Esprimere i territori, la sfida di Gabriel Zuchtriegel per trasformare i musei archeologici

I nuovi centri culturali e le istituzioni culturali tradizionali sembrano lontani anni luce; eppure ci sono contaminazioni teoriche e scambi di pratiche che lentamente disegnano da un lato traiettorie evolutive comuni, dall’altro specificità utili a ribadire il senso e la necessità di questa composita infrastruttura culturale a partire dalle comunità di riferimento.

Da questa prospettiva abbiamo intervistato Gabriel Zuchtriegel, ex-direttore del Parco Archeologico di Paestum e Velia, neo-direttore del Parco Archeologico di Pompei. Gli abbiamo chiesto di raccontarci il lavoro iniziato a Paestum nel 2015, cosa vuol dire innovare in campo archeologico e museale, cosa vuol dire farlo al Sud, qual è il ruolo e la responsabilità di una istituzione culturale oggi.

Qual è l’idea di parco archeologico che sta cercando di realizzare

Gabriel Zuchtriegel: siamo impegnati a cercare di passare da un modello di museo a cielo aperto ottocentesco ad una visione dei luoghi della cultura come centri culturali, punti di riferimento innanzi tutto per il territorio e poi anche per il turismo. Ora, durante e dopo questa crisi sanitaria, diventerà ancor più necessario andare in questa direzione.

Il museo nasce come istituzione pubblica nell’800, un periodo in cui la borghesia è in forte ascesa, le collezioni principesche via via diventano pubbliche, il pubblico di riferimento sono le élite. Ancora oggi si percepisce questo retaggio nel linguaggio dei luoghi della cultura, molti dei quali si rivolgono ad un pubblico colto.

La sfida che abbiamo davanti a noi è abbandonare questo modello che vede il museo come luogo di turismo o tappa del gran tour; ancora oggi sembra che siamo qui per i turisti, a maggior ragione essendo il turismo diventato fenomeno di massa. Siamo invece qui come espressione di un territorio, della sua storia, siamo qui per le scuole, per le associazioni e anche per i turisti.

Questo si riflette nelle attività: nel sito archeologico facciamo didattica, ora a distanza, facciamo vedere gli scavi in corso, abbiamo fatto anche yoga. Vorremmo lavorare per creare turismo sostenibile e più lento. Non vogliamo presentare una vetrina o un vaso a qualcuno che una volta che se ne è andato non torna più, noi vogliamo diventare un servizio cosi che le persone possano tornare. Questo rapporto con il pubblico deve diventare un dialogo e quindi è necessario far emergere la voce dei visitatori, rendere trasparente il processo e non spiegare unilateralmente comunicando una presunta verità storica.

Qui a Paestum l’approccio dell’archeologia pubblica si sta evolvendo verso un concetto di archeologia circolare, termine mutuato dall’economia circolare. Archeologia pubblica è un concetto già radicato che prevede la partecipazione del pubblico anche nelle attività di studio e restauro, perché solo cosi possiamo spiegare alle persone perché vale la pena analizzare, studiare, indagare il patrimonio archeologico. Questo concetto di archeologia pubblica e poi circolare implica anche tenere in considerazione la sostenibilità ambientale e gli impatti sulla comunità locale.

La sfida che abbiamo davanti a noi è abbandonare questo modello che vede il museo come luogo di turismo o tappa del grand tour.

Lei ha toccato molti aspetti, iniziamo da quest’ultimo: cosa vuol dire rendere trasparente il processo?

Gabriel Zuchtriegel: ad esempio far vedere che cosa stiamo facendo qui, come cambia nel tempo la nostra percezione e la nostra conoscenza del mondo antico, come funziona uno scavo archeologico e quindi come arriviamo a quella situazione che poi alla fine esponiamo.

Può fare un esempio?

