Parco dei Paduli, la dimensione collettiva di un patrimonio

Due secoli fa, questo lembo di terra a sud-est, tra lo Ionio e l’Adriatico, era una fitta foresta di querce. Poi l’avvento degli ulivi, la creazione di un paesaggio di pietra, i muretti a secco, le cripte e i casini di caccia, la produzione di olio e, intorno, le paludi. Nasce da qui il nome con cui oggi si fa conoscere in tutta Italia, e non solo, un’esperienza d’innovazione urbana e rurale, per abitare e rigenerare un territorio abbandonato e costruire un’idea di economia alternativa e turismo sostenibile, attraverso la riscoperta e la valorizzazione del patrimonio agricolo. È il Parco dei Paduli, straordinario parco agricolo multifunzionale, candidato al Premio europeo del Paesaggio 2015.

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Un tempo si chiamava Bosco di Belvedere, un’ampia foresta attraversata dalla via istmica che collega i porti di Gallipoli e Otranto, da un lato all’altro del Salento. Oggi, il Parco dei Paduli si incunea nelle Terre di Mezzo, nel cuore della penisola stretto tra i due mari, delimitati da dieci comuni, San Cassiano, Supersano, Nociglia, Scorrano, Surano, Sanarica, Botrugno, Maglie, Muro Leccese e Giuggianello.

“Per noi, i Paduli sono stati il primo territorio dove sperimentare quello che abbiamo imparato e immaginato durante gli anni dell’università”, a parlare è Mauro Lazzari, architetto e membro del LUA, Laboratorio Urbano Aperto, giovane realtà salentina, composta da architetti, sociologi, giornalisti, nata nel 2001 proprio a San Cassiano, tra gli attori principali del progetto del parco. “Un’idea che abbiamo preso per mano fin dall’inizio e di cui continuiamo a prenderci cura”, racconta Mauro, “da più di dieci anni”.

 

Tutto inizia, infatti, nel 2003, anni di grande fermento a Sud, dove si assiste a una profonda rinascita culturale, una vera e propria riscoperta dell’identità, soprattutto attraverso la musica. Sono gli anni in cui i Sud Sound System iniziano a varcare i confini della penisola salentina e la Notte della Taranta a richiamare curiosi da tutto il mondo. “Per noi, che eravamo partiti per l’università e sognavamo da sempre di tornare, quegli anni sono stati il terreno fertile ideale per lasciar germogliare i nostri progetti”.

Il Parco dei Paduli nasce, in particolare, dalla volontà di liberarsi da una visione deterministica di trasformazione del territorio, dove un solo punto di vista, quello del tecnico o dell’esperto di turno, non propone ma impone una soluzione strategica calata dall’alto. “L’obiettivo era, ed è ancora, quello di coinvolgere la comunità, superare il consenso acritico e proporre un metodo creativo di conoscenza del territorio”, spiega Mauro, “lasciare che anche altri punti di vista si uniscano alla messa a punto di una soluzione, quello degli abitanti, dei sociologi, degli agronomi, degli urbanisti, per avere, come punto di partenza, una visione multipla”.

 

Il confronto inizia con un laboratorio di ricerca sull’identità del territorio. Primo appuntamento: la piazza principale di San Cassiano, comune di poco più di 2000 anime, 60 persone, ma non solo, anche microfoni, interviste, telecamere, emittenti televisive locali. Pur nella diffidenza generale, il laboratorio comincia con sole tre regole: attinenza al tema, ricerca da perseguire insieme agli abitanti, obbligo di lasciare alla comunità la produzione finale del laboratorio. “Per esporre i risultati del primo laboratorio, scegliamo le stanze de nanti”, continua Mauro. Le “stanze davanti” sono i soggiorni, la prima stanza della casa nelle abitazioni più antiche, quelle che si affacciano sule viuzze dei centri storici, riparate solo da una tendina durante le giornate più calde. “Qui abbiamo presentato i nostri lavori, le ricerche, perché diventassero parte della vita quotidiana degli abitanti”. Da qui inizia la nuova vita di un campo d’ulivi, dove agli inizi del secolo scorso si produceva l’olio lampante che finiva nei lampioni di tutte le capitali europee. Partivano dal porto di Gallipoli, infatti, le navi che rifornivano di carburante città lontane, come Mosca o le grandi metropoli americane, illuminate a olio salentino. Un momento d’oro per l’agricoltura nel Salento che poi si affievolisce intorno agli anni Cinquanta, quando il parco è completamente abbandonato.

