Nello sciame. Visioni del digitale

Nella Psicologia delle folle (1895) lo psicologo delle masse Gustave Le Bon definisce l’epoca moderna come l’“età delle folle”. Essa costituirebbe uno di quei momenti critici in cui il pensiero umano sarebbe in procinto di trasformarsi. Il presente sarebbe un “periodo di passaggio e di anarchia”. La società futura dovrà aspettarsi, nella sua organizzazione, un nuovo potere, ossia quello delle folle. Così, Le Bon afferma laconicamente: “L’epoca in cui entriamo sarà veramente l’età delle folle”.

Le Bon vede disgregarsi la gerarchia di potere tramandata. La “voce del popolo” avrebbe ora raggiunto il predominio. Le masse fonderebbero “sindacati dinanzi ai quali tutti i poteri capitolano, borse del lavoro che, a dispetto delle leggi economiche, tendono a governare le condizioni del lavoro e del salario”. I rappresentanti in Parlamento sarebbero solo i loro esecutori.

Pubblichiamo un estratto da Nello sciame di Byung-Chul Han in libreria in questi giorni

A Le Bon la massa appare come una manifestazione del nuovo rapporto di potere. Il “diritto divino delle masse” sostituirà quello dei re. Per Le Bon l’insurrezione delle masse porta tanto alla crisi della sovranità quanto al declino della civiltà. Le masse sarebbero, secondo lui, “distruttrici di civiltà”. Una civiltà si fonderebbe su “condizioni totalmente inaccessibili alle folle abbandonate a se stesse”.

Evidentemente, oggi ci troviamo di nuovo in una crisi, in un passaggio critico del quale sembra essere responsabile un altro sovvertimento, ovvero la rivoluzione digitale. Ancora una volta, uno schieramento formato da molti assedia il rapporto di potere e di dominio esistente: la nuova folla si chiama sciame digitale e ha caratteristiche che la differenziano radicalmente dal classico schieramento dei molti, vale a dire dalla folla.

Lo sciame digitale non è una folla, poiché non possiede un’anima, uno spirito. L’anima raduna e unisce: lo sciame digitale è composto da individui isolati. La folla è strutturata in modo totalmente diverso: ha caratteristiche che non vanno attribuite ai singoli. I singoli si fondono in una nuova unità, all’interno della quale non dispongono più di un proprio profilo. Un assembramento casuale di uomini non costituisce ancora una folla: ciò avviene soltanto quando un’anima o uno spirito li saldano in una massa omogenea, in sé chiusa.

Allo sciame digitale manca l’anima della folla o lo spirito della folla: gli individui che si uniscono in uno sciame non sviluppano un Noi. Lo sciame non è contraddistinto da alcun accordo che compatti la moltitudine in una folla attiva. Al contrario della folla, lo sciame digitale non è in sé coerente: non si esprime come una sola voce. Anche alla shitstorm manca quell’unica voce; per questo essa è percepita come frastuono.

Per McLuhan, l’homo electronicus è un uomo della folla:

L’uomo della folla è l’abitante elettronico del globo terrestre e al tempo stesso è connesso con tutti gli altri uomini, come fosse uno spettatore in uno stadio sportivo globale. Cosí come lo spettatore allo stadio è un Nessuno, allo stesso modo il cittadino elettronico è un uomo la cui identità privata è stata cancellata a livello psichico per mezzo di una pretesa smodata.

L’homo digitalis è tutt’altro che un “Nessuno”: egli conserva la sua identità privata persino quando si pre- senta come parte dello sciame. Si esprime in modo anonimo, ma di norma ha un profilo e lavora senza posa all’ottimizzazione di sé. Invece di essere “Nessuno”, è insistentemente Qualcuno che si espone e ambisce all’attenzione. Al contrario, il “Nessuno” massmediatico non reclama per sé alcuna attenzione: la sua identità privata è cancellata. Egli si dissolve nella massa. In ciò consiste anche la sua fortuna: non può, infatti, essere anonimo, perché egli è Nessuno. Di contro, l’homo digitalis si mostra spesso in forma anonima: non è un Nessuno, bensí un Qualcuno, e precisamente un Qualcuno anonimo.

I modelli collettivi di movimento degli individui digitali sono, come gli sciami costituiti da animali, instabili.

Il mondo dell’homo digitalis, inoltre, presenta una topologia completamente diversa, alla quale sono estranei grandi spazi chiusi come stadi o anfiteatri, cioè luoghi in cui si radunano le masse. Questi fanno parte della topologia delle folle. Gli abitanti digitali della rete non si riuniscono: manca loro la spiritualità del riunirsi, che produrrebbe un Noi. Essi danno vita a un peculiare assembramento senza riunione, a una massa senza spiritualità, senza anima o spirito. Sono principalmente individui isolati, hikikomori auto-segregati che siedono soli davanti al display. I media elettronici come la radio radunano gli uomini, mentre i media digitali li isolano.