Gabriel Zuchtriegel: davanti casa mia trovo un cantiere che blocca tutto per mesi perché ci sono i maledetti archeologi che hanno trovato qualcosa, ma nessuno sa cosa e d è tutto fermo. Il nostro compito come museo e parco archeologico è spiegare che questi lavori non sono solo un disagio ma un valore. Il valore però deve essere comunicato per essere riconosciuto perché non è qualcosa che esiste a prescindere, un valore ha bisogno di essere riconosciuto dalla società e noi abbiamo bisogno di impegnarci affinché questo avvenga.

In che modo si modifica il rapporto con il territorio?

Gabriel Zuchtriegel: faccio un esempio rispetto ai servizi aggiuntivi. Stiamo cercando di superare un modello affermatosi negli anni Novanta con la legge Ronchey che ha dato una spinta verso il coinvolgimento dei privati. All’epoca aveva una sua logica, poi abbiamo visto nel corso degli anni che di fatto in Italia ci sono poche società che di fatto gestiscono le concessioni dentro le quali c’è tutto la biglietteria, il bookshop, le audio-guide, la didattica, le mostre. Impostato così solo una grande società può partecipare e vincere una gara di questo tipo, si è creato un numero molto ridotto di operatori in grado di entrare in questo gioco.

Noi abbiamo scorporato la didattica da questo discorso e l’abbiamo aperta alle associazioni, alle guide, alle realtà locali che hanno una conoscenza approfondita del territorio. Ad esempio abbiamo un progetto per famiglie con bambini autistici gestito da una associazione del Cilento e abbiamo una grande diversità che ci permette di valorizzare le competenze a disposizione sul territorio.

Questo è un esempio di circolarità e di dialogo con le persone del luogo e c’è molto da fare in questa direzione. Vorremmo che Paestum fosse parte della scoperta di un territorio circoscritto e ricco di elementi da conoscere, per un turismo che punta a prolungare il tempo di permanenza delle persone per amplificare non solo l’impatto economico ma anche culturale, creando un tipo di interazione con il territorio sostenibile, basato sull’ospitalità diffusa, a basso impatto ambientale e lontano dal turismo mordi e fuggi.

Lei ha parlato di come sta cambiando la relazione con i pubblici, come si far tornare le persone? 

Gabriel Zuchtriegel: Non con le mostre. Ovviamente anche noi facciamo mostre prevalentemente con materiali nostri, ma la grande mostra è anche questo un modello del passato, superato sia dal punto di vista scientifico che della fruizione. Le mostre erano occasione di confronto scientifico, oggi molto viaggia sulla rete. E se in passato aveva senso raggruppare elementi che arrivavano da città diverse, oggi non più. Non ho una posizione rigida contro le mostre, ma quel movimento frenetico di opere e prestiti non è il futuro dell’archeologia, il futuro è l’evoluzione dell’archeologia pubblica e quindi tornare a visitare il sito perché qui sono in corso scavi, progetti, restauri e si può vedere sempre qualcosa di nuovo. A questo si affiancano le iniziative: visite guidate, laboratori per bambini, presentazioni di libri, congressi, c’è un programma culturale e questo è fondamentale per passare dal consumatore culturale che viene una volta e consuma l’esperienza turistica all’abbonato.

Noi abbiamo fatto yoga nel parco perché ce lo hanno chiesto soggetti che sono sul territorio. Il nostro compito non è definire, questa la ritengo una cosa del passato. Il fatto che il ministero dei beni culturali gestisce il sito non vuol dire che definiamo l’identità di Paestum, fino a poco fa un luogo dell’archeologia con un po’ di arte contemporanea. È chiaro che dobbiamo seguire l’attività di tutela e conservazione, ma se un’associazione viene e dice vorremmo fare lo yoga nell’area archeologica, chi siamo per dire di no? Se non ci sono problemi di sicurezza e fruizione, dobbiamo dire di si.

Per lo stesso motivo abbiamo fatto un abbonamento che costa poco più del biglietto di ingresso singolo perché vogliamo comunicare anche attraverso il prezzo. Se torni come visitatore per noi non sei un costo ma un arricchimento. Perché se le persone tornano è perché hanno stabilito una relazione, questo è il valore che diventa anche valore economico.