Con l’adozione della legge regionale sulla rigenerazione urbana, nel 2008, la Puglia assiste a un vero e proprio risveglio, con la sperimentazione di nuove strategie di innovazione urbana, economica e sociale. Nel 2009, la Regione trasferisce l’Ufficio di Piano nel laboratorio estivo di San Cassiano ed è qui che nascono le linee guida per tutti i parchi agricoli regionali, un piano paesaggistico sottoscritto anche dal Ministero della Cultura. Nel 2011 il parco taglia il suo primo traguardo importante: le ricerche condotte negli anni passati si organizzano in un vero e proprio Programma Integrato di Rigenerazione Urbana, dal titolo evocativo, “Terre dei Paduli, tra ulivi pietre e icone”. Si stringe un protocollo d’intesa tra la Regione, i Comuni e per la prima volta un’associazione culturale, il Lua, la cui funzione è coordinare i dieci comuni nell’utilizzo del parco agricolo multifunzionale. Il progetto vince un importante bando della Regione Puglia e, con i primi fondi europei, pari a 6 milioni di euro, si decide insieme di riqualificare i centri urbani ma soprattutto investire sul recupero delle strade poderali, per favorire l’interconnessione tra i comuni affacciati sul parco.

 

“Cerchiamo di rivalutare il prodotto agricolo e renderlo competitivo sul mercato attraverso il suo plusvalore”, continua Mauro, “di promuoverlo non solo per la sua qualità, ma per la sua capacità di farsi veicolo di conoscenza del territorio”. Comunicare i Paduli attraverso i propri prodotti agricoli. E tutto comincia dagli ulivi: “abbiamo definito un insieme fisico, comprendente il parco, i centri urbani, la rete di interconnessione delle strade poderali; poi abbiamo convinto i comuni ad acquistare l’uliveto e la casa agricola al suo interno, che abbiamo recuperato rendendola autosufficiente, in grado di produrre energia e acqua calda”. L’uliveto diventa un terreno di sperimentazione e, grazie al bando di Bollenti Spiriti, debutta il primo laboratorio, Abitare i Paduli: “avevamo già costruito una sorta di infrastruttura mentale del parco, ora serviva indicare un esempio di gestione di un bene agricolo di 5500 ettari”. Con l’aiuto di cinque associazioni locali, sono partiti cinque laboratori, sulla mobilità lenta, uno l’agricoltura, la gastronomia, i percorsi culturali e l’ospitalità diffusa.

Con Abitare i Paduli, il Parco attraversa i tre momenti fondanti della sua avventura: il primo è stato il progetto Lampa, con la gestione di 500 alberi di ulivo secolari e la produzione di un olio di altissima qualità, chiamato Terra dei Paduli. L’elemento produttivo si lega a quello culturale, con la nascita del coro dei Paduli e la ricerca filologica sugli antichi canti agricoli delle raccoglitrici, ma non solo, attraverso una riscoperta di tutto un bacino di storie legate alla produzione dell’olio e il recupero di luoghi legati all’attività agricola, come chiese rupestri e frantoi. Da qui nasce anche “Storie Lampanti”, il libro che raccoglie 15 storie dei Paduli e illustra il parco nella sua dimensione produttiva, ma anche attraverso quella contemplativa, che inizia quando finisce la stagione del lavoro dei campi: “il racconto è un’arma di valorizzazione del territorio”.

