LaRu, la rigenerazione urbana inclusiva e partecipata

Nei quasi due anni che ci separano dal mondo pre-pandemico, con tutto ciò che comportano in quanto a nuove percezioni e modi inediti di vivere lo spazio e i rapporti umani, una delle dimensioni su cui ci siamo trovati forse più spesso a riflettere è quello che riguarda le città e più in generale i luoghi che ospitano la nostra vita. Nello stallo obbligato che ci ha precluso la socialità, insieme ad una fruizione viva e libera degli spazi comuni, la città è riemersa finalmente come domanda, portandoci a rimpiangerla e al contempo a ripensarla, individuandone forze e debolezze e, più di tutto, nuovi modelli. Quanto sono sostenibili le nostre città? In che misura rispondono ai nostri bisogni? Quanto ci sono ostili?  Quanto ancora potranno ospitare un turismo affamato e fagocitante? Quanto ancora potranno essere asservite ad un continuo marketing di se stesse, senza tenere fede alle promesse che fanno? Le nostre città sono luoghi inclusivi in cui gli abitanti più fragili si sentono parte di una comunità e di un luogo in cui esprimersi e interagire?

A queste domande ha efficacemente risposto LaRu, il progetto di rigenerazione urbana di cultura e promozione territoriale promosso dall’associazione no profit Kallipolis, che da anni si occupa di sviluppare progetti urbani innovativi che prevedono la partecipazione attiva delle comunità locali e supportano gli enti pubblici nell’attuazione di politiche strategiche per lo sviluppo sostenibile del territorio. La vocazione di Kallipolis è mossa da valori di equità, collaborazione tra le diverse componenti sociali e trasparenza per ciò che riguarda i processi e gli scopi. Da queste premesse nasce il progetto finanziato dalla regione autonoma Friuli Venezia Giulia e nella sua quinta edizione anche dalla Fondazione Pietro Pittini che, all’ideazione fa seguire un’azione partecipata con il diretto coinvolgimento dei cittadini in collaborazione con city-maker e istituzioni.

L’ultima edizione ha come focus i temi di cultura e turismo. In primo luogo si è portata avanti una ricerca comparata su sei località del Friuli Venezia Giulia con lo scopo di approfondire gli approcci innovativi di fruizione e produzione culturale-artistica. Lo scopo è la valorizzazione del territorio regionale conciliando le pratiche d’uso degli abitanti con variabili esogene potenzialmente destabilizzanti come il turismo.

Per fare ciò, LaRU si è proposto di fuggire luoghi comuni e stereotipi che corrono il rischio di condurre a operazioni brandizzate poco inclini a mettere al centro gli abitanti e il loro benessere in senso lato. Il progetto privilegia al contrario un approccio umano e condiviso, dove attori sociali diversi sono chiamati ad esprimere la propria visione di città e la propria esperienza degli spazi comuni, tanto reali quanto immaginati, per la creazione di città future sostenibili e inclusive. Sono così emersi “luoghi segreti” di enorme valore: il bagno La Lanterna di Trieste, il quartiere Piazzutta a Gorizia, i bastioni della città fortezza di Palmanova, la città pasoliniana a Casarsa della Delizia, l’enogastronomia a San Pietro al Natisone e la città alpina a Tolmezzo.

LaRU ha come obiettivo principale la riflessione su nuove e innovative azioni, processi, metodologie di attivazione della cittadinanza nei processi di rigenerazione urbana da innescare per la ridefinizione socio-spaziale delle zone marginali della città con il coinvolgimento degli artisti quali facilitatori tra luoghi, istituzioni e abitanti. Nasce così un modello di progetto di ricerca/azione che si basa sul processo creativo rileva-immagina-sperimenta-ripeti e nel quale la rigenerazione urbana passa attraverso una rigenerazione della comunità.” Racconta Nadia Vedova, referente del progetto per Kallipolis.

La regista Caterina Erica Shanta, artista LaRU di questa edizione 2020/2021, ha ideato un workshop culminato in un video collettivo. “Finestre sonore, a post-pandemic soundscape”, attraverso il mezzo artistico, ha permesso una riappropriazione sensoriale degli spazi che per lungo tempo ci è stata preclusa.