Più in generale, la crisi sanitaria sta dimostrando di dover abbandonare un modello finanziario di gestione in cui il bilancio è fatto dai biglietti venduti e basta. Dobbiamo trovare altre fonti di finanziamento, da un lato spingerci verso i servizi a bassa soglia economica come un abbonamento, e poi trovare anche altre modalità come le donazioni e le sponsorizzazioni. Noi siamo al Sud, da questo punto di vista un territorio completamente staccato dal resto di Italia, se guardiamo per esempio all’ art bonus la differenza tra Italia del Nord e del Sud è abissale. Nonostante ciò abbiamo raggiunto risultati molto positivi la maggior parte di donatori e sponsor vengono dal territorio, si identificano con noi e ci supportano economicamente.

Che tipo di linguaggio per comunicare la complessità, l’importanza e l’utilità del vostro lavoro ad un pubblico più ampio possibile?

Gabriel Zuchtriegel: prima di porsi il problema del linguaggio bisogna cambiare radicalmente l’approccio. In Italia il cantiere, lo scavo archeologico cosiddetto di emergenza o di archeologia preventiva, che non è lo scavo programmato, è sul piano normativo equiparato ad un cantiere qualsiasi.

Un cantiere presuppone oltre alla recensione anche una barriera visiva, ci sono degli schermi e non si vede cosa si sta facendo all’interno.  Per uno scavo archeologico questo è profondamente sbagliato perché si dà l’impressione di fare qualcosa di riservato e segreto, quella logica per cui solo alla fine saranno comunicati i risultati in un convegno scientifico e con un linguaggio che molti non sono in grado di comprendere. Bisogna aprire i cantieri, rispettando la sicurezza ovviamente. 

Chi viene a scavare nel parco archeologico, che sia una università o un istituto di ricerca, può farlo a condizione che ogni giorno ci sia un cartello di aggiornamento e ogni giorno ci sia un orario e un appuntamento in cui viene fatta una piccola visita guidata al cantiere. Viene chiesto agli archeologi di essere disponibili, di non aspettare che le persone chiedano ma di spiegare cosa sta succedendo. Questo dovrebbe avvenire in tutti i cantieri altrimenti avviene quello di cui abbiamo parlato prima a proposito delle città e della percezione dell’intralcio. Bisogna spiegare il senso del lavoro che fanno le sovraintendenze.

“Prima di porsi il problema del linguaggio bisogna cambiare radicalmente l’approccio. In Italia il cantiere, lo scavo archeologico cosiddetto di emergenza o di archeologia preventiva, che non è lo scavo programmato, è sul piano normativo equiparato ad un cantiere qualsiasi.”

Quali stimoli arrivano dal contesto internazionale?

Gabriel Zuchtriegel: come sito Unesco abbiamo la vocazione ad essere un sito mondiale e nel confronto internazionale il digitale gioca un ruolo fondamentale. Molti musei all’estero, soprattutto in ambito anglosassone, stanno già cambiando approccio. Mentre prima c’era l’esigenza quasi ossessiva di tenere le cose per se, oggi il Metropolitan Museum of Art di Londra mette in rete la sua collezione, apre gli archivi.

Noi vogliamo fare un passo in più. L’anno scorso abbiamo lanciato il nostro sistema di gestione digitale, si chiama sistema Era, dove ci sono già caricati decine di migliaia di reperti ma al tempo stesso è un GIS, cioè Geographic Information System, cioè ha dentro un database legato ad una cartografia digitale. E credo che siamo il primo sito archeologico che mette il suo GIS in rete. Vuol dire che posso cliccare sul monumento e vedere i  reperti relativi a quell’area, l’archivio, le pubblicazioni fatte in passato. Ci sono vari livelli di accessibilità ovviamente, ma una parte è fruibile da tutti.

