I paesi si salvano con gli occhi. Prima bisogna guardarli, come un uomo giovane guarda una donna bellissima. Poi viene il resto: accogliere i turisti, coltivare, allevare, curare gli infermi, educare i bambini al paesaggio. Stare in un paese è camminare all’aperto, è vedere le cose e le persone che stanno fuori. Salutare un vecchio non è gentilezza, è un progetto di sviluppo locale.
Cari ragazzi, ora ci vorrebbe un ’68 delle montagne. Tornate qui. Voi qui potete accendere la vita. Tornate. Aprite queste porte chiuse, prendetevi queste terre abbandonate. I paesi non li possono salvare quelli conficcati dentro e neppure quelli che stanno lontano. Ci vuole, per salvare i paesi, un nuovo tipo di abitante, qualcuno che viene e che va, distanza e intimità.
Franco Arminio ha letto per Report alcune sue parole sul futuro dei piccoli comuni, queste.
Chi salverà i borghi? Si chiede la trasmissione in onda il lunedì su Rai 3. Ognuno a modo suo prova a rispondere a questa domanda. E noi a giugno del 2019 abbiamo chiesto al poeta e paesologo come – non chi – avrebbe potuto salvare i paesi. A quel tempo la pandemia non aveva ancora acceso i suoi drammatici riflettori sui luoghi interni, mentre oggi ci sembra di doverli addirittura difendere, dalla retorica e dallo sciacallaggio. In ogni caso, Arminio ci rispondeva così: «Li salviamo con un paniere di azioni che riguardano prima di tutto l’agricoltura e il potenziamento dei servizi – strade, scuole, trasporti – poi serve un grande piano per il lavoro che interessi tutto il Mezzogiorno ed è quello che manca nell’agenda politica attuale. Un paesologo può anche divertirsi ad andare in giro per i paesi, io ho un approccio contemplativo, malinconico che è perfetto per un poeta, ma so anche che il bar del paese non può fare dieci caffè al giorno e che troppi giovani continuano ad emigrare. C’è bisogno di lavoro e su questo continuano a non arrivare risposte».