Gli individui digitali si raggruppano occasionalmente in assembramenti, come per esempio gli smart mobs. Tuttavia, i loro modelli collettivi di movimento sono, in analogia con gli sciami costituiti da animali, assai fugaci, instabili e contraddistinti dalla volatilità. Inoltre, spesso agiscono in modo carnevalesco, scherzoso e disimpegnato. In questo lo sciame digitale si differenzia dalla massa classica, che (come per esempio la massa dei lavoratori) non è volatile ma volontaria e non costituisce un modello transitorio, bensí una formazione stabile. La massa classica, provvista di un’anima unificata da un’ideologia, marcia in una direzione. Grazie alla decisione volontaria e alla stabilità, è anche capace del Noi, dell’azione comune in grado di attaccare frontalmente il rapporto di dominio esistente. Soltanto la massa decisa a un’azione comune genera il potere. Massa è potere. Questa decisione manca agli sciami digitali: essi non marciano. Si dissolvono con la stessa rapidità con cui si sono formati. A causa della loro fugacità non sviluppano energie politiche. Allo stesso modo, le shitstorms non sono in grado di mettere in dubbio il rapporto di potere dominante: si scagliano soltanto contro singole persone, rendendole oggetto di scherno o di scandalo.

Secondo Michael Hardt e Antonio Negri, la globalizzazione sviluppa due forze contrapposte: da un lato, istituisce una gerarchia di potere capitalistica decentrata, deterritorializzata, ossia l’“Impero”; dall’altro, crea la cosiddetta “moltitudine”, una combinazione di singolarità che comunicano tra loro attraverso la rete e agiscono insieme. Da dentro l’Impero, la moltitudine si oppone all’Impero.

Hardt e Negri costruiscono il loro modello teorico sulla base di categorie storicamente superate, come la classe o la lotta di classe. Cosí, definiscono la “moltitudine” come una classe che è capace di un agire comune:

Un primo approccio consiste nel considerare la moltitudine come formata da tutti coloro che lavorano sotto il comando del capitale e dunque, almeno in potenza, come la classe di tutti coloro che rifiutano il comando del capitale.

La violenza promanata dall’Impero viene interpretata come violenza dello sfruttamento esercitato da altri:

La moltitudine è la reale forza produttiva del nostro mondo, mentre l’Impero è un mero apparato di cattura che si alimenta della vitalità della moltitudine – come avrebbe detto Marx, un vampiresco regime di lavoro morto accumulato che sopravvive soltanto succhiando il sangue dei viventi.

Il discorso sulla classe ha senso soltanto all’interno di una pluralità di classi: la moltitudine, invece, è l’unica classe. Ne fanno parte tutti quelli che contribuiscono al sistema capitalistico. L’Impero non è una classe dominante che sfrutta la moltitudine, perché oggi ciascuno sfrutta se stesso pur credendosi libero. L’odierno soggetto di prestazione è al tempo stesso carnefice e vittima. Negri e Hardt evidentemente non conoscono questa logica dell’auto-sfruttamento, che è molto piú efficace dello sfruttamento esercitato da altri. Nell’Impero di fatto nessuno domina: esso rappresenta lo stesso sistema capitalistico che sovrasta tutti. Di conseguenza, oggi è possibile uno sfruttamento senza dominio.

Byung-Chul Han Nello Sciame nottetempoI soggetti economici neoliberisti non costituiscono un Noi capace di un’azione comune. Il crescente egotismo e l’atomizzazione della società restringono radicalmente gli spazi dell’agire comune e impediscono, con ciò, che si costituisca un contropotere, che sarebbe sul serio in grado di mettere in questione l’ordinamento capitalistico.

Il socius cede il passo al solus; non la moltitudine, quanto piuttosto la solitudine contraddistingue la forma sociale odierna, sopraffatta dalla generale disgregazione del comune e del collettivo. La solidarietà scompare: la privatizzazione si estende fino all’anima.

L’erosione del collettivo rende sempre piú improbabile un agire comune: Hardt e Negri non prendono coscienza di quest’evoluzione sociale ed evocano una rivoluzione comunista della moltitudine. Il loro libro si chiude con una trasfigurazione romantica del comunismo:

Nella postmodernità, ci troviamo ancora nella situazione di Francesco, a contrapporre la gioia di essere alla miseria del potere. Si tratta di una rivoluzione che sfuggirà al controllo, poiché il biopotere e il comunismo, la cooperazione e la rivoluzione restano insieme semplicemente nell’amore, e con innocenza. Queste sono la chiarezza e la gioia incontenibile di essere comunisti.

Estratto da Nello sciame. Visioni del digitale di Byung- Chul Han (nottetempo, 2015 – Traduzione di Federica Bongiorno)