Non ha più senso la preoccupazione sull’uso delle immagini. Cosa perdiamo? Sono a favore di chiede la revisione della legge che regolamenta l’uso delle immagini dei beni culturali. La diffusione massiccia di immagini non è più controllabile. Noi incoraggiamo a fare foto. “Fotografare è vietato” è stato spazzato via dalla tecnologia e dalle abitudini. Il tentativo di controllare la conoscenza non funziona più e anche in questo caso bisogna cambiare approccio e rivedere regole superate dallo sviluppo tecnico e culturale.

Cosa serve per valorizzare l’abbondanza di patrimoni archeologici e artistici creare un modello circolare in cui territorio, lavoro, comunità, turismo, impatti economici e ambientali dialogano efficacemente? 

Gabriel Zuchtriegel: come dimostrato negli ultimi anni, Io credo che la chiave sia l’autonomia dei musei, introdotta con la riforma Franceschini. L’autonomia economica è sicuramente importante ma non basta, serve avere anche l’autonomia gestionale e scientifica.

Nel confronto con gli enti locali il tema a cui lei fa riferimento è ampiamente dibattuto, c’è questa consapevolezza di avere da un lato ricchezza culturale e dall’altro i giovani che vanno via, e ci si interroga su come fare a offrire possibilità di lavoro qui. Ma non si può pensare di valorizzare un sito o un museo senza le competenze scientifiche e gestionali sul posto, e finché ci metto il nipote del sindaco perché è un ragazzo bravo che si impegna, non funzionerà. Bisogna spendere un minimo per chiamare qualcuno competente. In questo modo quello che si riesce a generare in termini economici supera di gran lunga quello che lo stato spende per gli stipendi.

Possiamo quindi ampliare questo modello ancora di più e si può pensare a delle formule per dare autonomia anche ai piccoli musei perché ancor più importante delle competenze è poter avere un interlocutore sul posto in grado di poter prendere decisioni con autorevolezza e credibilità, non può funzionare se ogni decisione richiede una gestione piramidale e non c’è qualcuno sul territorio che possa entrare nel merito.

Alla luce di quello che ha raccontato, quali sono i cambiamenti più difficili da realizzare e quali i risultati più incoraggianti?

Gabriel Zuchtriegel: la cosa più difficile è partire d zero: affrontare la comunicazione, la parte strutturale, la motivazione del personale, ecc. Però al tempo stesso è la cosa più bella perché vuol dire costruire molte cose dall’inizio. Quando sono arrivato a Paestum non c’era ufficio comunicazione, né sito web funzionante. Questo ci ha dato la possibilità di iniziare con piccoli passi e  vedere subito i cambiamenti, questo non vale se dirigi il museo del Louvre.

Qui abbiamo la possibilità di lavorare con un patrimonio a lungo trascurato ed è una grande potenzialità. E non è vero quello che si sente in giro che è un orientamento che sposta dalla tutela alla valorizzazione, sono due cose strettamente legate. In tutti i musei l’autonomia ha aumentato il livello di tutela perché per fare tutela servono risorse umane, finanziarie, gestionali. Il catalogo che abbiamo fatto ad esempio è una grande conquista proprio per la tutela perché qui a Paestum non c’era un catalogo delle collezioni. Abbiamo dovuto fare pulizia per ordinare e tutelare, sono due cose estremamente legate. Quel mito per cui prima si faceva tutta questa tutela e ricerca non mi sembra avere riscontro perché non c’erano le strutture gestionali per coordinare e gestire i fondi.

Per finire quando riaprirete?

Gabriel Zuchtriegel: non appena sarà possibile, siamo pronti a riaprire in sicurezza. Noi ci siamo.

Il giorno successivo all’intervista è stato emesso il DPCM che ha previsto la riapertura dei musei nelle regioni gialle dal lunedi al venerdì. Il sito Archeologico ha quindi riaperto ai sensi del DPCM del 14 gennaio 2021. Sull’homepage del sito web c’è scritto “un altro mondo è possibile”, a seguire le indicazioni per le visite.