Il futuro delle aree interne è nella rete di città di Green Cities

Il momento storico che stiamo vivendo, una pandemia incontrollata che si è riversata su scala mondiale, gli impatti sulla salute, le restrizioni e le ripercussioni che ne sono conseguite, ci ha sicuramente portato a rivalutare e mettere in discussione alcuni pilastri fondativi della società contemporanea, sui quali fino a qualche mese fa ci sembrava impossibile discutere. In maniera dirompente sono emersi dei bisogni che forse prima erano solo latenti e che tendevamo a trascurare, presi da una vita frenetica.

Di colpo ci siamo dovuti fermare e ritirare per lungo tempo all’interno delle nostre case, che abbiamo scoperto non sempre rispondenti ai nostri desideri. D’improvviso i balconi e le finestre di queste case erano diventati l’unica proiezione di quella vita pubblica. In quel momento abbiamo riscoperto di sentire il bisogno di stare insieme, la necessità dello spazio pubblico e degli spazi per la socialità. Nei vuoti lasciati nelle nostre città abbiamo visto una natura si prendeva i suoi spazi, animali selvatici giro per le strade e con stupore abbiamo apprezzato la bellezza di mari, fiumi, laghi limpidi e cieli azzurri.

Pubblichiamo un estratto da Aree interne e covid  un volume a cura di Nicolò Fenu pubblicato da Lettera Ventidue

 

Tutte le cose che la città ha negato ai suoi abitanti, sono diventate importanti in cinquanta giorni di lockdown, respirare aria pulita, conoscersi e aiutarsi gli con gli altri e stare bene insieme. La città come l’abbiamo sempre vissuta ha iniziato rappresentare il luogo del pericolo, della disuguaglianza e della solitudine, oltre che dell’inquinamento.

Oggi la grande maggioranza della popolazione del nostro pianeta vive nelle città, e noi architetti negli ultimi anni abbiamo creduto nel futuro delle metropoli coltivandole come un sogno, ma oggi con i problemi legati alla pandemia, hanno iniziato a rivelarsi un incubo. Probabilmente la crisi della metropoli era già alle porte, le condizioni di vita di una buona parte della popolazione di grandi metropoli come ad esempio Shanghai o Città del Messico erano pessime ancora ben prima della pandemia.

Tutto questo però non vuol dire che le città sono finite, ma semplicemente dobbiamo cercare di capire di che tipi di spazi e servizi abbiamo bisogno per vivere bene nelle nostre città e nel rapporto città consolidata, città contemporanea, campagna e centri minori. Vale allora la pena di cogliere quest’occasione per fare una vera transazione all’era ecologica e chiederci quale futuro vogliamo per le nostre città, quale modello urbano vogliamo “inseguire” per una città ecologica.

E ancora come vogliamo i luoghi per l’abitare, i nostri spazi pubblici, i servizi di prossimità come scuole, ospedali, i musei, i sistemi di mobilità pubblica e privata.

In Italia abbiamo voluto tanto inseguire il modello della metropoli, che oggi più che mai si sta rivelando insostenibile, quando poi se ci pensiamo, le metropoli non le abbiamo mai avute, abbiamo città grandi, ma il nostro modello urbano è diverso.

Parliamo di green cities e smart cities, senza pensare che le nostre città in venti minuti si attraversano e tra due città vicine in mezzo c’è il “green”. Scopriamo in questo modo che l’Italia è fatta di una grande rete di centri urbani grandi, medi e piccoli molto prossimi, una potenziale grande rete di “Green Cities” Proprio a questo tema, che oggi sembra uscito alla ribalta in risposta al problema del post COVID-19, ma che meriterebbe riflessioni molto più complesse, noi abbiamo dedicato con “Arcipelago Italia” il Padiglione Italia alla Biennale 2018.

È in quell’occasione che abbiamo voluto rimettere al centro del dibattito architettonico quei territori “lontani dalle grandi aree urbane ma detentori di un patrimonio culturale inestimabile” in un mondo come quello dell’architettura dominato dai “gesti” spettacolari che si traducono in grandi edifici.