“Il progetto consiste in una performance in differita, attraverso l’uso dei cellulari. Ho dato alle persone una serie di istruzioni che le hanno portate ad esplorare la zona intorno alle proprie case, privilegiando, al posto dello sguardo, il senso dell’udito, nel tentativo di scoprire l’ambiente attraverso il suono.” spiega Shanta. “Sono partita dal presupposto che la coscienza del cambiamento è sempre qualcosa che si acquisisce a posteriori. Mentre siamo investiti da un evento drammatico a guidarci è l’istinto, la dimensione sensoriale. Ho pensato di chiedere a un gruppo eterogeneo di persone di fare uno sforzo immaginativo e di memoria, ricordando la loro prima uscita dopo la quarantena, nel momento in cui si è potuto circolare in solitaria a un raggio di 500 metri dalla propria casa. Ho chiesto quindi alle persone di tornare nello stesso luogo e di realizzare un filmato puntando il telefono nella direzione di un suono privilegiato.  Il punto era posizionare il proprio corpo all’interno di un contesto sonoro. Ho montato queste immagini seguendo il suono. Le immagini erano secondarie.”

Il risultato è un video di 18 minuti fortemente immersivo, in grado di dare tridimensionalità a spazi e sensazioni che per lungo tempo si sono appiattiti nell’immaginario su una bidimensionalità innaturale e limitante. “Trovo che la pandemia abbia reso urgenti temi che mi stavano a cuore da prima come il cambiamento climatico, la cementificazione selvaggia e il bisogno di socialità. La crisi ha solo avuto il ruolo di palesarne il peso agli occhi di tutti e questo ha generato moltissima paura. Ancor prima che un cambiamento, ha portato a provare delle emozioni estreme.”

Ed è in effetti spesso la dimensione emotiva a condizionare il nostro rapporto con gli spazi: l’opera di Shanta ha aiutato ad elaborare ed esorcizzare queste emozioni, non solo riordinando ma unendo quelle di ognuno a quelle di ogni altro, ricordando che gli spazi comuni sono il luogo dei rapporti, dove la paura, se emerge, può essere affrontata insieme.

Il lavoro di Daria Tommasi, artista invitata a guidare un laboratorio nella città di Tolmezzo, si concentra invece sui desideri che possono plasmare le città del futuro. 

“Quest’anno il tema è città sostenibili e abbiamo pensato a un laboratorio di sviluppo di comunità, coinvolgendo gli alunni dell’Istituto Solari. A settembre i ragazzi si trovavano in un momento molto particolare. Erano appena tornati dalle vacanze ma venivano da un anno di scuola che ha alternato la modalità a distanza a quella in presenza, portandoli a riflettere sull’importanza dei ruoli di aggregazione. Abbiamo portato delle immagini scattate in zona: montagne e vedute urbane, concentrandoci sugli elementi decorativi e architettonici per avere una base da cui partire. I ragazzi dovevano rielaborarli creando delle cartoline della città di Tolmezzo come se fosse una Tolmezzo del 2030, una città ideale che rispondesse alle loro aspettative, desideri ed esigenze. Alcuni hanno una visione positiva del luogo in cui vivono: sono quelli a cui piace la natura, il verde, la tranquillità. Altri invece lo soffrono come un luogo noioso che offre poche attività interessanti. Quello che auspicano è più situazioni aggregative: spesso le identificano con una discoteca, una sala giochi, un centro commerciale, ma in verità è un modo di chiamare un posto in cui relazionarsi con gli altri.”

 

Uno dei post-it compilati dai ragazzi con gli auspici per la città del futuro recita: “Va bene così, ma con una discoteca”, un altro invece riporta: “Spero che si porti avanti la cultura vecchio stile”. Ed in questo iato, che esprime le differenze proprie di un gruppo eterogeneo, che LaRU si propone di agire. Rinunciando ad imporre dall’alto un’idea di città funzionale ai bisogni di un unico attore sociale, la rigenerazione prende le mosse dall’ascolto, in un’ottica avvolgente dell’esperienza comunitaria, che non escluda nessuno.

“È fondamentale che non siano solo lavoro e famiglia a legarci al territorio, ma anche la socialità. I rapporti sono ciò che rende un territorio fertile e ricco.” continua Tommasi.

Nell’impegno a colmare vuoti non solo fisici e architettonici, ma in primo luogo relazionali e sociali, si misura l’efficacia dei progetti di rigenerazione urbana: la rigenerazione avviene quando la comunità si riconosce nel luogo in cui vive perché è la protagonista del suo cambiamento.