Il terzo racconto, il naufragio urbanistico italiano

Quale sarà il destino delle grandi aree urbane? Secondo una suggestiva semplificazione, si tende a credere che i confini fisici delle grandi città tendano verso l’indefinizione: percepiamo i loro domini come continui, destinati ad erodere progressivamente aree sempre più vaste di territorio, sino a fondersi del tutto con altre grandi città. Con il precisarsi della scala di osservazione, il fenomeno si concretizza in uno stato delle cose molto diverso.

Le grandi città tendono sì verso l’estensione progressiva del loro margine e pur tuttavia, il loro territorio di cornice si connota con l’intermittenza di una geografia a placche che ricorda quella di un arcipelago. Se consideriamo le isole di questi arcipelaghi i centri medi e piccoli della prima e seconda conurbazione, ciò che prende forma è un territorio costellato di rottami, ormai caratterizzato più per l’indeterminatezza delle sue pause che per una reale vocazione ad esprimere un sistema di relazioni coerenti.

Cosa sta succedendo?

Questo fenomeno “naturale”, intanto sembra aver fagocitato due preesistenti polarità: centro e periferia provincia e capoluogo. Ci accorgiamo oggi che “le periferie” stanno perdendo identità e identificabilità: non sono più – o sono sempre meno – un insieme di “satelliti” (in cui vivono magari degli alieni, ma comunque e a loro modo riconoscibili e finanche “familiari”). Sembra ormai un tessuto indistinto e intercambiabile, della cui mutevole sostanza sociale non si fa in tempo a identificare i componenti.

Della periferia conosciuta, sopravvive nell’utilizzo del termine, una eco visibilmente “fuori luogo”.
Analogalmente, i territori prima riconoscibili come “Provincia di…”, sono stati ampiamente espugnati da una tumultuosa urbanizzazione, che ha travolto e segnato l’inadeguatezza finanche del modello amministrativo vigente. Con quali strumenti stiamo facendo fronte a questo improvviso naufragio?

In seguito alla riforma ”Delrio” legge del 7 aprile 2014, n. 56, “Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni”, dal 1 gennaio 2015 nel nostro Paese si intendono costituite 14 città metropolitane : Bari, Bologna, Genova, Firenze, Milano, Napoli, Roma, Torino, Venezia e Reggio Calabria più altre quattro individuate dalle regioni a statuto speciale: Cagliari, Catania, Messina, Palermo. Di fatto i nuovi enti amministrativi succedono, in termini di estensione territoriale e funzioni di competenza, alle corrispondenti province.

Una complessa eredità che impone con urgenza ii rinnovamento coerente degli strumenti di pianificazione territoriale generale: politiche con visione strategica, regolazione dei servizi pubblici, mobilità e viabilità, promozione dello sviluppo economico e sociale e promozione dei sistemi di informatizzazione in ambito metropolitano.

Ai sindaci di ciascuno dei capoluoghi, e in modo stringente in particolare a quelli che verranno eletti dalle prossime consultazioni amministrative, compete l’impegnativo ruolo di assumere la regia, in qualità di sindaco metropolitano, del consiglio metropolitano e della conferenza metropolitana.

La riforma, partita già in forte ritardo rispetto alla media di altri paesi dell’unione europea, risponde alla volontà delle politiche comunitarie di responsabilizzare le politiche delle grandi aree urbane in relazione a complessità di più vasta scala. Secondo questa logica si tende a riconoscere nei contesti conurbati delle grandi città, da un lato il ruolo potenziale di condensatori di rinnovate opportunità economiche di investimento, dall’altro la vocazione a diventare teatro di una riprogrammazione di visioni tali da riverberare su territori sempre più ampi, politiche propulsive e condivise di reale qualità ambientale sostenibile del paesaggio.