 

 

Il secondo momento è stato Nidificare i Paduli, con la progettazione di abitazioni sostenibili all’interno del parco. Oggi, arrivato alla sua terza edizione, il laboratorio propone un concorso internazionale per l’ideazione e la costruzione di un rifugio per il futuro albergo biodegradabile del parco, riutilizzando i rifiuti agricoli e le risorse esistenti, come canne, paglia, terra, e lavorando sulla morfologia dei luoghi. “Le abitazioni costruite finora, oltre ad essere perfettamente funzionali e autosufficienti, hanno un fortissimo impatto estetico”, commenta Mauro, “vogliamo che l’arte giochi soprattutto un ruolo legato alla costruzione di relazioni, diventi un viatico per la creazione di un nuovo tipo di economia”. I nidi sono inseriti all’interno di un pacchetto turistico, che comprende un itinerario in bici, un aperitivo a km 0, la possibilità di passare la notte in un bosco di ulivi. “L’obiettivo è anche quello di incrementare un turismo non solo legato al mare, nel periodo di maggiore aggressività delle coste, un’idea di viaggio alternativa che si rivolge a viaggiatori che amano il turismo sostenibile, si muovono in bicicletta, vivono con il minimo indispensabile”. Oltre a questi rifugi, ci sono poi una casetta, una foresteria e una casa del cicloturista, per chi ha bisogno solo di fermarsi per una notte.

 

Dopo aver raccontato la storia ed esplorato le potenzialità dello spazio, i Paduli diventano anche immaginario, con il terzo momento del progetto, Creature dei Paduli. Il parco si muta in luogo della fantasia, popolato di maschere, fiabe, miti. “Siamo partiti da un’antica favola otrantina e insieme ai bambini abbiamo costruito il mostro Niodemo”, racconta Mauro, “che da lontano incute paura e da vicino fa ridere, un mostro che protegge i paduli”. Ogni personaggio è poi associato a una storia, a una creatura, ad una pianta e ogni fiaba è geolocalizzata all’interno del parco: è come se queste creature vivessero nei paduli e si moltiplicassero.

“Sono i ragazzi che pensavano di non tornare più, soprattutto per raccogliere le olive, il vero motore del progetto”, commenta Mauro, “è grazie a loro che l’attività di un’associazione culturale sta diventando, giorno dopo giorno, impresa e occasione di economia alternativa”. Oggi i Paduli vendono il loro olio, propongono un diverso tipo di turismo, offrono itinerari nelle campagne, creano contesti di profitto sfruttando solo una parte delle infinite potenzialità del luogo. “L’obiettivo è raggiungere la completa sostenibilità”, continua, “lavorando sul coinvolgimento della comunità”. Dopo un momento iniziale di timidezza, sono gli abitanti dei Paduli la vera massa critica oggi: “noi del Lua abbiamo operato in modo tale da aggiungere quante più variabili possibili e avere un punto di vista completo e sfaccettato sul contesto, per fornire una soluzione che sia decisa insieme, e siamo sempre pronti a cambiare rotta”.

 

Oggi le storie dei Paduli, le esperienze intime di ciascuno, i ricordi, sono diventati patrimonio di tutti, dimensione collettiva: “è stato costruito uno spazio di dialogo e discussione in cui tutti si sentono in diritto di dire la propria, perché non vi è alcuna concezione piramidale e ogni punto di vista ha la stessa dignità”, continua Mauro, “questa anarchia è stata scambiata per mancanza di organizzazione all’inizio, ma è nella ricerca delle soluzioni attraverso la casualità che sono venute fuori le idee migliori”. E l’obiettivo primario è stato proprio quello di sviluppare una consapevolezza del luogo: “i Paduli sono sempre stati qui, non abbiamo inventato nulla di nuovo, ma oggi abbiamo la percezione di avere imparato a viverli, che i Paduli siano un luogo a cui finalmente tornare”.

L’ambizione del parco è diventare il primo grande centro culturale agricolo in Europa, legato alla dimensione rurale. “Andiamo in una direzione in cui non è necessario costruire dal nulla, ma potenziare quello che già c’è, renderlo accessibile, vivo, attivo”. In un’epoca in cui amministrazioni e giunte si magnificano attraverso grandi opere e infrastrutture, la nuova architettura illuminata investe sul patrimonio immateriale: “il parco è un museo aperto, non ha bisogno di edifici, energia, manutenzione, ma di una connessione attiva per permettere ai visitatori di accedere a un database di storie e visitare il parco in autonomia”, conclude Mauro, “abbiamo bisogno di risorse umane, di fiducia e di continuare la ricerca: finché continueremo a sperimentare, i Paduli vivranno”.

 

Foto di Joel Holland su Unsplash