per loro, quale è stata la risposta degli utenti o follower, se e come è cambiata. Dall’altra il racconto degli utenti stessi: ciò che è emerso dalle persone che hanno risposto al questionario, in media già molto abituate ad abitare lo spazio digitale, è che i cambiamenti causati dalla pandemia non sono stati così radicali. Le loro abitudini si sono mantenute in linea con dei comportamenti medi. Non c’è stato un abbandono dei social network né una dipendenza eccessiva. Nemmeno la relazione che gli utenti dichiarano di avere con la cultura ha subito cambiamenti significativi. Dal momento che tutti gli eventi si svolgevano online e non c’era la possibilità di passeggiare per le strade e vedere i manifesti, che ancora rappresentano un canale importante per informarsi sugli eventi culturali, l’informazione mediata da personaggi attivi sui social network è stata significativa, ma non travolgente.

Oltre ai content creator culturali, tra i profili che Streaming culture si propone di approfondire ci saranno anche alcuni policy-maker, con l’obbiettivo di comprendere il ruolo delle politiche, avere un quadro più chiaro di quello che è successo e ascoltare l’opinione dei decisori politici rispetto al processo di comunicazione e produzione digitale della cultura, indagando le modalità con le quali la politica si muove nello spazio digitale.

L’interesse di un progetto di ricerca quale Streaming Culture risiede nel tentativo di fotografare le conseguenze di uno shock esogeno sulla produzione culturale e la sua fruizione da parte dei cittadini integrando approcci diversi: dalla sociologia del territorio all’analisi dei big-data, dalla ricerca qualitativa all’osservazione dei macro-trend, contribuendo alla costruzione di conoscenze sui nuovi schemi di produzione e consumo di cultura nel digitale.

Di certo fondamentale è anche la volontà di rendere pubbliche una serie di informazioni che, in dialogo con i decisori politici, possono contribuire a rendere la cultura più accessibile e rafforzarne la natura democratica e trasversale. In un tempo ancora relativamente vicino allo scoppio della pandemia, giungere a conclusioni definitive con pretesa di esaustività sarebbe azzardato. Ma i primi risultati di Streaming Culture, la cui ricerca è ancora in corso, sembrano attestarsi come ottimi strumenti per costruire il futuro della produzione culturale di un territorio, facendo attenzione a ciò che è accaduto nel passato recente. “Fuori dall’hype”, ma del tutto in tempo.

 

Immagine di copertina di András Gal su Unsplash