Considerando tuttavia che nessuna o quasi delle generiche finalità e funzioni, richiamate dalla riforma, fossero proprie del mandato amministrativo delle pre-esistenti Province, non sfugge di certo che esse richiamino alla mente più il ruolo delle Regioni, è lecito chiedersi se in questo delicato passaggio Non si stia trascurando di focalizzare professionalità e competenze necessarie a stabilire obiettivi definiti e puntuali. Siamo al guado di una “sfida” senz’altro suggestiva: va detto però che a giudicare dai due anni trascorsi dall’entrata in vigore della riforma non sembriamo ancora usciti da uno stato di generale di incertezza, sull’impatto delle funzioni e finalità del nuovo ente, ovvero sulla sua “cultura amministrativa” e sulle sue concrete possibilità di sviluppo. Difficile dunque, almeno per ora, prevedere in quali scenari ci porteranno queste scelte, certo ci si sarebbe potuto aspettare, da queste prime settimane di confronto politico una maggiore attenzione verso i contenuti culturali di un simile passaggio.

Mentre Le grandi città (e le complessità dei loro problemi) sono al centro della contesa fra i candidati, il confronto tende invece ad appiattirsi semplificandosi per luoghi comuni, complice un’informazione generalista capace di riconoscersi esclusivamente intorno al lancio cubitale di slogan stereotipati.

Intorno alle città e ai suoi reali bisogni il confronto si anima di una contesa politica in cui prevale, l’ esclusiva necessità degli schieramenti, di accreditare una mera posizione di forza sullo scenario della politica nazionale.

Anche in questo caso, così come già successo in passato, il confronto culturale fra i candidati non pare nutrirsi di quel necessario apporto critico, o di visioni politiche e contenuti capaci di orientare la contesa in maniera profonda, sostanziale a beneficio effettivo dei cittadini.

In questa prima fase della campagna elettorale dei nuovi sindaci (in attesa che maturino le contese di Roma e Napoli), Milano e Torino sembrano offrire primi spunti di riflessione.

A Milano, Beppe Sala deve necessariamente intestare il proprio programma con l’esaltazione delle ricadute dei risultati dell’Expo. Mentre a Torino, Piero Fassino, accende le macchine del vento sulla ricostruzione trionfale intorno alle ricadute post – olimpiche .

Proprio a Torino si impone, con ogni mezzo, un primo racconto, positivo e ottimista di una città che negli ultimi vent’anni, grazie anche ad una continuità amministrativa, forse unica nel Paese, e il progressivo consolidarsi di una classe dirigente pressoché incontendibile, è diventata più bella, seduttiva e per questo turistica, pronta e attrezzata per affrontare il suo destino.

E guai se altre voci provano a raccontare ciò che camminando per le strade vedono e incontrano tutti, ogni giorno: una città, che se si esclude il suo centro aulico, permane generica, per nulla seducente, povera per non dire poverissima. Ma questo, il secondo racconto, il lato grigio delle cose, nessuno vuole ascoltarlo, in fondo che noia questi brontoli e gufi. Meglio festeggiare per i vent’anni del piano Regolatore, oppure lavare Neve e Gliz con il compressore e inventarsi la notte bianca dei dieci anni dalle Olimpiadi. Meglio? Utile? Viene da chiedersi a chi?

Ma anche più grave è la totale assenza nel dibattito di voci provenienti dal mondo accademico, anche non autorevoli, punti di vista diversi, spunti di discussione. Così mentre “il viaggio continua”, a margine della strada c’è chi osserva silente, ma con cinico disicanto. Faticoso, quasi impossibile trovare reali occasioni di confronto pubblico, ormai terreno scontato della manipolazione.

Ecco, le città, tutte le città avrebbero bisogno di un terzo racconto, sano, oggettivo, fondato su dati precisi, da leggere e interpretare in modo critico e costruttivo, per il bene di tutti, secondo scienza e coscienza. L’interpretazione della geografia sociale – prima ancora che fisica – proprio di quei margini, frontiere possibili di opportunità, richiede il contributo in dialogo di competenze diverse e specifiche provenienti da tutto il repertorio delle scienze. Di queste competenze, ciascuna portatrice di strumenti interpretativi diversi, andrebbero rafforzati gli Uffici di Urbanistica di tutte le nostre grandi città.

Purtroppo, pensare che le future politiche urbane possano nutrirsi di una stagione di coraggiose sperimentazioni, rivolte ad una ricostruzione delle condizioni di sostenibilità ambientale del paesaggio, non sembra davvero una convinzione in cui si possa confidare.

Quando oggi è già difficile pensare che della grande città, possa essere pronunciabile (e accolto) un racconto terzo di sé.