Come drammatizzare il reale senza che il reale se ne accorga? Come costruire una drammaturgia di eventi che dialoghi con quello che c’è e che ad esso si sovrapponga delicatamente, senza dichiarare la propria presenza? Così da poter aprire squarci di possibile, di eventuale, di fortuito, di desiderato o dimenticato in un luogo attraversato quotidianamente e distrattamente da una cittadinanza?
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