Un Arcipelago che è “l’altro spazio”, non è città metropolitana non è più periferia è quello spazio che rappresenta il 60% del paese che sono le aree interne. Abbiamo voluto fare un viaggio per lanciare un messaggio ma anche per raccontare un modello italiano, che è quello della prossimità. Noi non abbiamo le città metropolitane come hanno gli altri paesi del mondo, perché la prossimità di tante città costituisce di fatto una rete di città.

Il tema della mobilità è uno tra i tanti grandi interrogativi per questi territori, per questo abbiamo bisogno di capire come funziona una rete anche a bassa velocità, che permetta di raggiungere questi luoghi anche attraverso nuove modalità. Abbiamo per lungo tempo discusso di sostenibilità e di bellezza, e poi questi luoghi custodi del DNA del Paese, talvolta trascurati e vissuti da solo un quarto della popolazione, sono conservatori di saperi e di economie ritornate in auge, sostenitori della sostenibilità, protettori delle campagne coltivate, ovunque con fatica, ma con preziosi risultati. Sono luoghi dove il tema dell’ecologia non si pone, perché sono loro stessi rappresentazione di un ecosistema a noi sfuggito.

Dopo cinquant’anni di periferia ci poniamo la questione di come mettere in ordine questo problema, quando proprio lì abbiamo una lezione straordinaria che ci ha spiegato per mille anni come si fa lo spazio. Solo oggi a seguito della pandemia si parla di andare a vivere nei borghi, ma sappiamo bene la questione è molto più complessa di quello che appare, perché c’è tanta bellezza ma anche tanta marginalità e carenza di presidio e di servizi essenziali, come servizi per l’educazione, servizi sanitari etc., per questo ci vuole una visione progettuale, altrimenti resta solo poesia.

Servono le infrastrutture, prima di tutto telematiche, perché lo smart working si fa solo con la banda larga, le colonnine elettriche per le macchine ecologiche. Scuole nuove che siano anche luoghi di aggregazione per le intere comunità, case adatte alle esigenze contemporanee e future. Così le aree interne possono vincere la partita dei servizi di prossimità, ma è una la strategia di cambiamento che passa necessariamente anche attraverso l’architettura, perché bisogna costruire dei luoghi della contemporaneità.

Se si pensa ad esempio all’esperimento visionario degli anni Novanta del primo borgo telematico, Colletta di Castelbianco realizzato da Giancarlo De Carlo, un luogo remoto ma connesso con tutto il mondo, dove persone provenienti da Australia, Argentina, Gran Bretagna etc., si sono rifugiate a vivere e lavorare da remoto in nome di un una vita lontana dalla frenesia della grande metropoli.

Fino a due mesi fa, nella nostra concezione di abitanti di città, New York era più vicina di Gubbio, nel senso che era più facile raggiungerla. Le Hawaii erano più accessibili di Orgosolo, adesso un piccolissimo virus ha portato un cambiamento radicale. Scopriremo nei prossimi mesi i territori di prossimità, perché faremo più fatica a muoverci. Vedremo luoghi bellissimi, ma molto più vicini custodi della più grande cultura d’occidente che adesso dobbiamo valorizzare.

I territori interni possono avere un grande riscatto, adesso che abbiamo capito che con l’aria pulita si vive meglio, ma bisogna considerare che da lì a trasferirci tutti nei borghi il passo è enorme. I piccoli borghi non possono essere il rifugio di cittadini che fuggono spaventati dal COVID-19, i milanesi non andranno in massa a vivere a Urbino.

Qui il vero tema che è il grande punto di forza da valorizzare e ripensare nei i piccoli centri delle aree interne, ma che può diventare un modello per i quartieri periferici delle nostre città più grandi, è proprio quello della prossimità, della rete dei servizi di comunità, di quella “città dei quindici minuti” che si sta sperimentando a Parigi, ma che se ci pensiamo è un modello che potenzialmente noi abbiamo già ad esempio nelle nostre città medie.

I nostri territori interni quindi sicuramente possono diventare oggetto di una strategia nazionale, ma ancora di più dare lo spunto per progettare un modello di città ecologica per le aree urbane più grandi, dando vita così alla più grande Green Cities costituita dalla rete diffusa e policentrica di città del nostro paese.