Globalised minds
Le città sono sistemi sociali che in tutte le loro componenti mettono in luce quanto le decisioni individuali non cadano nel vuoto, ma alimentino nel tempo fenomeni e trasformazioni sociali che sono e saranno alla base delle nostre scelte future.
Le città europee stanno attraversando un momento di forte ricomposizione nella loro struttura sociale. Alcune si stanno trasformando in contesti polarizzati, dove sempre più le classi sociali estreme si espandono a danno delle classi intermedie. In altre il processo di polarizzazione è meno marcato ma sono i diversi ceti sociali a farsi meno definiti caratterizzandosi per una crescente differenziazione al loro interno nei termini degli stili di vita, di consumo e delle scelte residenziali.
Nel contesto di queste trasformazioni che ruolo assumono gli esponenti del ceto medio superiore? Viaggiano tra una città e l’altra, fanno affari negli aeroporti, ma in che modo sono legati al tessuto urbano? Che ruolo giocano nel contesto politico locale?
È stato pubblicato da poche settimane il libro Globalised minds, roots in the city di Alberta Andreotti, Patrick Le Galès e Francisco Javier Moreno Fuentes: gli autori rispondono proprio a queste domande, offrendo strumenti importanti per capire in che modo la globalizzazione dell’economia e la costruzione dello spazio di libera circolazione nell’Unione Europea intervengano in modo concreto nelle vita delle nostre città. Questo saggio riesce come pochi altri a mostrare in modo preciso e accattivante come le città siano dei sistemi sociali vivi in tutte le loro componenti, mettendo in luce quanto le decisioni individuali non cadano nel vuoto ma, alimentano nel tempo fenomeni e trasformazioni sociali che sono e saranno alla base delle nostre scelte future.
Nelle principali città europee stiamo assistendo alla nascita di una classe manageriale che ha interiorizzato le premesse di un ordine sociale globale di stampo liberale che si rispecchiano nei valori e le attitudini di questo ceto nei confronti della società e della politica. I manager si vedono come una elite in grado di contribuire alla trasformazione della società. Auspicano infatti da un lato riforme economiche per un mercato del lavoro più flessibile e con un ruolo ridotto dei sindacati, più spazio e investimento per la ricerca e per l’innovazione; dall’altro riforme sociali nel campo educativo e del welfare state che rendano il secondo più efficiente, attraverso anche una sua riorganizzazione che veda un maggior coinvolgimento della società civile, e il primo più flessibile e aperto alle esigenze di un’economia in rapida trasformazione. Gli elementi comuni a tutti i contesti nazionali e urbani, analizzati in modo dettagliato e sistematico nel libro, autorizzano a ipotizzare la costituzione di una classe in se che condivide gli stessi valori e la stessa posizione nel mercato del lavoro, anche non si mette in gioco in modo aperto nell’arena pubblica.
Per comprendere meglio questo fenomeno è importante guardare alla natura complessa delle identità sociali, e in particolare alla scala territoriale locale dove ogni giorno ognuno di noi vive esperienze significative, interagisce con il tessuto sociale economico, costruisce legami affettivi. Questa nuova classe sociale di manager ha sviluppato una chiara identità territoriale stratificata dove il livello nazionale ed europeo, pur avendo un ruolo significativo, non sono dimensioni centrali, mentre è forte il sentimento di appartenenza alla regione o città. In questo senso, identificarsi di volta in volta, e a seconda del contesto, con l’Europa, la nazione, la città o il proprio quartiere di appartenenza, non è segno di schizofrenia, né queste appartenenze sono per forza in antitesi tra loro, ma piuttosto sono cumulative e intrecciate.
Le scelte residenziali costituiscono uno dei modi in cui le classi più abbienti hanno trasformato i contesti urbani. Nelle città europee interi quartieri hanno, nell’arco di pochi anni, cambiato il loro volto in maniera radicale: l’intreccio tra politiche pubbliche di rigenerazione urbana e scelte residenziali individuali ha messo in moto meccanismi di mercato che allontanano i ceti meno abbienti per fare posto a gruppi sociali più facoltosi. Ma in che modo l’identità territoriale dei manager si manifesta nella scelta del quartiere in cui vivere? Al contrario di quello che si potrebbe pensare i manager europei non prendono in considerazione solo il prestigio del quartiere, la presenza di servizi pubblici di qualità e la godibilità degli spazi pubblici. Sono i legami affettivi e familiari a giocare un ruolo particolarmente importante: le scelte residenziali sono volte a garantire la vicinanza con i familiari più stretti, con gli amici più importanti e sono orientate dall’identificazione con il quartiere in si è cresciuti. Vivere il quartiere permette di sentirsi a casa propria e i ceti medi superiori non hanno problemi di massima nel mescolarsi con gli altri gruppi sociali, a patto che siano loro a decidere quando, come e in merito a che aspetto della propria vita sociale farlo.
Il forte radicamento territoriale e l’intensa vita sociale non si accompagna però ad un’altrettanto intensa partecipazione nell’arena pubblica locale o nazionale. Si vive il territorio in modo individuale e privatizzato, la partecipazione associativa è limitata e inferiore alla media sia a livello nazionale che a livello transnazionale. Non si instaurano molti legami neanche con le associazioni di quartiere. Se dal punto di vista spaziale manifestano un forte legame con il territorio, sia esso socialmente omogeneo o meno, i manager prediligono nelle relazioni i propri “pari”: le loro reti vedono difficilmente la presenza di individui di ceti sociali inferiori e sono per lo più costituite da relazioni di lungo periodo instaurate nei primi anni di scuola oppure di università. Tuttavia non immaginano di vivere in comunità separate, si sentono a casa propria quando vivono il quartiere e non hanno problemi di massima nel mescolarsi con i ceti inferiori. A patto che siano loro a decidere quando, come e in merito a che aspetto vita sociale farlo. Questo gioco a cavallo tra distanza e prossimità sociale garantisce loro di relazionarsi in modo aperto alla città e di godere delle sue opportunità culturali, economiche, educative pur conservando una cerchia di relazioni dense e, se vogliamo, autoreferenziale.
Due ipotesi sono prese in considerazione per spiegare questi atteggiamenti. La prima si inscrive nella possibilità di un ritiro dalla società locale e nazionale, ma per essere vera si dovrebbe registrare anche un disinteresse nei confronti dei servizi pubblici locali che invece sono fonte di interesse perché rientrano nel processo decisionale per la scelta del luogo di residenza così come per la costruzione strategica del percorso educativo dei figli. La seconda guarda alla possibile mancanza di tempo dovuta al lavoro, ma nei fatti molte risorse personali sono investite per alimentare e tenere vivi i legami personali e familiari. Dunque si tratta piuttosto di un’attività di selezione consapevole in cui si privilegiano i network amicali e i legami affettivi.